Legnano story - note personali
Precedente  |  Successivo ]     [ Su  |  Primo  |  Ultimo ]     (Article 32 of 293)
 
 
Personaggi
 
Legnano ancor prima della costruzione di S. Magno vantava ben ventisette famiglie nobiliari e tra queste, due si distinguevano : quella dei Vismara e dei Lampugnani. Tra i tanti rami dei nobili Lampugnani avvezzi da secoli all'agiatezza ed alla cultura, nacque intorno alla metà del 1400, una tradizione artistica pittorica che vide capostipite Melchiorre Lampugnani e si perpetuò, fino alla seconda metà del 1600 lasciando sia a Legnano che alle città lombarde vicine opere di squisita fattura.
Con un intervallo di circa 40 anni la loro tradizione artistica verrà raccolta (nel 1650) dalla famiglia dei pittori Belloti di Busto Arsizio. Alla fine del 1700 la pittura decorativa ad affresco raggiunge i massimi riconoscimenti coll'avvento del Tiepolo chiamato da Carlo III in Spagna a decorare il nuovo palazzo reale. Da noi in Lombardia il canonico Biagio Belloti, (definito il Tiepolo lombardo) decora la volta della chiesa S. Giovanni a Busto Arsizio. A Legnano i pittori Belloti, vengono spesso invitati a decorare le chiese (S. Ambrogio, S. Maria delle Grazie ecc.) e sono venerati dagli intenditori locali. Affrescatori e decoratori raffinati, anche i Belloti protrarranno la loro opera fino alla fine del 1700.
Nel 1780 il primo capostipite della famiglia dei pittori Turri, Antonio Maria, frequenti, lo studio dei Belloti e proseguì con figli e nipoti la tradizione artistica del legnanese fino ai giorni nostri.
Riportiamo di seguito alcune note biografiche dei piu' importanti artisti di queste famiglie.
Fu essenzialmente, come tutti i lombardi, un buon frescante e dalle poche raffigurazioni strappate o riprodotte, lo possiamo qualificare un foppesco sia per quello che riguarda i suoi fondi architettonici, sia per l'interpretazione delle figure umane. Risiedeva abitualmente nella casa sita a Milano (parrocchia di S. Protaso), ma aveva diverse proprietà a Legnano dove veniva di tanto in tanto. Tra queste quella che diventerà la casa dei pittori; ce lo diceva un suo affresco in facciata rispettato scrupolosamente dai successori Lampugnani.
Le sue opere sono quasi tutte scomparse: sappiamo che dipinse in casa di Isabella da Robecco, amante di Francesco Sforza in Piazza Camposanto a Milano.
Nel 1474 lavori, nel Castello di Milano, e nello stesso anno con altri pittori, decorò le volte delle cappelle delle reliquie a Pavia. Era uno dei più quotati della sua epoca; sull'esempio del pittore Gottardo Scotti (il creatore di un Monte dei Pegni per aiutare i suoi colleghi con altri tredici artisti si iscrisse all'Università dei pittori milanesi e ne fu nominato capo nel 1481. Da Gottardo Scotti ebbe in eredità il famoso volume di araldica che continuato da lui, fu donato poi al Comune di Milano .
A Legnano gli si possono attribuire: l'Annunciazione (ora esposta al museo di Legnano e molto deteriorata), la Circoncisione (ora al Louvre) e il trittico di S. Erasmo.
Molti sono gli affreschi quattrocenteschi dei quali c'è rimasta memoria ma sono di scarsa importanza e non si possono attribuire ne' a lui, ne' al Giangiacomo. In ogni caso egli è decisamente la figura artistica di maggior rilievo tra tutti i pittori Lampugnani che operarono a Milano e Legnano.
 
 
 
Il secondo artista della famiglia dei pittori Lampugnani è ancora strettamente legato allo stile in voga nella sua epoca ispirato al naturalismo chiaroscurale del Mantegna, uno stile cui darà il colpo di grazia Ludovico il Moro chiamando a Milano Leonardo (vedi l'affresco della Crocifissione di Montorfano). Le sue figure sono rigide e composte, come nella cappella detta di S. Agnese in S. Magno a Legnano e nei dipinti fatti fare nel 1517, di fronte all'altare maggiore, dalla famiglia Fumagalli.
Il suo capolavoro è la volta della chiesa di S. Magno della quale possiamo lodare la fantasia decorativa e grandiosità. Cancellati tutti i ritocchi si potrebbero attribuirgli i due grandi affreschi di Cislago (chiesa della Madonna della Neve): nel primo si vede il Padre Eterno e sotto la Madonna col bambino, ai lati S. Rocco e S. Sebastiano. Nel secondo la Madonna in orazione con due angioletti e sotto sei santi: S. Magno, S. Rocco, S. Antonio, S. Sebastiano ecc. sullo sfondo il Papa e l'Arcivescovo che dedicano la nuova chiesa.
A Prospiano, nella chiesa della Madonna dell'Albero il grande affresco della Crocifissione può, destare dubbi per la composizione affastellata e la decorazione completamente diverse da mettere in discussione la paternità assegnatagli dai critici del 1800.
Egli risiedeva in una casa appena fuori la Porta di Sotto in Via Magenta a Legnano. Questa antica dimora, inglobata nel 1700 dai Cornaggia nelle loro costruzioni, venne demolita nel 1950 per dar posto all'attuale palazzo INA. Della casa ci resta un magnifico camino scolpito con lo stemma del Giangiacomo.
Epigoni di quel manierismo vantato dal cieco Lomazzo, secondo la formula dei sette pilastri della pittura, li possiamo collocare senza prevenzione, tra i migliori pennelli (soprattutto nell'affresco) della prima metà del 600 Lombardo. Nativi della parrocchia di San Maurilio (Milano) figli di un notaio  trasferitosi a Legnano al servizio dei Vismara., ebbero la prima residenza nella casa magna attigua al convento delle monache Clarisse, (fondato da Gian Rodolfo Vismara) e poi nella casa detta dei "pittori" la cui facciata fu dipinta dal Francesco nel 1640 alla morte del fratello Giovanni e in onore di questo e del padre. Lavorano in collaborazione: a Varese S. Maria in prato, oratorio del Sacro Monte XII Cappella e Basilica del S. Monte; a Legnano chiesa della Madonnina, S. Ambrogio, S. Bernardino e chiesa della Purificazione; a Parabiago chiesa di S. Gervaso e Protaso, a Busto Arsizio chiesa di S. Giovanni, pala di S. Giorgio.
Poi ancora ad Angera, a Trecate, a Cerro Maggiore, a S. Giorgio per citare solo alcuni elenchi.
Francesco Lampugnani fu particolarmente apprezzato dagli ordini monastici e si ispirò al Luini e al Gaudenzio Ferrari pur non trascurando gli apporti moderni voluti nell'Accademia ambrosiana del Cardinale Federico diretta dai pittori Ceirano.  Procaccini e Daniele Crespi.
Molto bello è anche il grande mappamondo (m. 1,25 di diametro) che si trova nella Biblioteca Ambrosiana ed eseguito su incarico dell'arcivescovo Cesare Monti. Meno nota ma non meno apprezzabile fu l'opera di incisore di acqueforti svolta dal Francesco. Ci sono rimaste alcune opere rappresentanti gli arazzi sacri che erano in S. Magno (ora a Milano), nonché una stupenda carta geografica suddivisa in tre grandi incisioni delle quali una copia è ancora conservata al Castello Sforzesco di Milano mentre la copia più famosa andò distrutta nell'incendio della Farmacia di Brera.
Nacque il 18 ottobre 1769 da Carlo Ambrogio Turri e Maddalena Calini. Dimostrando molta propensione per il disegno fu presentato al canonico Biagio Belloti (1714-1789) del quale divenne entusiasta amministratore. In seguito al giudizio positivo del Belloti il Padre Ambrogio lo avviò all'Accademia di Brera ed intraprese lo studio della pittura nonostante una certa ritrosia da parte del padre.
Ebbe una notorietà diffusa ed eseguì lavori in tutta l'alta Italia. Come pittore si ispirò, alle mode della sua epoca ancora rococò, e si dedicò quasi esclusivamente all'arte sacra.
Molti suoi affreschi rimangono in Legnano, come quelli della chiesetta della Madonnina o in S. Bernardino o la Via Crucis nella chiesa della Madonna delle Grazie; altri purtroppo sono scomparsi come la Madonnina sulla casa in via Palestro, scioccamente distrutta, o la cappella al vecchio cimitero con un'Annunciazione della quale esistono i due bozzetti.
Nel 1829 espose nelle gallerie della Imperiale Regia Accademia di Belle Arti delle composizioni floreali dipinte ad encausto guadagnandosi il plauso delle giurie. Fu allievo di Domenico Asperi, Giocondo Albertolli e Giuliano Traballeri, dei quali proseguì l'opera e la tradizione con molto successo.
Altri suoi lavori restano nelle chiese di Rovellasca (S. Maria Assunta), di Sacconago (la via Crucis), di Castellanza (chiesa Prepositurale), di Legnano (affresco di S. Pietro Martire in S. Magno), di Arconate, di Besano. In tutti i suoi lavori rimase fedele al principio delle rigorose raffigurazioni in accordo con le interpretazioni derivate dalla pittura romantica della fine del Settecento.
Da Antonio Maria e Serafina Colombo nacque a  Legnano il 6 novembre 1803 (morì il 5-6-1882) Daniele Giuseppe Beniamino Turri; sposò, Maria Redaelli ved. Lampugnani ed ebbe cinque figli.
Cresciuto nell'atmosfera artistica di casa venne avviato agli studi di Brera nel 1820, ma abbandonò quasi subito l'Accademia sia per l'impegno continuo in aiuto al padre Antonio M. sia parchè si reputava già sufficientemente maturo per la professione. Come lavoro di licenza espose alla Imperiale Regia Accademia una Crocifissione di notevole pregio.
Eseguì una rilevante serie di affreschi tuttora esistenti come quelli nel camposanto di Arconate; nella chiesa parrocchiale di Besano; nella Lodolo di Tradate; nella chiesa di Bienate, con affreschi e quattro quadri ad olio sulla tazza del coro; nella chiesa Parrocchiale di Magnago. Inoltre sono presenti suoi lavori a Cardano al Campo, Prospiano, Coarezza,  Milano .
Lo aiutarono Jafet Turri (1804-1830) che fu richiamato alle armi e morì in Galizia, e per le decorazioni i fratelli Sem e Noè Turri. Pressoché autodidatta, buon colorista con un manierismo riassuntivo e piacevole, era molto richiesto per le decorazioni e le figure sacre nelle chiese, nei conventi o suoi mulini .
Attivissimo ed attento studioso ha lasciato una imponente collezione di schizzi e disegni che rappresentano quadri e affreschi antichi di tutte le chiese dei nostri paesi vicini e di Legnano.
Grazie a questi oggi possiamo ricostruire storicamente molte parti del nostro patrimonio artistico locale anche se scomparse.
Mosè Turri nacque da Beniamino e Maria Redaelli il 2 febbraio 1837 a Legnano e vi morì l'8 luglio 1903.
Dimostrò fin da ragazzo una mano felicissima nel disegno e venne avviato agli studi artistici a Brera dal 1850 al 1855. Suoi professori furono Angelo Brusa, Luigi Bisi e nella figura i pittori Sogni e Francisco  Hajez.
Espone a Milano nel 1872, a Genova all'esposizione Nazionale del 1872, a Firenze nel 1873, a Torino nel 1874 e 1878. I suoi quadri ad olio erano ricchi di soggetti animali e floreali e destarono l'ammirazione dei critici di quel tempo. Insieme all'architetto Emilio Alemagna affrontò innumerevoli lavori nelle case nobiliari milanesi sia come figurativista che come decoratore. Anche nel campo dell'arte sacra la sua opera si distinse per l'estrema abilità cromatica delle composizioni. Sono presenti suoi affreschi nelle chiese di Lomello, Cavaglio, Villa Cortese, Sacconago, Romentino, Tradate, Gorla Minore, Cerano, Marnate. In Legnano splendide sono le cappelle d'ingresso nel Santuario della Madonna delle Grazie, la volta della chiesa della Madonnina, la cappella a sinistra è dell'altare in S. Magno con una serie di pregevoli quadri ad olio. Lavorò anche per la casa reale ed eseguì il chiosco Torrazzi di Novara per i Visconti, come pure la loro casa di via Cerva in Milano. Lavorò a Villa Olmo di Como ed a gran parte degli affreschi del castello di Somma Lombardo. La sua opera si può, ancora ammirare anche nell'ambasciata di Madrid. Fu un ottimo disegnatore e fatto tesoro degli insegnamenti di Sogni e Hajez proseguì sulla loro strada dedicandosi, nella pittura ad olio, soprattutto agli animali. Di lui sono rimasti celebri quadri raffiguranti selvaggina. Suoi collaboratori furono i fratelli Daniele ed Elia, con i quali agi integrando le parti di decorazione a stucco e pittoriche eseguite da questi ultimi alle sue creazioni di scene ed ottenendo grazie a questa "bottega d'arte" risultati di grande pregio per l'amalgama tra decorazione pittorica ed a rilievo in stucco. Mosè Turri sposò Vittoria Zanetta ed ebbe da lei sei figli dei quali uno continuò la tradizione artistica della famiglia.
Figlio di Beniamino, fratello di Mosè Turri (senior) avviato fin da ragazzo ad aiutare il padre nei suoi lavori di arte sacra, non poté frequentare gli studi rimanendo sacrificato nel suo talento.
Era un ottimo colorista ed a lui venivano affidate le esecuzioni di ornamenti e composizioni di fiori.
Era anche un restauratore di grande esperienza e, soprattutto, buon interprete delle varie forme di pittura antica.
I suoi numerosissimi lavori sono presenti a fianco o costituiscono parte di quelli nominati sia per il padre Beniamino che per il fratello Mosè.
Come il fratello Daniele anche Elia Turri fu sempre presente nelle grandi realizzazioni artistiche nelle chiese, negli interni delle ville patrizie eseguite dalla famiglia Turri. Elia occupava della parte scultorea e delle decorazioni in gesso legate alla moda tardo barocca del suo tempo. Bellissimi sono gli altari scolpiti con putti e lesene nella chiesa delle Grazie in Legnano, nella chiesa della Madonnina, nelle ville Bernocchi, Dell'Acqua.
Suoi professori a Brera nel 1865 furono Claudio Bernocchi e Raffaele Casnedi.
Figlio di Mosè e Vittoria Zanetta, Gersam Turri nacque l'1 settembre del 1879 a Legnano, studiò a Brera dal 1893 al 1898 con i professori Pogliaghi, Carlo Ferrario, Gaetano Moretti, Vespasiano Bignami e Camillo Rapetti nonché come insegnante di pittura Cesare Tallone. Collaborò fino al 1910 nella bottega di famiglia con gli zii Daniele ed Elia. Quindi proseguì da solo creandosi un nutrito gruppo di decoratori in buona parte diplomati, che lo aiutarono nell'esecuzione di lavori talvolta difficili e molto grandi come dimensioni. Fu un conoscitore finissimo degli stili italiano e francese, da Luigi XIV a Luigi Filippo. Per la sua abilità decorativistica e competenza  artistica fu definito dai suoi colleghi contemporanei il "re del Barocco". Progettava e campionava le sue decorazioni, eseguiva personalmente la parte figurativa. Fu uno splendido manierista per istinto ed il suo  stile  è inconfondibile. Alla moda di allora nonché alla sua bravura sono dovute le preferenze accordategli dalle famiglie signorili del tempo . - Nel 1905 sposò Lodovica Giussani ed ebbe due figli. Alcuni suoi lavori sono: la chiesa di Appiano Gentile, la chiesa del S. Crocifisso a Como, la cupola ed il grandioso transetto, il tempio Voltiano di Como e il Palazzo del Broletto, Lomazzo chiesa e Palazzo Somaini, a Legnano le quindici cappelle del Santuario di S. Maria delle Grazie, la chiesetta dell'Orfanotrofio Gilardelli, la cappella di destra all'altare in S. Magno a Legnano, e le figure nei tondi sopra i pilastri nonché tutta la decorazione della parte inferiore della chiesa. A Milano affrescò in Via Durini la casa del maestro Toscanini. Inoltre le ville del conte Emanuele Castelbarco, Villa Stucchi e Villa Pirotta a Como. Dal 1916 al 1918 fu sotto le armi e si occupò di cartografia militare, nel 1919 decorò le case della contessa Luisa Bonacossa a Milano con altre venti abitazioni signorili, compreso il suo capolavoro in Via Cerva di proprietà Visconti, il famoso salone da ballo.
Fu anch'egli collaboratore di famosi architetti come il conte Alemagna, il professor Giorgio Portaluppi, l'architetto Federico Frigerio, l'architetto Perrone. Di lui hanno parlato giornali e riviste del tempo in più occasioni.
Una nota curiosa è quella che lo vede realizzatore insieme all'architetto Portaluppi in una serie di bellissime meridiane ancor oggi funzionanti e riportate sui più' noti testi in materia, compresa l'enciclopedia Treccani. Uno dei suoi ultimi lavori, eseguito per l'ambasciata italiana a Berlino, fu trafugato durante la guerra ed e' scomparso.
Nasce nel 1907 a Legnano da Gersam e Lodovica Giussani. Entra all'Accademia di Brera nel 1926 e studia con i professori Rapetti, Biagi, Alciati, Guidi ed Aldo Carpi. Durante gli studi ottenne due premi il Beltrame e il Briani per un concorso alla Permanente di Milano. Iniziò a lavorare a Cedrate alla Cappella Crespi a grafito. Aiutò il padre nella preparazione dei cartoni per la cupola del S. Crocifisso a Como, ed eseguì la cappella dei caduti a Carnago ed affreschi nelle scuole comunali dello stesso paese.
Lasciò l'Italia nel 1935 partendo per la guerra d'Africa, ritornò, nel 1937 con numerosi quadri e disegni ispirati all'ambiente d'arte africana ed espose gli stessi a Roma riportando menzioni di lode. Affrescò con diversi cicli di scene le chiese di Carnago, S.  Fermo a Varese, Stimianico a Cernobbio, affrescò la chiesa del Buon Gesù ad Olgiate Olona e la Parrocchiale di Solbiate Olona. Sono suoi gli affreschi nelle scuole Canossiane di Busto Arsizio, Nerviano e S. Stefano.
Eseguì numerosissimi ritratti ad olio, Madonne, nature morte e chiaroscuro. Data la grande esperienza ereditata dalla famiglia ed avendo condiviso alcuni anni di lavoro con lo zio Daniele (restauratore) si occupò anch'egli di salvare molti antichi capolavori che gli vennero affidati come la chiesa di Binago, la Cattedrale di Treviglio, la chiesa di S. Magno a Legnano ecc. Con il padre Gersam e l'ingegner Sutermeister recuperò, in Legnano numerosissimi affreschi antichi operando, con interventi d'urgenza, strappi sui muri in abbattimento delle vecchie case signorili di Legnano. A questa sua opera si devono quasi tutti i preziosi affreschi ora conservati nel museo Sutermeister di Legnano.
Alla sua esperienza e ad un felice caso si deve oggi l'esistenza della stupenda chiesa di S. Maria Foris Portas a Castelseprio.
Nel 1939 infatti a causa di fatti di sangue avvenuti nell'edificio diroccato e incendiato, il parroco di Carnago, proprietario dei boschi e dello stabile, aveva deciso di abbattere le vecchie mura. Richiesto di una perizia tramite i parenti della futura moglie Angela Magnoni di Carnago, e recatosi nella chiesina, scoprì sotto gli intonaci incendiati uno stupendo ciclo di affreschi del VIII secolo e scongiurata la demolizione affidò alle cure della sovrintendenza un così cospicuo patrimonio artistico poi pienamente valorizzato dallo studioso Bognetti.
Mosè Turri sempre legato ai temi d'arte sacra, alla ritrattistica ed alla rappresentazione di nature morte, continua ancor oggi, anche se non più sulle volte delle chiese, la sua produzione, sempre preciso nel gesto ed attento alle forme del suo manierismo moderno .
Tra i cittadini illustri Legnano può certamente annoverare una famiglia di artigiani costruttori di organi da chiesa, famiglia che operò per più di cento anni dal 1770 al 1896, producendo strumenti di una musicalità squisita. Legnano li ha oggi dimenticati, anche se alcune loro opere nelle domeniche di festa allietano i nostri animi grazie ad "un eccezionale equilibrio discriminatorio nella definizione delle personalità foniche dei singoli registri. Il loro ripieno infatti si fonda su dei 'principali' che sanno contenere la loro peculiare natura robusta in modo tale da permettere alle file di 'ripieno' di estrinsecarsi liberamente nel delicato gioco degli armonici, così da creare un amalgama sonoro di cristallina trasparenza e permeato da una volontà di coesione di inimitabile naturalezza". (Stella e Vinay, I Carrera, Brescia 1973, p. 12). Questi abili artigiani pur non arrivando mai a godere di una "fama illustre" furono sinceramente ammirati e quasi invidiati da organari ben più famosi come gli Almasi, i Bianchini, i Maroni, i Boniforti, i Pedrali, i quali molto spesso non riuscivano ad ottenere organi altrettanto perfetti, anche parchè la committenza talvolta richiedeva loro collocazione ed estetismi neo-barocchi per gli strumenti a discapito della pulizia sonora. Oggi dei Carrera restano circa trentasei piccoli capolavori che sono sparsi per la Lombardia da Bollate a Como, a Milano, a Varese, a Saronno. Anche. a Legnano se ne conservano nella chiesa di S. Ambrogio, nel Santuario della Madonna delle Grazie, nella chiesa della Purificazione della Beata Vergine, unitamente ad un pregevole accrescimento dell'antico organo Antegnati in S. Magno.
Tutte queste delicate creazioni richiedono oggi seri provvedimenti di restauro, in quanto non hanno goduto di manutenzione per troppi anni.
 
GIOVANNI MARIA CARRERA (1750-1818) -- Nato da Stefano Carrera e Giovanna Montola, a Canegrate, si trasferì con la fabbrica, dopo il 1790, a Legnano, dove iniziò a formare quella bottega di organari che operò per oltre un secolo.
Di lui si conoscono poche note biografiche; è tuttavia il vero fondatore della casa organaria.
 
GEROLAMO CARRERA (1796-1863)   Nipote del capostipite Giovanni Maria, venne iniziato ai segreti della bottega artigiana alla morte dello zio e continuò, aiutato dai fratelli Giuseppe e Stefano Carrera, le tradizioni costruttive della famiglia. Egli arricchì con severo spirito critico l'arte dei Carrera, profondendovi la cultura acquisita nei suoi viaggi di studio in Italia ed all'estero. La caratteristica di "bottega d'arte" con lui emerge senza superbie personali ed i lavori vengono firmati sempre "Fratelli Carrera" proprio per rimarcare la preziosa opera di collaborazione esistente all'interno della famiglia.
 
ANTONIO DE SIMONI CARRERA (1826-1896)
Ultimo della famiglia Carrera ad occuparsi di quest'arte difficile e sottile, era nipote di Gerolamo. Nativo di Cerano venne presso gli zii ad apprendere i segreti del mestiere. Di segreti doveva trattarsi, stando ad uno scritto dell'organario Luigi Bernasconi che in occasione di un preventivo di restauro per l'organo prepositurale di Parabiago affermava: "l'intonazione e l'accordatura saranno eseguite in modo da lasciare inalterata l'intonazione propria degli strumenti Carrera ". A questo proposito la ditta Bernasconi faceva notare che essa sola possedeva il segreto per riuscire a questo risultato, segreto trasmessole volontariamente e spontaneamente dall'ultimo proprietario della ditta Carrera, il compianto Antonio De Simoni Carrera. (lettera dell'8-8-1912 al Prevosto di Parabiago  - Arc. parr.).
E' come si fosse chiuso un velo di silenzio sugli antichi strumenti lasciatici.
Chissà se le nostre orecchie moderne saranno ancora capaci di cogliere il profondo segreto nascosto nelle armonie che dalle antiche canne escono riempiendo le volte delle nostre chiese!
Tra i successori di Giovanni da Legnano una trattazione particolare merita quel gruppo di discendenti conosciuti come Editori da Legnano, i quali, in un certo senso, rappresentano una  continuità del giurista e scrittore, come diffusori di  cultura. Si sa che Giovanni, oltre che docente, fu sensibile mecenate ed ebbe la preoccupazione di perpetuare anche dopo la sua morte l'attenzione verso studenti poveri che desideravano intraprendere gli studi in diritto canonico o civile, in scienze e in medicina, in particolare privilegiando dapprima studenti di  Bologna, poi di Legnano e, in mancanza, di Milano e quindi dovunque residenti, parchè capaci e poveri. Si è già osservato come la parte del testamento che dispone un lascito a detti scopi avesse una singolare analogia con quella di un altro personaggio vissuto a Legnano, Bonvesin de la Riva, il quale con Giovanni può essere considerato tra i precursori dell'istituto delle borse di studio.
Tutto ciò comprova anche l'attaccamento di Giovanni alla sua terra d'origine, Legnano. Infatti, trasferendosi a Bologna, volle aggiungere al suo cognome Oldrendi l'indicazione da Legnano, con la quale  fu poi universalmente conosciuto. E questa denominazione rimase anche ai suoi successori legnanesi, mentre i suoi discendenti di Bologna si chiamarono, trasformando il cognome, Legnani. Il gruppo degli editori ebbe come capostipite un omonimo del nostro Giovanni. Derivò da un ramo collaterale del fratello Bianco e dal di lui figlio Contolo, nonno appunto del primo degli editori, figlio di Giacominone.
Giovanni, che chiameremo editore da Legnano, per distinguerlo dal suo avo, diede un grande impulso alla cultura attraverso una copiosa serie di pubblicazioni, in particolare diffuse nel Ducato milanese.
Questi testi ebbero notevole importanza parchè si inserirono in uno dei periodi storici, in cui maggiormente avvennero sconvolgimenti, mutamenti ed innovazioni nel campo del pensiero, nella sfera della morale, nella conoscenza del mondo, tanto in senso geografico che in senso fisico-naturalistico. Non si dimentichi neppure che l'editore da Legnano visse ed operò nel primo periodo di splendore rinascimentale che, nel campo dell'editoria ebbe un notevole impulso con l'invenzione di Gutemberg. al quale si deve l'introduzione della stampa con lettere mobili fuse in metallo.
Giovanni editore iniziò ad operare appunto pochi anni dopo la morte del grande tipografo tedesco.
Come il suo grande avo giureconsulto, Giovanni da Legnano, e i suoi figli dopo di lui, esplicarono l'importante ruolo di far stampare e diffondere le opere librarie nel Ducato di Milano, trovando negli Sforza illuminati promotori e mecenati, e quindi diramando in tutto il mondo, nel campo della cultura, il nome del paese che diede loro i natali.
La data del 23 ottobre 1480, costituisce un riferimento importante per Legnano, parchè in tale giorno uscì il primo libro fatto pubblicare da Giovanni editore, il primo di una lunga serie, che si potrarrà per 45 anni. Si tratta di un'opera impegnativa destinata comunque alla elite culturale di quei tempi, le Historiae Romanae decades di Tito Livio, fatte stampare dal tipografo Antonio Zarotto di Milano, con il quale il da Legnano iniziò così una lunga collaborazione interrotta soltanto nel 1487, quando decise di dedicare la sua attività di editore anche al suo omonimo ascendente Giovanni da Legnano, pubblicando il De represaliis, bello et duello cum additionibus.
Questo volume fu stampato da Cristoforo de' Cani di Pavia, forse parchè essendo opera di giurisprudenza da destinare in particolare all'Università pavese, l'editore aveva ceduto a qualche condizionamento locale.
Nello stesso anno un'altra opera del giurista fu edita dai da Legnano, il De duello, stampata nuovamente a Milano, ma presso l'editore tedesco Ulrico Scinzenzeler, d'ora in poi preferito, insieme ad altri stampatori, da Zarotto.
Si nota che la produzione del Da Legnano, e successivamente dei figli, si indirizzava a Pavia ed ad altre località, quando si trattava di pubblicare opere di diritto, mentre si rivolgeva a tipografi milanesi per quelle opere a carattere religioso, storico e divulgativo (queste ultime scritte per lo più in volgare) così come per volumi di letteratura latina, di filosofia e di grammatica. La scelta evidentemente era dettata anche da ragioni commerciali e dai collegamenti che l'editore legnanese aveva con la corte ducale.
I da Legnano erano sempre consci del loro ruolo di diffusori di cultura e curavano minuziosamente i volumi, cosa essenziale in quell'epoca meravigliosa del Rinascimento milanese, anche per una fastidiosa concorrenza da parte di altri editori spesso in gara col tempo pur di far uscire prima un'opera che si sapeva fosse in preparazione presso un'altra impresa editoriale. Uno dei tanti esempi è costituito dai Fasti di Ovidio. I tipografi Pachel e Scinzenzeler riuscirono infatti a battere nel tempo il da Legnano facendo uscire una loro edizione della stessa opera diciannove giorni prima, esattamente il 26 maggio 1483.
Ciò, nonostante le opere dell'editore da Legnano trovavano ugualmente una preferenza parchè molto curate con l'intervento frequente anche dello stesso editore nell'incipit e nella praefatio. Egli, colto e conoscitore dei classici, realizzò alcune opere col Filelfo e con altri noti lettori accademici che andavano per la maggiore a quei tempi Sempre come uomo di cultura il da Legnano aveva una propria organizzazione per lo smercio delle opere, una bottega con la stessa insegna della sigla libraria: un angelo ritto che regge in mano un medaglione tondo contenente al centro un monogramma di Cristo circondato dall'orifiamma lombarda, che si riscontra in alcune decorazioni di costruzioni rinascimentali lombarde. Anche a Legnano, ad esempio, la palazzina-maniero dei Lampugnani, oggi sede del museo civico, contiene appunto questo oramento all'esterno e nelle pareti interne dell'edificio.
Benché proprietari di un'officina calcografica situata in San Michele al Gallo a Milano i da Legnano non stampavano in proprio, ma curavano personalmente la vendita dei libri (non solo i loro, ma anche quelli inviati da altri centri di cultura italiana) appunto nella bottega sopra accennata che si trovava in località Broleto Novo. Che il da Legnano fosse considerato tra i fornitori ufficiali del Ducato di Milano è provato dall'intervento dello stesso duca il quale lo agevolava nella diffusione delle opere di sua edizione, e per il trasporto nelle altre città poste sotto il dominio della Signoria.
Già Galeazzo maria Sforza nel 1494 invio' un messaggio personale al suo oratore personale a Venezia Thadeo Vincemala per renderlo edotto che Jhannes Legnani, mercadante et cartharo milanese nostro deve portare balle due libri de Venetia, invitandolo a rendergli facili i movimenti di trasporto ( Registro Missive Ducali in Archivio di Stato Milano, n. 154, 114-115, 8 settembre 1494.) Nello stesso giorno il Duca fa partire per il Doge di Venezia un messaggio personale con il quale chiede le medesime facilitazioni (Registro Missive Ducali in Milano n. 154 1°, p. 116, 8 settembre 1494). Con questi appoggi l'opera editoriale e di divulgazione libraria dei Da Legnano ebbe il massimo fulgore e una rapidissima evoluzione. la bottega con l'insegna dell'Angelo era a Milano un punto di riferimento quasi obbligato e le opere dei Da Legnano non richiedevano eccessiva propaganda come erano costretti a fare invece altri editori.
Come curiosità citeremo quanto si leggeva sul frontespizio della Historia de la Rotta e presa del Moro, edito da un concorrente milanese, cioè' un richiamo sul frontespizio, che, accennava all'utile da ricavare per la vendita del libro, rivolto al lettore: "Voi havete la storia e mi tiro il quatrino".
Giovanni da Legnano operò, ininterrottamente, e con il successo che si e' detto, per circa un ventennio prima di interrompere bruscamente l'attivita', nel 1502, (secondo un'ipotesi formulata da Guido Sutermeister che agli editori da Legnano ha dedicato uno studio approfondito, in quanto colpito da una grave malattia (Guido Sutermeister, (Gli editori da Legnano, Societa' Arte e Storia Legnano, 1946 e, stesso autore, Memorie n. 12 - 1948 - Societa' e Arte e Storia di Legnano). Non e' da escludersi neppure che questa improvvisa battuta d'arresto delle edizioni dei da Legnano sia dovuta anche alle vicissitudini che ebbe la Signoria Sforzesca in quel periodo. Luigi XII, nel 1500, conquisto', il Ducato, come si sa, e lo tenne fino al 1511, quando l'esercito della Lega Santa costrinse il monarca francese a rinunciare a Milano e al Veneto e, dopo la battaglia di Novara (1513), a tornarsene in Francia.
Con la scomparsa di Giovanni da Legnano dalla scena editoriale lombarda non si fermo' la produzione, in quanto gli subentrarono nell'importante azienda i figli Giovanni Giacomo, Bernardino e Giovanni Antonio. Costoro, sotto il nome Fratelli da Legnano, con rinnovato vigore ripresero la produzione tipografica che prosegui fino al 1525 realizzando, in questo arco di tempo, 240 opere che si aggiunsero alle 118 del padre.
I nuovi conduttori dell'azienda dovettero pero', adeguarsi ai movimenti politici verificatisi in Milano, nei primi anni del XVI secolo.
I fratelli da Legnano entrarono nella scena editoriale, ideando un'opera di grande richiamo per quei tempi, in cui i fasti degli Sforza stavano decadendo con la prepotente conquista del Ducato da parte di Luigi XII. Sfruttando il momento psicologicamente favorevole per i cultori del passato e, in genere, per il colto pubblico milanese, decisero di stampare la prima Historia di Milano, scritta da Bernardino Corio nel 1499, curandola in modo particolare nella presentazione, nelle tavole di grandi e pregevoli silografie e nel frontespizio. L'opera ebbe il successo sperato.
Le mutate condizioni politiche ed anche una certa crisi economica che caratterizzo' il primo ventennio del secolo, consigliarono ai da Legnano di diversificare le loro edizioni. Accanto ad opere di classici latini e greci, tradotti e commentati con la collaborazione di eminenti umanisti del tempo come Valla Poliziano, Merula e Filelfo (quest'ultimo già' utilizzato dal padre), i fratelli da Legnano stamparono una lunga serie di libri a carattere giuridico. C'e' da osservare che dei tre fratelli, Giovanni Giacomo, che aveva ereditato dal padre una vasta cultura umanistica, si era dedicato allo studio delle opere del suo antenato e omonimo Giovanni da Legnano. La produzione editoriale pertanto si fece intensa in questo particolare settore, alternata comunque ad opere di carattere popolare e divulgativo, ivi compresi romanzi cavallereschi, resoconti di viaggi e di leggende agiografiche, nonche' edizioni di autori in volgare, dal Petrarca a Cecco d'Ascoli all'Ariosto. Scorrendo le schede dell'intera produzione dei da Legnano raccolte e pubblicate da Cesare Gallazzi, nel quinto centenario della stampa del loro primo libro, (Cesare Gallazzi L'editoria milanese nel primo cinquantennio della stampa: I "da Legnano " [1480-1525], Busto Arsizio 1980), troviamo, tra le diverse opere giuridiche, sette incunabuli con scritti del giurista Giovanni da Legnano. Ed esattamente: una riedizione del De bello (1503); poi ancora il De duello (inserito nel Tractatus de re militari ubi est tota materia duelli, a cura di Paride Dal Pozzo) stampato con data 1508 e uscito in ulteriori edizioni l'anno successivo e nel 1515 insieme ad un trattato di Bartolomeo Cepolla e Antonio Corsetti il Tractatus de pluritate beneficiorum (1515) ed infine il De ecclesiastico Interdicto.
Una delle opere piu' pregevoli dei fratelli da Legnano e' il Messale Ambrosiano, uno splendido incunabulo in pergamena con belle silografie a piena pagina.
Le illustrazioni sacre, come la stessa figura del Crocefisso, contenute nel Messale, dimostrarono come fosse mutata l'immagine e come si fosse verificata una evoluzione dalle forme legate all'arte medievale, con reminiscenze ancora gotiche e bizantine, a forme rinascimentali sempre piu' nuove. Questa edizione era stata fatta stampare nel 1522 dal prevosto Francesco Crespi de Robertis, primo rettore della chiesa di Santa Maria di Busto Arsizio, allora appena finita di costruire. C'e' da ritenere che i fratelli Legnani avessero assunto l'esecuzione di quest'opera di grande impegno per una ragione spirituale basata sui vicendevoli legami con Legnano e lo stesso prevosto di Santa Maria. E' anche noto infatti che i Bustesi avevano costruito la chiesa di Santa Maria sul disegno di quella bramanteggiante di San Magno a Legnano, finita appena cinque anni prima. Entrambe le basiliche restano testimonianze rinascimentali di grande valore architettonico.
Ma il fulgore e l'opulenza del Rinascimento lombardo si placarono e, a partire dagli anni Venti del XVI secolo, anche l'attivita' dei da Legnano decrebbe gradatamente, fino a spegnersi nel periodo, in cui imperversava in tutta la Lombardia la terribile peste. Il canto del cigno dei fratelli da Legnano si ebbe nel 1524 con la pubblicazione di una grande opera in terza edizione assoluta, l'Orlando Furioso di Ludovico Ariosto. Questo capolavoro della letteratura di tutti i tempi, non tenendo conto di altre tre pubblicazioni uscite, due nel 1525 ed una nel 1533, segno' cosi' la fine della produzione libraria degli editori da Legnano, ripresa successivamente da alcuni discendenti dei diversi rami della famiglia, che operarono in Milano col medesimo nome, ma non piu' con la caratteristica insegna dell'Angelo.
Questo ritiro dei da Legnano, dovuto alla situazione precaria dell'intero Ducato milanese e di altre Signorie nell'Italia Settentrionale, chiuse anche un'epoca aurea dell'editoria rinascimentale. I da Legnano, nella loro dotta attivita' e nella scelta delle opere da stampare, avevano abbracciato ogni espressione e manifestazione di tutto lo scibile di autori coevi e non, da opere popolari di primario interesse, fino a quelle di formazione umanistica, di filosofia (con particolare preferenza agli argomenti giuridici anche in omaggio al loro noto avo), nonche' a quelle della grande letteratura. La scelta era stata fatta secondo le condizioni politiche e l'ambiente socio culturale, religioso in cui i libri dovevano essere diffusi. Percio' a queste opere già' di per se' di grande interesse, si deve attribuire anche la caratteristica di fedeli specchi del tempo, un compito storico di testimonianza nella evoluzione della stampa, un valore estetico ed anche un sustrato etnografico. Infatti, tra le edizioni pregevoli i da Legnano avevano inserito, anche negli ultimi tempi, una quarantina di volumi in volgare, di impostazione e veste economica popolare, proprio perche' intendevano essere diffusori di cultura a tutti i livelli.
Certamente la produzione editoriale dei da Legnano era coincisa con il primo periodo della silografia nel XV secolo e con lo splendore dell'arte e della cultura illustrativa di Leonardo e Bramante.
Le edizioni dei da Legnano restano nella storia dell'editoria forme compiute ed elette del Rinascimento, servendosi i Nostri dei grandi maestri silografi, miniatori ed incisori milanesi, mantovani, pavesi e bresciani. I da Legnano avevano saputo sfruttare assai abilmente l'arte illustrativa, specie nel primo periodo della loro opera di divulgazione della cultura.
Nel Quattrocento il libro, pur conservando, come e' naturale, le reminiscenze del codice miniato, aveva subito una crisi originaria per l'impossibilita' tecnica, tra l'altro, di usare nella stampa il colore, per cui, verso la fine del secolo, proprio quando i da Legnano erano sulla cresta dell'onda, si delineo' la tendenza a creare il libro illustrato o, perlomeno, decorato, che si affermo' e si impose appunto a incominciare dal Cinquecento.
Come siamo debitori all'Alto Medioevo e al XIV secolo dell'ansia di cultura giuridica, filosofica, scientifica e naturalistica che Giovanni da Legnano ha saputo esprimere in tutta la sua illuminata arte di giurista e di scrittore, cosi siamo in gran parte debitori al Rinascimento anche di quelle meraviglie di arte editoriale ed insieme figurativa che ci sono state tramandate proprio attraverso la ricca e varia produzione degli editori da Legnano.
 
 
 
fine pagina