Legnano story - note personali
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I primi abitatori e le loro usanze
Tratto da "Legnano Romana" - Relazione degli scavi e ritrovamenti antichi di Guido Sutermeister
 
Si puo' ben affermare che non ci sia citta' d'Italia che non conservi vestigia delle imponenti costruzioni architettoniche ed artistiche delle quali i romani avevano a dovizia dotato il nostro bel suolo. Qua' e' un edificio, la' un'arena, un ponte, una statua, perenni fonti di orgoglio per gli odierni abitatori. Oppure sono minori opere dell'arte, capitelli, lapidi, cippi, che dei precursori perpetuano in tangibile ricordo.
Ma, all'infuori delle maggiori o minori vestigia, oggetti sempre d'ispirazione d'artisti, di meraviglia per il pubblico, ci sono in copia molto piu' abbondante di quanto non si pensi, altri ricordi ben meno appariscenti e poco noti, che indicano i vasti limiti di occupazione raggiunti dai nostri precedessori.
Nelle campagne ove il livello culturale e sociale era, similmente ad oggi, meno elevato, ove le comunita' composte da poche famiglie non potevano creare le grandi costruzioni architettoniche che sfidano i tempi furono altrove anche difesa naturale per la conservazione delle minori opere, la' nelle campagne, diciamo, ci sono altri ricordi che l'uomo ha inconsciamente affidato alla terra per la conservazione: sono le tombe.
E la terra che gli fu amica e per la quale visse traendo il frutto della sua fertilita' restituisce e restituira' i sacri pegni che rinchiude.
Se gli abitatori di questi luoghi comuni furono come anco oggi, preponderantemente umili contadini, hanno essi tuttavia cooperato alla grandezza di Roma con il fornirle i prodotti del suolo, gli uomini per le sue falangi conquistatrici, gli artisti o gli ingegni, gli amministratori o i condottieri.
Quei ricordi che essi inopinatamente ci hanno tramandato a mezzo di millenari giacigli e che ora esamineremo, sono dunque altrettanto sacri come le grandi opere artistiche che ammiriamo altrove; e' dunque un dovere, un bisogno di raccoglierli per la conservazione e non sono affatto scarsi di interessi.
La zona lombarda a Nord di Milano non ha, salvo qualche eccezione, dovizia di avanzi importanti di antiche romane costruzioni, ma pure un attento esame delle singole localita' ci mostra che la terra fu abitata palmo per palmo come pure lo fu molto prima da altri abitatori meno noti dei quali anche piu' raramente troviamo i tangibili segni; le tombe colla loro suppellettile funeraria.
Le via maestre da Milano ai laghi furono percorse certamente in ogni epoca dalla presenza dell'uomo nella zona. Egli si stabili' dapprima sulle paludi che abbondavano allora e sui bordi dei laghi.Si vuole che anche a Milano fosse in mezzo ad estese paludi e la sua origine rimonti all'epoca delle palafitte. Infatti fra le 26 interpretazioni etimologiche sul suo nome, constatiamo che 11 accennano alle "paludi" e "al luogo di mezzo" (in mezzo alle acque?). Vedere: Romussi, Milano e i suoi monumenti.Forse anche Legnano aveva allora la sua paludeLa creta accumulatesi nei terreni bassi attorno al castello, adiacenti al decorso dell'Olona, lascia adire a tale supposizione; ma vedasi piu' avanti. per quanto di tali abitatori non si sia ancora trovata traccia. da noi.
Besnate ( la Lagozza) e le rive occidentali del lago di Varese ci diedero nelle loro torbe molteplici oggetti di selce cioe' lame, coltelli, frecce, martelli che attestano dell'esistenza semplice che condussero i remotissimi abitatori delle capanne e delle palafitte.
E le palafitte stesse furono trovate abbondantemente nel lago di Varese e segnatamente all'Isola Virginia; sono gli avanzi dell'abitazione umana di un tempo, nel quale abitare sopra l'acqua gli era necessita' per garantirsi contro gli attacchi delle fiere.
Le prime testimonianze scritte dall'uomo le abbiamo nelle stele in carattere nord etrusco, stilate da destra a sinistra, che furono rinvenute in varie localita' come Vergiate, Como, Lugano, Locarno e si riferiscono a tombe di un popolo che abito' la zona fra il VII° e il VI° secolo ac..
La via da Pavia a Sesto Calende lungo il Ticino diede alla luce sovente tumulazioni dei successivi Galli composte di anfore con ricchi corredi di ornamenti in solo bronzo.
Il suolo ridente di queste nostre contrade fu dunque una costante attrattiva dell'uomo nei vari periodi della sua esistenza; esso nel suo bisogno di andare al nord le percorreva guidato dai fiumi che lo conducevano ai valichi montani. In quel tragitto, le lenti coorti  migratorie, degli elementi si staccavano, si allontanavano dalla via principale per andare a creare nuovi nuclei abitatori.
Ma dicevamo, un attento esame ci mostra che dappertutto avvenne l'espansione seguendo le leggi naturali che non cessano neppure oggi di avere la loro costante applicazione; e dappertutto si trovano oggi o si trovarono in passato le deboli tracce dell'esistenza umana attraverso tempi anche molto lontani.
Gli elementi sin qui raccolti a Legnano ci attestano la presenza dell'uomo soltanto a partire da 4-6 secoli prima di Cristo. Non raccogliemmo mai oggetti dell'eta' delle palafitte e comunque dell'eta' della pietra, ma non tarderemo a trovarne se pure cio' e' connesso a non lievi difficolta'.
I Galli, i Romani dell'epoca Repubblicana e quelli dei primi secoli dell'Impero Romano erano si sa di religione pagano e avevano l'uso di cremare i morti deponendo in un'urna sottoterra i residui del rogo.
I Romani dei secoli successivi a Cristo invece erano cristiani e seppellivano i loro morti con il rito dell'inumazione. Le loro sepolture sono costituite da tombe lunghe quanto la persona e create in vario modo, come vedremo.
Col rito pagano della cremazione era uso di offrire al morto cibo e bevande per la vita che credevasi dover esso condurre nell'al di la'. E si mettevano in un piattino o magari in bocca al morto stesso una o piu' monete onde esso potesse pagare Caronte per il traghetto sul fiume Stige. Si mettevano percio' nell'urna dei vasi di terracotta per cibi e bevande, e gli attrezzi personali del morto quasi ch'egli dovesse ancora servirsene poi. Sono il coltello, la cesoia per tosare, fibbie, anelli o nel caso di matrone, gli oggetti di lusso o da toeletta come braccialetti, anelli, fibule, specchi e pinzette.
I vasi di terracotta che si portavano in offerta erano talvolta cosi' numerosi che non trovando posto tutti nell'urna venivano collocati anche fuori vicino ad essa, dentro nello stesso loculo scavato per l'anfora,
Il loculo veniva infine riempito di carboni e terra del rogo e della terra dello stesso scavo.
Queste usanze differenti per ognuno dei popoli che ci precedettero, sono per noi preziose perche' ci offrono il mezzo per riconoscere a quali stirpi appartennero le tombe che si trovano e permettono di gettare sguardi nella vita che esse conducevano. Sono millenari segreti che la terra polverosa od umida, fertile o arida, rinserra e  via via ci restituisce per casi fortuiti o per sistematiche ricerche.
Il suolo di legnano contenne abbondantissime le tumulazioni romano pagane in vaso di terracotta e non meno quelli romano cristiane fatte a cassetta con embrici in terracotta. Ne vengono ancor oggi alla luce in occasione di scavi per fondazione ma piu' rare sono quelle dei Galli ed introvabili sin qui quelle dei popoli preistorici.
 
Il rito pagano della cremazione.
 
In vicinanza delle agglomerazioni maggiori, lungo la strada principale che esce dalle abitazioni, era stabilito un luogo per le sepolture, le necropoli preferibilmente su una vicina altura o su un dolce declivio.
Negli aggruppamenti minori o per gli abbienti, la tumulazione avveniva anche nel giardino delle loro stesse case cio' che ci spiega alcune urne isolate che si trovano qua' e la'.
Ma la legge prescrisse poi per ragione igienica che  "in urbe ne seppellito neve unito" percio' la maggioranza dei ritrovamenti le urne non sono isolate, ma sono raggruppate in necropoli, il che non puo' apparire a priori perche' per l'alternarsi delle secolari colture, molti loculi sono scomparsi negli sconvolgimenti che subi' il terreno, diradando le originarie tombe.
Nelle nostre campagne fu l'introduzione della coltura del gelso dal XII al XIII secolo che die' inizio alla distruzione lenta ma costante dei ricordi che ci interessano, inquantoche' per piantare i gelsi nuovi e per estirpare i vecchi si fanno delle buche nel terreno che arrivano alla profondita' di sino a un metro, giusto appunto come sono profonde le anfore dei pagani.
La coltivazione comune della terra coll'aratro invece non toccava tali vasi sino a tento che l'aratro era in legno. Il recente aratro in ferro che scava a maggiore profondita' arriva piu' sovente a decapitare le anfore piu' alte. Da questo quadro si vece come il celato materiale vada sicuramente assotigliandosi ed urge raccoglierlo la' dove ognora si trova.
Il morto, unto di grassi aromatici o balsami contenuti nei balsamarii, vestito degli abiti di festa ed avvolto in un drappo, veniva deposto dai parenti sulla catasta di legnaIn talune localita' il morto veniva adagiato in un0amaca o rete di amianto sotto al quale veniva consumato il rogo. Vediamo una tale rete ben conservata al Museo di Aquileia.e branchie di albero preparate su uno spiazzo (ustrinum)Trovammo anche a Legnano (necropoli di Via Novara) un ustrium, vedere la piantina.di un paio di metri di diametro, infossati nel terreno per 50-80 centimetri.
Ai piedi della catasta venivano dai parenti ed amici deposti alcuni balsamari che avessero recato per simbolica offerta. La legna era cosparsa di resina ed oli e i parenti volgendo il dorso alla catasta le appiccavano il fuoco ed attendevano quindi raccolti la consumazione del rogo.
Il giorno successivo si recano di nuovo sul luogo per raccogliere le ceneri, assistere alla loro introduzione nell'urna e alla deposizione nella buca gia' preparata.
Le buche erano del diametro di 50 a 70 centimetri di profondita', distanziate un metro una dall'altra in ordine sparso, cioe' non rigorosamente allineate. Nell'urna venivano dunque immesse le ceneri ovvero i frammenti maggiori delle ossa calcinate sul fuoco e sopra ad esse un piatto cogli attrezzi personali del morto ed a fianco o0 ancor sopra agli altri vasi che i parenti e amici avevano recato in offerta. Qualcuno degli amici graffiva sul vaso offerto il suo nome o le iniziali relative. Intorno all'anfora, fuori, venivano messi dei grossi ciotoli a mo' di protezione e sopra ad essi veniva buttata la terra nera residuata  dal rogo. I vasi che non avevano trovato posto nell'interno dell'anfora venivano deposti fuori sulla terra di riempimento nella quale i fedeli conficcavano colla punta in su dei grossi chiodi a titolo di portafortuna per il morto onde scongiurargli gli attacchi degli spiriti maligniVedere Rivista Arch. Comense.
La bocca del vaso veniva chiusa da un'embrico o dalla meta' superiore dell'anfora stessa, quando l'anfora era stata appositamente segata per servire alla bisogna,Nel museo si conserva un'anfora proveniente sa San Giorgio, dalla vai Umberto I°, che e' visibilmente segata per tre quarti alla periferia e poi spaccata a mano. Altre trovate a San Lorenzo sono tagliate a colpo di scalpello, mentre buon numero di quelle in via Novara a Legnano erano anfore gia' rottesi accidentalmente. Nel museo si conservano pure le anfore di Aquileia, nelle quali era uso frequente fare un foro laterale per la sola immissione di ceneri.e la fossa veniva poi ricolmata dell'altra terra creatasi collo scavo della buca.
I pagani avevano un culto profondo dei trapassati e delle loro spoglie mortali; non distruggevano neppure dopo molti secoli i loculi che consideravano perennamente sacri.
Cio' si spiega che perdutosi poi il ricordo della loro ubicazione pel trapasso al cristianesimo, essi si sono copiosamente conservati sino ai giorni nostri. E ci sono utili ora per conoscere la loro vita quasi ci parlino un muto linguaggio.
Dicemmo che nelle urne troviamo gli attrezzi personali dell'estinto. Il coltello da cucina della casalinga, il coltello pugnale del lavoratore, la cesoia a molla del pecoraio, il raschiatoio del lavoratore delle pelli, l'ago del sarto, lo specchio della signora e cosi' via.
Non si uso' presso i popoli delle nostre regioni di sacrificare al morto gli oggetti di ornamento in metalli preziosi. Mai trovammo oggetti d'oro o d'argento mentre le fibule, gli anelli da dito, i braccialetti offerti sono solo in bronzo o ferro. Gli anelli da dito che si trovano accusano sovente d'esser stati nel rogo cioe' non furono tolti dal dito prima della cremazione.
Tali oggetti di ornamento ricorrono del resto piuttosto raramente il che ci fa credere che erano poco usati, o era frequente l'uso di tenerli in famiglia come ricordo.
E' prossima la supposizione che i piu' abbienti portassero l'anello d'oro o d'argento e che esso perche' di valore venisse poi conservato dai parenti. Un esame del corredo di ogni singola tomba mostra che su 18 agiati, solo 10 hanno l'anello nella tomba e di questi solo 6 sono in ferro (4 con pietre e 2 senza) e gli altri 4 sono in bronzo. E l'anello degli altri 8??.
Leggiamo che l'anello in ferro, con pietra era piu' valutato che quello in bronzo, perche' il ferro all'epoca dei primi imperatori aveva perduto la caratteristica del prezioso che godette fino alla seconda epoca del bronzo quando per essere appena introdotto, lo si usava esclusivamente per gli ornamenti.
In talune tombe ricorrono i lacrimogeni con relativa abbondanza: sino a quattro in un'anfora: in altre non ce ne sono affatto. La supposizione e' prossima che le prime siano tombe di signore, le seconde di uomini. Si piange di piu' sul tumulo di una donna. Ed infatti il lacrimogeno ricorre piu' frequentemente col coltello da cucina che non con gli altri attrezzi di uso piu' mascolino. Pero' e' difficile stabilire fra le fialette di vetro quali erano lacrimogeni e quali balsamari cioe' destinati ad essenze oleose ed odorose colle quali il morto doveva venire unto.
Talvolta troviamo nell'urna delle piccole riproduzioni in terracotta delle urne stesse: Si tratta di una offerta di minima spesa  e chi la porto' non fu certo un adulto che potesse umiliarsi a regalare un tale trastullo. E' il bambino o il nipotino che commosso fece sacrificio al suo caro di tale oggettino che poteva ben servirgli come giocattolo.
Nelle urne si ripetono con molta regolarita' tre oggetti di suppellettile in terracotta: sono il piatto, il vasetto a bordo extroflesso e la brocca per il liquido con ansa e beccuccio.
Essi costituiscono l'offerta minima necessaria ad ogni morto, direi il corredo normale di una sepoltura, il quale e' intuitivo che fosse offerto dai parenti stretti del trapassato. Tali oggetti sono deposti immediatamente sulle ceneri come dicemmo e nel mito pagano servivano per l'offerta del cibo e della bevanda dei quali doveva nutrirsi nel lungo viaggio.
In alquanti casi trovammo sicuri indizi che degli alimenti erano stati deposti nei vasetti accessori e persino riconoscemmo che erano cibi cotti. Nelle collezioni del museo civico di Legnano si conservano ossicini di pollo e di capretto estratti dallo scrivente da tali ciotoline. Soventissimo a seconda dei luoghi, le ciotole, piatti e brocche compaiono in soprannumero e come dicemmo non trovando piu' posto van deposti fuori a contatto con l'urna stessa. Sono le offerte di molti amici intimi che mossi dalla credenza o dal rispetto umano concorsero ad alimentare l'estinto per piu' lungo viaggio. Ma dopo i parenti e gli intimi amici, ci sono altri gruppi di persone che pur debbono un tributo al morto ma non sono in famigliarita' di offrirgli gli alimenti od oggetto di utilita'.
Essi recheranno la lucernetta ad olio simbolo di quella lunga vita che precisamente e' mancata al morto, ma che l'affetto dell'offerente vorrebbe ancora perdurare, le ciotoline eleganti, leggiere, oggettini di lusso che indicano in chi offre piu' un bisogno di sdebitarsi di qualche favore ricevuto che non di dimostrare un affetto sentimentale.
Vediamo la schiera degli offerenti circondare il loculo aperto nel quale e' gia' introdotta l'urna e i residui del rogo. Ognuno reca in mano il suo oggetto e i parenti prima e gli amici poi, gareggiano per porgergli al "vespillo" onde essi vadano a toccare le ceneri, o almeno risultino vicino all'urna.
Egli depone prima il piatto vi ripone sopra gli attrezzi personali purificati dal fuoco e contorti o spezzati a dimostrare che anche il loro uso deve essere finito dopo la dipartita dell'affezionato detentore. Sopra la brocca od idria e di fianco una ciotola per alimento coprono facilmente il non grande spazio interno. Se nella ciotola erano realmente contenute delle cibarie, le si metteva sopra un piatto od altro onde la terra non vi penetrasse egualmente e noi tutto troviamo invaso da terra di infiltrazione apportata dalle acque nei periodi di allagamento annuale del sottosuolo.
L'obolo per Caronte era generalmente posto in una ciotolina, talvolta dentro, talvolta fuori dal cinerario. Trovammo in un sol caso una pignetta di tre monete sovrapposte mentre non sempre la moneta vi fu immessa e generalmente una sola eravi deposta.
Dei vasi offerti, ne venivano messi nell'interno dell'urna quanti ce ne stavano per coprire il piano delle ceneri, il quale raggiungeva l'altezza del massimo rigonfiamento dell'olla. Siccome l'urna era previamente contornata all'esterno con un po' di terra che la reggesse in piedi e questa e' terra nera del rogo mista a detriti carboniosi, le offerte che non avevano trovato posto nell'interno venivano ora messe fuori intorno adagiate sulla terra nera. E piu' fuori a mo' di protezione venivano messi dei giri di grossi ciotoli che circondando il tutto venivano quasi sempre a riempire la buca. Gli intersizi esterni venivano via via riempiti colla terra vergine della buca stessa, mentre quelli interni venivano colmati colla terra nera del rogo.
Mentre tale operazione procedeva per mano dell'affossatore, gli intervenuti buttavano nella fossa dei chiodi o ferri vasi che avevano analoghe funzioni. Era credenza popolare che tali offerte avessero la proprieta' di scacciare gli spiriti maligni d'attorno al morto nella sua nuova vita. Dei chiodi di trovavano non di rado anche nell'urna. Per esercitare la loro supposta funzione, essi dovevano essere conficcati punta in su nella terra; ma tale regola era poco conservata. Per analogia che corre, ci viene naturale di rievocare qui un'odierna credenza tedesca per la quale, verso la fine della grande guerra, i tedeschi accorrevano a conficcare dei chiodi nella statua di Hinderburg.
L'urna veniva poi coperta da un tegolone rettangolare di circa 54x45 cm. e spesso 3 a 3 cm. avente due risvolti sui due lati piu' lunghi, oggetto caratteristico perche' fu sempre trovato munito di una sigla interessante eseguita con un pettine d'osso o legno a soli 3 denti.
Vedremo piu' avanti che tale embrico ebbe anche un suo uso particolare per le tombe cristiane, ma qui in epoca romana esso era noto anche come tegolone del quale erano coperti i tetti delle case in muratura.
La sigla che si vede in fotografia aveva indubbiamente il significato dell'"omega" cioe' dell'ultima lettera dell'alfabeto greco con la quale si volle indicare l'uso particolare dei tegoloni per le tombe.
Negli scavi di Via Novara del primo secolo trovammo sui tegoloni la sigla 1° mentre su quelli dei secoli avanzati trovammo promiscue sigle I° e II°.
Su quelli della costa di San Giorgio dei tardi secoli trovammo pure le sigle I° e II° molto piu' vicine benche' mai nella stessa tomba.
Su quelli di San Lorenzo del I° secolo trovammo la sigla 3°.
Nella necropoli romana di Gallarate, nel podere dei fratelli Coarezza verso Arnate, gli embrici sono privi di sigla sebbene da speciali incastri che essi posseggono risulti evidente che essi erano appositamente costruiti per l'uso esclusivo delle tombe.
A Milano in Castello Sforzesco, ci sono degli embrici che posseggono analoghe sigle, ed altri con diciture incise a mano prima e dopo la cottura.
Gli embrici delle tombe di Savona sono identici a quelli di Via Novara, anche nella sigla che e' del tipo di sinistra. Cio' conferma lo scopo non solo rituale animistico mistico della sigla ed esclude l'ipotesi che essa fosse marca di fabbrica. Le differenze riscontrate stanno a dimostrare che la costumanza della sigla fosse ad libitum del figulino.
Le diciture incise dopo la cottura sono espressioni dei dolenti verso l'estinto, sono gli ultimi contatti spirituali fra i famigliari ed il trapassato; le troviamo qualche volta anche sui vasetti.
Pure la scelta del tipo di urna cineraria, non vigeva una costumanza rigidamente osservata. Nel 70% dei casi e' un'anfora vinaria che riceve le ceneri e la suppellettile; divideremo in due categorie queste anfore: quelle adoperate nuove per la bisogna e quelle gia' rotte, inservibili ormai per l'uso dei liquidi le quali trovano una conveniente utilizzazione. E sono queste le piu'. Ma anche le anfore nuove non potevano senz'altro servire per la sepoltura perche' il loro collo stretto non avrebbe permesso l'introduzione delle suppellettili sul letto di ceneri, ond'ecco che esse vennero segate o spaccate dopo averle intaccate tutto attorno con un bulino.  Aperte che sono in due meta', il bisogno impellente del rito di posarvi le suppellettili accompagnatorie ha il suo libero sfogo. L'anfora viene poi interrata in piedi con sovrapposta la meta' superiore a guisa di copertura vedere anche le anfore di San Lorenzo). E cosi' troviamo in terra l'anfora apparentemente intiera e riparabile.
Invece le anfora gia' inutilizzate per precedente rottura troviamo facilmente mancante qualche coccio. In altre localita', per esempio a Verona ed Aquileia, vedemmo anfore che furono adoperate nuove, senza segarle, introducendovi solo la cenere senza gli oggetti accessori che erano deposti fuori vicino.
Nel 30% dei casi, altri tipi di vasi furono adoperati per le sepolture. Sono vasi a fondo piano, sono pentole curiose, sono perfino grandi ciotole del tipo per alimenti, sono brocche per liquido previamente decapitate.
Qualche povero morto fu deposto su un semplice coccio di anfora.
Questa variabilita' dei modi di tumulazione e' ai nostri occhi ricca di significato e ci permette di penetrare con sguardo indiscreto nell'umilta' di talune cerimonie mentre ci rendno evidente la relativa agiatezza di altre.
Risulto' chiaro che la famiglia di un ricco significava un'anfora nuova, quella di un povero trovava il sacrificio duro e ricorreva alle economia. Cosi' si spiega che un adulto potesse essere deposto in una brocca; o in un vasetto di alimenti; un bambino su un solo coccio di anfora, grande non piu' di due palmi di mano.
Vedremo poi che alla Costa di San Giorgio e a San Lorenzo un  numero notevole di tumulazioni nel tardo paganesimo avvenne senza il minimo uso di suppellettile ne' di anfore.
Nella terra si riconobbero ivi le buche di tumulazione e a piccola distanza fra di loro, riempite della terra nera del rogo, ma non un coccio, non un chiodo, non un segno della pieta' di patenti ed amici. Un senso di tristezza ci accompagna in tali luoghi di dolore non alleviato da una parola amica. Chi puo' penetrare nel mistero di tali tumulazioni? Epidemie? Condannati? Morti in tempo di Guerra?.
 
 
 
IL RITO CRISTIANO DELLA INUMAZIONE
 
Coll'avvento del cristianesimo per opera degli apostoli di Cristo e sei suoi seguaci i martiri delle catacombe, il modo di tumulazione ando' mutandosi. I cristiani usavano l'inumazione della salma percio' col proseguire del tempo scompare la cremazione per dare luogo all'inumazione.
Con l'editto di Costantino Magno che nel 323 dopo Cristo promulgava il cristianesimo religione di stato la cremazione e' in contrasto colla legge e deve scomparire. Scompare il rito, ma sono rispettati i i luoghi sacri delle generazioni passate che noi ancor oggi troviamo qua' e la'.
Nelle nuove epoche dunque non piu' urne cinerarie colle ossa e ceneri del morto, ma tombe fatte in vario modo e sempre colla lunghezza normale della persona. Le tombe contengono lo scheletro disteso del morto.
Ma come ogni cosa umana l'abitudine e' difficile da sradicare ed un congruo tempo occorre per spegnere le usanze e sostituirle ad altre, cosi' nelle tombe cristiane perdurera' per un certo tempo l'usanza delle suppellettili funerarie pagane composta come dicemmo dei vasetti di terracotta e degli attrezzi personali del morto. Negli scavi della Costa di San Giorgio di epoca tarda cioe' del III° e IV° secolo, si constata chiaramente questo sfasamento di riti e lo spegnersi successivo delle usanze pagane.
La sepoltura cristiana dei primi secoli e' formata a Legnano, come in tutta la pianura fra Milano e e le prealpi, dalla cassa detta a "alla capuccina", lunga circa due metri e costituita da tegoloni di forma rettangolare aventi circa 43x56 cm. e 13 di spessore con due labbri a risvolto.
Tre tegoloni adagiati sul piano della fossa formavano un letto sul quale si deponeva il morto; ai due lati si accostavano quattro tegoloni per parte in posizione semiverticale che formando un triangolo sopra ad esso si incontravano fra di loro al vertice. Ad ogni estremita' u altro tegolone messo verticalmente chiudeva il foro triangolare. E cosi' sono 13 tegoloni per ogni tomba di adulto. Senza dubbio la triste nomea del n. 13 ha la sua origine nella circostanza che i 13 tegoloni fanno la cassa del morto. Ogni giunta di tegoloni veniva coperta all'esterno da tegole a canale, le tegole dette "romane" anche oggidi', lunghe 50 cm. che differenziano da quelle odierne solo perche' piu' lunghe e molto piu' convesse, cioe' a semicerchio quasi completo.
Molti ciotoli contornavano anche qui i tegoloni a mo di protezione e la suppellettile offerta veniva adagiata in contatto con le falde della cassa o presso il suo vertice man mano che la fossa veniva riempita di terra dello scavo.
Il coltello o gli attrezzi personali erano deposti sul corpo del morto ed al suo fianco nell'interno della stessa fossa. Pochissimi vasi accompagnavano la tomba.
Queste tombe si seguivano ad uno o due metri di distanza l'una dall'altra ed il loro orientamento era all'incirca da Nord a Sud.
Coll'andare del tempo la suppellettile si fece scarsa e poi scomparve del tutto. Piu' tardi anche la cassa di terracotta non venne piu' usata e si passo' certamente alla cassa di legno, ma nessuna delle tombe del territorio nostro, nelle quali la tumulazione era avvenuta senza i tegoloni fu possibile accertare la presenza della cassa di legno. Invece appare sicuro in molti casi che la tumulazione avvenne nella fossa senza alcuna protezione per il morto salvo forse un solo drappo o lenzuolo, un mezzo di occultazione della salma che era gia' in uso presso i pagani per il trasporto dalla casa al luogo del rogo, e che e' oggi ancora in uso nei popoli arabi ed altri.
Col cessare di ogni oggetto nella tumulazione, le tombe dei piu' non destano alcun interesse per noi; esse non ci recano piu' le espressioni del rito compiuto, non ci fanno piu' rivivere quell'attimo fugace di affetti e tristezze che costitui' il saluto al trapassato. Polvere era e polvere ritorno'.
Caduta la tangibile espressione dell'affetto e sacrificio dei dolenti, si comprende facilmente come col rito cristiano si spegnesse il culto della conservazione secolare delle spoglie mortali. Esso rimane ancora un privilegio per le persone elette le quali anche in tarde epoche furono deposte in tombe rettangolari in muratura coperte da una volta di mattoni o da beole (quale fu una trovata fra Legnano e Castellanza che descriveremo piu' avanti) oppure avelli scolpiti nel sasso massiccio e ricoperti da pesante coperchio pure di pietra. Non di rado gli avelli portavano una dedica incisa nel sasso come ad esempio quello trovato a San Lorenzo che illustreremo piu' avanti. Queste perenni sepolture erano fatte piu' frequentemente ai personaggi o guerrieri i quali vi venivano immessi in cappa e spada.
Cosi' pare che fosse anche la sepoltura trovata a San Giorgio in via Umberto I° della quale riferiro' cogli scavi di San Giorgio stesso.
 
 
 
VECCHIE RICERCHE E RITROVAMENTI IN LEGNANO
 
Il Professor Serafino Ricci, in uno ospucoletto di 15 pagine intitolato "La necropoli di Legnano" presentava nel 1901 le fotografie di vari interessanti ritrovamenti fatti in Legnano in localita' alquanto discoste fra di loro e riguardanti epoche varie dalla Gallica alla Medioevale.
Riprodurremmo tali notizie e le relative fotografie poiche' l'opuscolo e' esaurito e difficile riuscirebbe a rintracciarne qualche copia.
E' vero che esso portava un titolo un po' al di la' di quanto realmente poteva desumersi dai ritrovamenti enunciati, ma dobbiamo essere veramente grati al prof. Serafino Ricci relatore, ed al defunto Sig Aristide Mantegazza che ne fu l'informatore oltre che l'appassionato raccoglitore degli oggetti illustrati. Ma diciamolo subito che purtroppo gli oggetti la' ricordati sono oggi smarriti perche' nessuno penso' di radunarli sotto la tutela di chi ha cura della cosa pubblica; forse pochi potranno ritornare a Legnano.
La parte saliente dell'opuscoletto e' costituita dal ritrovamento di un'olla di terracotta fatto nella casa che il Sig. Borsani Cristoforo eresse in via Sempione (oggi casa del Comm. Fabio Vignati) e dalla disanima che l'autore fa del contenuto dell'olla stessa.
L'olla ando' in frantumi come purtroppo suole accadere quando il ritrovamento e' fatto accidentalmente. Il Sig. Mantegazza accorso pote' raccogliere gli oggetti di bro0nzo ma non l'anfora ne' un vasetto in terracotta che vi era contenuto. L'anfora era come si intuisce l'ossario di un cremato, anzi dai bronzi ritrovati si arguisce che trattasi di una donna e che l'epoca risale ad almeno tre secoli avanti CristoPurtroppo gli oggetti che si vedono in figura paiono passati nel 1902 al Museo Archeologico di Torino, ne' ivi sono rintracciabili in mezzo ad altri di provenienza non classificata
Nel centro un anello scendimpetto con raggiera a globetti, un dischetto sottile con foro, avanzo di un tintinnambulo composto da due dischi a emivalva che contenevano una pallina mobile tintinnante, Un braccialetto o collare con secchiolini tintinnambuli. Un'armilla; una catenella composta da anelli a maglia tonda. Varie fibule del periodo della Tene'. Vari secchiolini tintinnanbuli isolati. Alcuni anelli digitali.
Tutti questi oggetti sono cosi' tipici che classificano la sepoltura ad epoca preromana e ci riportano alla seconda eta' del ferro corrispondente al periodo di Golasecca e la Tene' II°. Il Prof. Castelfranco ritiene piu' esattamente di fissare l'epoca fra 400 e 300 anni avanti Cristo.
I vari fittili riprodotti intorno ai bronzi della figura non appartengono alla tomba dei bronzi ma sono di altre provenienze da Legnano e suo territorio e hanno carattere preromano quelli piu' rozzi, di pasta impura essicata al sole, e carattere gallico gli altri meno rozzi.
Il confronto con i fittili di OrnavasssoBianchetti Ferrero " I sepolcreti di Ornavassoe delle necropoli della Valsassina illustrati dal Castelfranco ci pongono in grado di riconoscere degli elementi liguri o celtici prima, gallici poi, e ci permettono di fissarci anche per essi sulla seconda eta' del ferro nel periodo di transizione tra l'elemento etnico dei Liguro-Galli e dei Galli-Romani.
La figura 11 invece contiene oggetti in bronzo, terracotta e ferro propriamente romani e di solito reperibile nelle necropoli romane, come i cucchiai, le armille ed altri oggetti in bronzo e le ampolline lacrimatoie e i balsamari in vetro e lucerne fittili. Altri oggetti sono di carattere Gallico come alcuni degli utensili in ferro. Si notino due fibule frammentose tipo La Tene'Atti della societa' Archeologica e Belle Arti di Torino per Lomello e Ornavassoche occorrono spesso nelle antichita' Lomelline e di Ornavasso e che bene si accordano con alcuni oggetti in ferro della stessa tavola e figura 12.
In quel miscuglio di oggetti di varie eta' che furono scelti fra i piu' caratteristici e che non potevansi altrimenti distribuire anche pel modo in cui erano gia' disposti, si trovano nella fig. 11 accanto alle chiavi, a fibbie, a utensili romani e di tempo tardo un chiodo gallico, una punta di lancia, un'armilla, oggetti che mi convincono della presenza copiosa a Legnano dell'elemento Gallico al quale accennava come ho detto il CastelfrancoDi questi oggetti non si conosce la provenienza esatta salvo che essi sono della nostra citta'; solo pel lacrimogeno piatto a mo' di borraccia asserisce la Signora Mantegazza che proviene dalla casa Legnani di via Ponte Carrato (oggi via Corridoni).
Cosi' pure ad elemento Gallico pare accennino alcune delle spade e le cesoie, mentre al elemento barbarico cioe' molto piu' tardo e di stirpe diversa pare accennino invece l'umbone di scudo ed altre armi della stessa figura, nonche' una specie di targhetta da cintura lavorata di cui si vede un frammento sotto l'armilla in ferro della figura 11.
Questi oggetti hanno intima analogia con quelli rinvenuti a Testone (odierna Moncalieri) esposti nella sezione piemontese del Regio Museo delle Antichita' di Torino.
Gli oggetti delle altre figure dell'opuscoletto appartengono piu' propriamente a periodo vario, come ognun vede, e servono a confermare la notizia di una necropoli gallo-romana e poi romano-barbarica a Legnano, cioe' la continuazione dell'esistenza della necropoli nella citta' e nel territorio, e la conferma di cio' che era stato rinvenuto nel 1886 dal Castelfranco, molto piu' che i ritrovamenti non provengono dal medesimo luogo. Infatti gli oggetti rappresentati non furono ritrovati in occasione di lavori  della ferrovia Milano-Arona, ma alcuni in occasione degli scavi per la grande vasca dello stabilimento Dell'Acqua nel 1887 (molti oggetti in ferro), altri nell'anno 1894 in seguito a scavi fortuiti in via Garibaldi.
L'anno dopo 11895 altri oggetti furono rinvenuti negli scavi per aprire cantine in casa Agosti in corso GaribaldiFu nel costruire la fondazione di un alto camino che a 5 metri di profondita' si trovarono un umbone di scudo, gli speroni e una spada, tutto di epoca barbarica. Gli oggetti furono portati a Milano in casa del Sig. Dell'Acqua, via Settala 45, ma oggi non si trovano piu'. In questo luogo sorgeva il convento di Santa Caterina dal quale alla sua ultima distruzione del 1924 si staccarono alcuni affreschi.     Ove esisteva l'osteria della Stella, di proprieta' di Lampugnani al n. 7 di via Garibaldi si trovo' l'umbone di scudo della figura e di alcune spade, ma oggi non possiamo piu' particolarmente designarli. Essi pare che siano passati al Museo di Torino, ma la' non si possono piu' distinguere da altri non essendo classificati.  Si tratta invece della casa in corso Vittorio Emanuele 17, angolo Alberto da Giussano, che e' la casa dell'ex sindaco Agosti (oggi casa Cittera) e il Sig. Aristide Mantegazza, sempre solerte raccoglitore, ritiro' i cocci dell'anfora che era gia' spezzata e gli oggetti che conteneva... ma oggi non c'e' piu' a Legnano.
Queste le notizie che nel 1901 scriveva il Prof. Serafino Ricci sui ritrovamenti antichi in Legnano; ma come si vede mancano alcune indicazioni dei luoghi.
Il maestro Pirovano Giuseppe, segretario della Congregazione di Carita' nelle sue "Memorie postume su Legnano" datate 1883 (egli aveva precedentemente scritto altre brevi memorie su Legnano), riferisce alcuni luoghi di ritrovamento con queste pagine:
".... Nelle vicinanze della borgata con ci fu dato di ritrovare antichita' romane,  ma bensi' tanto da una parte che dall'altra delle due coste che la nascondono alla distanza di mezzo chilometro, se ne trovavano a sufficienza, ne' e' fuori dubbio che i campi della Ponzella possano ancora fornircene...Ponzella (anticamente Poncena, vedi questo nome ripetuto piu' volte nei registri dell'ospizio di S. Erasmo del 1471) . In questa localita' piu' volte si ritrovarono vasi cinerari, sepolcreti e lucernette nonche' monete di Aureliano 270-275 d.c., Probo 276-282 dd.c., Massimino 286-305 d.c., nota del Pirovano stesso.
Delle reliquie romane trovate nei nostri campi, fanno fede oltre  quelle dei vari particolari possessori, la bella raccolta fattasi da Don Giuseppe BrambillaDalle indagini da me fatte per ritrovare tale collezione, risulto' che essa sicuramente ando' distrutta (non dispersa) per vandalismo del detentore, ereditario, verso il 1900.di Castellanza, consistente in anfore, vasi cinerari, speroni, fibule e altri oggetti dell'epoca, ritrovati nei suoi poderi posti nel territorio di Legnano e di altri su quello di Castellanza.
Facendosi un nuovo tronco della strada provinciale del Sempione che dal nuovo ponte dell'Olona, lasciando Castegnate in disparte e attraversando Castellanza sul piu' alto della sua costa per la Cascina Buon Gesu', detta popolarmente delle Corde perche' qui facevansi corde, fattosi un taglio di terreno per mettere piu' a dritto il tronco che ascende,Si tratta evidentemente del punto ove la via 29 Maggio si innesta nella via del Sempione, all'estremo nord di legnano.fui io presente allo scoprimento delle due belle anfore cinerarie, che vennero comperate dall'Ing. Introini di Busto Arsizio.
Piu' oltre di questa localita', andando per la costa verso Olgiate,Si fecero poi dei ritrovamenti modesti in localita' Fiorenza e quelli piu' ricchi dal cavo di sabbia che e' fra il cimitero di Castellanza e la Cascina del Buon Gesu' dai quali traemmo la fotografia di un elegantissimo poculus presso l'Ing. Prandoni.non abbiamo altre notizie in proposito, quantunque questo comune sia antico come vedremo in seguito.
Delle antichita' legnanesi delle quali siamo possessoriPresso gli eredi Pirovano non si pote' nulla rintracciare.accenneremo a monete romane quale quelle che ci danno schiarimenti di colonie romane qui stanziate e di cui ci ricordiamo non solo i vasi cinerari ma acnhe la terra che raccolse le ceneri dei corpi abbruciati entro la quale raccolsimo un sasso eguale quasi nella sua struttura lamellare alla lignite con traccia di opalino formato dall'ardenza del fuoco. In generale i zappatori di terreno tanto piu' negli scavi di ghiaia per le strade, allorche' vi trovavano qualche vaso, anfora o sepolcreto, amanti piu' della scoperta di un tesoro che delle rispettabili antichita', queste cadono a pezzi sotto ai colpi dell'impavida zappa a pronta soddisfazione dell'ingorda avarizia di chi la maneggia. In tal modo vanno dispersi i frantumi dei quali riesce il piu' delle volte ad un conoscitore di difficile argomento di conoscere l'origine storica e la configurazione dell'infranto oggetto.
Il contadino qualche volta nello scavo fosse per piantagione di gelsi, scopre qualche vaso o sepolcreto ma di cio' osservato non esservi di che possa interessarlo si serve del vaso per qualche ordinario uso proprio e il mattone romano che serviva di coperchio se non e' spezzato prima che veda la superficie, viene adoperato come sedile.
Circa alle citate monete antiche, crediamo opportuno di non nuovamente trascriverle essendo queste palesate gia' nell'Omaggio della Societa' Lombarda al VII centenario della Battaglia di LegnanoVolumetto esaurito ma visibile a Brera a nell'Accademia.e brevi cenni storici della Battaglia di legnano - Busto Arsizio - Tipografia Volonterio, da noi fatto stampare per l'accennato centenario a corredo di quanto venne omesso nel capitolo Legnano dal suddetto Omaggio.
Del periodo dei Longobardi pure abbiamo scoperte da ricordare; per esempio:
" nel 1868 ai 3 di marzo scavandosi la creta nel prato di San magno, verso Levante fu ritrovata una tomba coperta da un vergine banco di creta che dalla sua base sollevavasi all'altezza di metri 1,5, contenete un polveroso scheletro reso annichilito dall'infiltrazione cretacea che ne investi' il contenuto fino alla citata altezza, al di sopra del tumulo di un metro".
Ci domandiamo quanti anni ci sono voluti per formare quel banco a furia di torbidio delle acque? Quel banco di creta non contava la misura della cotecca del prato ed era a un fondo piuttosto solido e non pantanoso. Noi non possiamo convincerci che quel tumulo composto di embrici della dimensione di 40x55 cm. e di buona cottura da fornace, fosse posto in un fango; attesoche' lo trovammo appoggiato su un solido terreno e la creta presentava la sua vergine compagine, da escludere  totalmente la mano dell'uomo.Il Pirovano cade nell'errore di credere che la tomba sia stata posta sul nudo terreno e che il tempo a mezzo di allagamenti avesse deposto la creta per lo spessore di 1,5 metri sopra di esso. Come concilia del resto egli la deposizione di tombe in questo luogo ove a dir suo in epoca romana esisteva un lago?. Gli e' che se non un lago certo una zona di allagamento annuale del fiume Olona esisteva intorno al castello di Legnano, ma in epoca ben piu' lontana, preistorica, alla quale va ascritto il deposito della creta, proveniente dai terreni cretacea dell'Alto Varesotto; depositi di creta che troviamo del resto non solo qua ma anche molto piu' sotto, fino ad oltre Milano e danno il lavoro alle numerose fornaci che vi si trovano. Come vedemmo gia' prima, le tombe romano--cristiane a cassetta venivano poste a circa un metro di profondita', ma seguendo un criterio gia' constatato per le tombe pagane, tale profondita' subiva variazioni piu' o meno a seconda del terreno alluvionale (ciotoli e sabbia) era piu' o meno profondo. La regola appare essere "le tombe siano deposte colla loro base direttamente sul terreno permeabile", il che si fonda su principi di igiene. Il Sig. Francesco Dell'Acqua mi disse che in tale prato furono trovate piu' volte delle tombe formate da tegoloni disposti a triangolo con ossa dentro e vasetti, ma nulla si salvo' all'infuori di qualche moneta che peraltro non potemmo vedere e quindi erano tombe del III IV secolo d.c.Questi embrici si collegavano assieme nei lati e nel coperchio, con gli appositi risvolti e marcati da una sigla che la ricordiamo nelle pietre della chiesa di S. Ambrogio a Milano.
Nel ripostovi scheletro rimasero solo le corone dei denti d'uomo piuttosto giovane e qualche rimasuglio di femore. Se le zappe dei fornaciari non avessero rotta quella creta internatasi (sotto gli embrici) si sarebbe potuto stabilire dall'investitura rimasta a modo di stampo, la grandezza e forse la forma di quel sepolcro ma di cio' nulla, se non che' l'ocria tinta di un lungo spadone, che' pur esso corroso; cio' non di meno possiamo attestarne la lunghezza di metri 1,05; larghezza verso l'elsa di cm 5; grossezza cm. 2 dipartendo dal manico che manca del tutto per indicarlo di ferro, non avendo la creta nessun segno di ruggine; per il che lo supponiamo che fosse d'osso o di legno.
La lunghezza e grossezza di questo spadone assai dimostrano essere arma adoperata a due maniIl Pirovano ha misurato lo spessore di 2 cm. sul pezzo enormemente ingrossato dall'arruginimento; pero' lo spessore originale non poteva superare 6-8 mm. anche se molto grossa.
Da qualcheduno tale sepolcro si volle attribuire ad un avanzo della battaglia di legnano, da altri da quella di Parabiago; ma ne' l'una ne' l'altra induzione ci fornisce abbastanza prove a credere veritiere, da che supponiamo che i guerrieri di quei secoli portavano celata ed usbergo maneando invece nello scoperto tumulo totalmente ogni indizio di corrosa armatura od impronta che ne indicasse colla ruggine l'esistenza di tali oggetti, come si verifico' nel 11818, facendosi la strada comunale da Legnano a San Giorgio; sulla colma di questa ritrovossi un mortuario avello con scheletro ed armatura, che fu portata via (ben inteso venduto dai zappatori) al Dottor Gaspare Bossi notaio legnanese.
Nel 1851 nel prato Pellegrini si rinvenne una cisterna o tombino continuato verso settentrione del Castello contenente qualche palla grossa di cannone e dei calci di fucile.
In uno scavo di ghiaia fatta nel 1863 in vicinanza della filatura (in oggi Bianchi Cuttica) fu rinvenuto uno scheletro di cavallo e poco lungi uno umano con monete d'argento dei Cantoni di Unterwalden, Uppenzell, ecc, coll'impronta di San martino patrono di quei cantoni svizzeri. Tutte queste scoperte ci guidarono alla storia dei loro tempi, imperroche' se quella di San Giorgio ci porta alla battaglia di Federico Barbarossa anche per la quantita' delle ossa ritrovate poco piu' in la' del corazzato guerriero e per il nome che aveva il villaggio di San Giorgio Sottero, quasi ad indicare con tal nome la localita' dei sepolti battaglieri, ben totalmente opposte sono le scoperte del 1851 e del 1863 che chiaramente ricordano l'ammutinamento dei polacchi, ecc.
Ora ritornando al tumulo di San magno noi siamo pienamante convinti essere quello di un guerriero Longobardo attesoche quei popoli discesero in Italia non forniti di armi certamente come i popoli civilizzati ma semplicemente armati di una mazza e alabarda ed i piu' di un lungo spadone che per grossezza quasi serviva piu' di colpo che di taglio non avendo quella tempera che rese in seguito tanto celebri le fabbriche di Milano.  A causa della mancanza di tempera infatti lo spadone si corrose assumendo una struttura lamellare a sfoglie. A farci piu' identici nel nostro esposto. concorrono pure varie monete di quei tempi che faremo conoscere al lettore:
" nel suddetto prato consumandosi la creta si trovo' pure due monete una d'oro e l'altra di rame". La primaIn possesso del fisico Dott. Ferrario a Gallarate ed ora di suo figlio Scipione a Samarate.appartiene a Tiberio II° (578-582 dopo Cristo) cioe' ad un'epoca in cui le arti e la scienza della lingua latina erano all'estremo della decadenza per il che le monete di quell'epoca erano quasi tutte spropositate dando ai numismatici un difficile compito a decifrarle. Nel retro di questa prima moneta si legge Victoria Augustorum Conob.
La seconda e' una moneta bizantinaVenne descritta dal Sig. Vigore, giudice del mandamento di Busto Arsizio, appassionato cultore di numismatica.cuprea del diametro di 25 millimetri nel cui diritto presentasi il mezzo busto di Leone VI visto di fronte, con diadema orientale adorno di tenie, sormontato da una piccola croce; l'ampio suo paludamento scende in larghe pieghe da destra a sinistra del petto, in giro la leggenda: Leon Basileus Romeon. Nel retro senza tipo la leggenda + Leon ENOEO BASILEUS ROMEON. (Leone VI detto il filosofo fu imperatore di oriente dal 886 al 911 dopo Cristo).
Fra le tante monete ritrovate, meritano particolare menzione quelle d'argento rinvenute in un'anfora sepolta nella creta del prato detto di San Magno dietro al castello, sulla destra del ramo dell'Olona che per un tratto fiancheggia la strada per San Vittore.
Erano numerosissime monetine coniate ai tempi della repubblica romana, riferentesi agli anni 485 della fondazione di Roma ossia 753 (?) anni avanti la venuta di Cristo. Queste monete ben conservate sono di famiglia portante le figure di Castore e Polluce a cavallo e la parola Rome sotto alle loro cavalcature; le altre invece avevano un leone; tutte queste monete portavano sul retro una testa di donna, taluna con cimiero e ali all'orecchioFu un ritrovamento eccezzionale ricchezza e soprattutto molto interessante per noi. Era un vero tesoro personale nascosto; uno di quei ritrovamenti quali accadono di rado ( (ed oggi sono passati 44 anni) ma pur accendono la fantasia e le smanie degli sterratori al danno dell'archeologia.. Di tali monete ce ne sono 28 al Castello Sforzesco a Milano, pervenuteci a mezzo del pittore Bertini, ed una ventina o piu' ne possiede l'ing. Roberto Dell'Acqua a Milano delle quali ce ne cedette una che porta nel diritto: Testa di Diana e nel rovescio: Gallius Lupercus colla legenda: MASSA. Le altre moltissime sono passate a mani ignote a noi e vedremmo volentieri che venissero portate al Museo. Si tratta di monete galliche coniate nella stessa Lombardia fra il 2° e il 1° secolo avanti Cristo, gia' sotto la dominazione della Repubblica Romana. Infatti nel gruzzolo si trovavano anche monete consolari romane coll'effigie di Roma con elmo alato sul diritto e due dioscuri a cavallo in corso sfrenata con la dicitura ROMA nell'esefra, quali ne conserva il ing. Dell'Acqua. E' cosa singolare che in epoca politicamente romana si coniassero ancora molte monete galliche, ma e' un fatto accertato e non esclusivo in quell'epoca. Tale moneta era benvisa dal popolo nel quale le tradizioni ataviche non erano ancora del tutto estinte. Alla moneta gallica o Massaliota che dir si voglia veniva attribuito un alto grado di fido che la faceva desiderare, un po' come oggi noi tratteremo piu' volentieri la moneta aurea anziche' la moneta cartacea o di nichelio. Cosi' si spiega che in periodo politico Romano si aveva la coniazione delle monete galliche. Non sono falsificazioni ma imitazioni ufficiali.
Uno scheletro che ci riporta ad epoca preistorica venne ritrovato il 22 marzo 1871 in un vergine strato di sabbia, frapposto a due di conglomerata ghiaia, alla profondita' di 3 metri sotto le fondamenta di una casa del 1200. Lo scrivente conserva di questo scheletro la mandibola inferiore e un pezzo di femoreNon c'e' piu' oggi.
Scrive poi il Pirovano nel suo diario: "4 settembre 1885: alla cascina San Bernardino si scopre un'ala romana. Ne e' avvisata la societa' Archeologica - 5 settembre: invitatolo scrivente a portarsi a San Bernardino come sopra, ne fu dato di constatarne un'altra, e un pezzo di frammento lapidarioLe cosidette are sono due cippi i quali appunto ci racconta il Rag. Figini che furono ritirati dalla cascina San Bernardino non senza difficolta' per le pretese di possesso accampate da un contadino. Il frammento lapidario e' smarrito; sara' al Castello a Milano?. (26 bis) Vi e' una ragione per credere che questa via era in quella direzione Ponente-Levante per accedere alle scuole Mazzini della I° epoca e ancor oggi (1962), cioe' un avanzo del sepolcreto gallico che io potei scavare piu' sotto nel 1937 ma nella sola via Calatafimi, com'e' noto dalle mie relazioni.
 
14 febbraio 1888: Innalzandosi una fabbrica nel primo cortile del palazzo arcivescovile in via Magenta, con al di sotto una ghiacciaia, si rinvenne un fondamento d'antica origine avente la larghezza di metri 2 ed uno di altezza, nell'eguale costruzione del vecchio campanile di San Salvatore (ora San Magno) - 15 settembre 1889: nella via fattasi al centro del fondo dell'ex convento di San Angelo si rinvennero vari cocci di vasi cinerari e di stoviglie antiche che vi subirono gia' un rivolgimento di terra". (26 bis)
Questo dunque cio' che ci racconta il Pirovano che benche' poco erudito ci da' una serie di indicazioni precise che troveranno conferma dai ritrovamenti da noi stessi fatti dal 1925 in avanti nelle stesse localita' ed in varie altre e dalle informazioni assunte presso persone anziane allo scopo di integrare il lavoro del Pirovano possibilmente senza soluzione di continuita' nel tempo.
Un'altra importante notizia ci da' il Prof. Castelfranco, gia' direttore del Museo Archeologico di Milano, che scrisse nel 1886:
"Durante i lavori di costruzione della ferrovia Minano-Arona si trovarono vicino a Legnano molte tombe con ferri, vasi, ampolline di vetro, braccialetti di ferro di epoca romana e gallo-romana. Gli oggetti furono a me consegnati dall'Ing. Miani dirigente dei lavori". Di essi oggi null'altro ci resta che una parziale riproduzione in una rivista di archeologia dell'epoca malgrado che tutta la collezione personale del prof. Castelfranco da lui donata  al Castello Sforzesco sia la raccolta; gli oggetti di Legnano non ci sono, ne' e' conosciuta la localita'. Che l'indicazione del Prof. Castelfranco "vicino a Legnano" debba intendersi nel senso piu' stretto, cioe' di "molto vicino" e' logico, se si pensa che la professione esige di precisare quanto piu' si puo' i luoghi dei ritrovamenti.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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