PROFILO STORICO DI SAN GIORGIO SU LEGNANO
COMUNE DI SAN GIORGIO SU LEGNANO ASSESSORATO ALLA CULTURA
a cura di Francesco Guzzetti
Ottobre 2015 INDICE
Protostoria pag. 2
Età romana pag. 2
Medioevo pag. 4
Età moderna - dal '500 alla fine del '700 pag. 12
Età contemporanea – l’Ottocento pag. 20
Dall’inizio del XX secolo alla fine della II Guerra Mondiale pag. 26
Dalla fine della II Guerra Mondiale agli anni attuali pag. 37
Note e fonti bibliografiche pag. 50
Protostoria
L’area di San Giorgio su Legnano, poco più alta rispetto all’alveo legnanese dell’Olona (la preposizione “su” si riferisce appunto a tale dislivello), fu abitata fin da epoche remote. Nel 1926 l’ingegner Guido Sutermeister recuperò, tra San Giorgio e Canegrate, alcune tombe a incinerazione riferibili alla civiltà dei campi d’urne, diffusa dal XIII secolo a. C. su entrambi i versanti alpini. Da questi reperti prese origine la definizione della relativa fase protostorica come ‘cultura di Canegrate’. Gli scavi successivi del triennio 1953-1956 portarono alla luce quasi 200 tombe, cifra di rilievo per una necropoli dell’età del Bronzo.1
In seguito fiorì nella zona la civiltà di Golasecca, con influssi paleoveneti, villanoviani e paleoetruschi. I corredi tombali delle necropoli golasecchiane testimoniano l’alto tenore di vita del periodo protourbano nel quale sorsero i nuclei delle maggiori città lombarde (Milano, Bergamo, Brescia) e in cui le verdi terre lungo il fiume Olona attraevano precoci insediamenti rispetto ad altre aree di pianura. La lenta evoluzione di tale civiltà fu modificata dalle invasioni galliche del IV sec. a.C., quando tribù transalpine occuparono la piana del Po fino al limite delle terre dei Veneti. La presenza celtica è documentata sia da fonti storiche sia da reperti riferibili alla cultura di La Tène, sebbene resti aperto il problema di più antiche migrazioni galliche datate dallo storico Tito Livio al VI sec. a. C.2
Recenti studi di linguistica hanno infatti attribuito a ceppi celtici le iscrizioni ritrovate in area golasecchiana (epigrafi di Castelletto Ticino del VI sec. a.C.)3 ed è quindi errato immaginare grandi sconvolgimenti etnici nell’area padana dell’età del Ferro: in gran parte gli insediamenti erano già celtici, sicché l’arrivo di nuove tribù dai valichi alpini fu più un’aggiunta di popoli simili che una cesura storica. Nel III secolo a.C. la forte crescita demografica fece sorgere una rete di piccoli villaggi intorno ai centri maggiori e lungo i fiumi, come avvenne sulle rive dell’Olona. I reperti purtroppo non aiutano a tracciare precise peculiarità dell’area legnanese, ma sappiamo con sufficiente certezza che era popolata in prevalenza da etnie galliche, specialmente da quegli Insubri che contribuirono a dar vita al cosiddetto celtismo cisalpino diverso dalla matrice d’oltralpe.
Età romana
I rinvenimenti d’epoca romana sono più numerosi, a partire dalla conquista dell’insubre Mediolanum per opera delle legioni comandate da Scipione Calvo, da Claudio Marcello e infine dal proconsole Valerio Flacco (194 a.C.)4
. I reperti mostrano una transizione graduale alla nuova cultura, per il forte attaccamento della popolazione alle tradizioni celtiche. Alla fine del II secolo a.C., quando Milano era ormai romanizzata, le sponde amene dell’Olona punteggiate di mulini videro aumentare la densità degli abitati. A San Giorgio sono stati rinvenuti resti di ben tre necropoli romane: in via Mameli, nel parco della villa ex Parravicini-3 Floriani e in via Vittorio Veneto. Sono sepolcreti sviluppatisi nella prima età imperiale (I sec. a. C.– I sec. d.C.)5 che lasciano supporre un insediamento ben organizzato, similmente a quanto riscontrato nelle vicine località di San Lorenzo, Nerviano, San Vittore Olona e Legnano.6
Principali attività erano l’agricoltura, l’allevamento del bestiame e l’artigianato, favorite dagli scambi lungo le strade di pianura e le vie d’acqua. Proprio a quest’epoca risale il primo nucleo di San Giorgio come abitato autonomo: poche case, ma già ben distinte dalle altre, che sorgevano lungo la strada sterrata che, attraversata Legnano, saliva sul colle oggi detto Costa di San Giorgio e proseguiva verso Milano, capoluogo al quale nell’89 a.C. la Lex Pompeia de Transpadanis aveva dato dignità di colonia latina. La zona rivestiva interessi strat egici come retrovia per le campagne di Giulio Cesare alla conquista della Gallia e, sull'onda del derivato sviluppo, nel 49 a.C. la Lex Roscia elevò Mediolanum allo status di Municipium.7
. Era un’urbe popolosa che già catalizzava le attività del circondario, i vici, i pagi, le campagne. A quel tempo il territorio di San Giorgio era coltivato per lo più a vigneti; uve che in gran parte venivano vendute, mentre gli altri prodotti agricoli erano destinati al consumo locale. Tra i reperti di età imperiale vi sono coltelli, rasoi, oggetti in ceramica, una bella coppa costolata di vetro viola e un curioso vaso a forma di volto umano. La coeva diffusione del Cristianesimo è testimoniata dalla presenza nella necropoli trovata sulla Costa di San Giorgio di tombe a inumazione, dette alla cappuccina, tipiche delle sepolture cristiane dei primi secoli. Scrive Giorgio Sutermeister: “Scompare il rito della cremazione, ma sono rispettati i luoghi sacri delle generazioni passate. [...] Nelle tombe cristiane perdura per un certo tempo la suppellettile funeraria pagana”.8
Scarse le tracce dell’abitato sangiorgese in età tardoimperiale: una moneta del periodo di Gallieno (252-266 d.C.) e un’altra coniata sotto il cesare Costanzo Cloro (292-306 d.C.). Sono gli anni in cui Milano aveva assunto il ruolo di centro politico-militare di retroguardia contro le ricorrenti invasioni barbariche, fino a divenire, con le riforme di Diocleziano del 285-293, la nuova capitale dell’impero d’Occidente, coinvolgendo le zone limitrofe in opere di fortificazione. In seguito, dalla metà del IV secolo, vari popoli germanici provenienti dalle pianure dell’Est Europa, in parte già infiltrati e integrati nell’impero, aumentarono l’intensità delle loro invasioni. Orde di Goti, Alemanni, Vandali e Unni percorsero le campagne lombarde portandovi saccheggi e distruzioni. Come quasi tutte, anche la strada dal Verbano a Mediolanum, passante per l’odierna San Giorgio, diventò insicura e i commerci assai ridotti, fino a sparire, mentre le terre cedevano all’incolto. Lo stanziamento di soldati germanici è attestato da vari ritrovamenti di età barbarica presso il corso del fiume.9
A causa dei ripetuti assedi, Milano si serrò in difesa e non costituì più riferimento di sicurezza per i paesi del territorio nord-occidentale, che preferirono rivolgersi al ben munito castello di Sibrium (Castelseprio), la cui giurisdizione andò allargandosi a spese di Milano e Como, giungendo a confinare con la Burgaria amministrata dalla pieve di Parabiago, all’epoca includente anche l’attuale area di San Giorgio su Legnano.
Medioevo
Nell’alto medioevo il castrum di Castelseprio conservò le sue prerogative di baluardo per tutta la fase romano-barbarica, prima sotto il regno ostrogoto e poi nella devastante guerra gotica (535-553), durante la quale i centri urbani furono abbandonati, mentre le popolazioni soffrivano pesanti carestie e pestilenze. Non ci sono segni del nucleo di San Giorgio in quel periodo, forse perché residuavano soltanto un paio di sparuti casolari fra terreni semi-incolti. La guerra fu vinta da Giustiniano, ma i soldati Bizantini erano troppo pochi per presidiare il territorio e impedire l’avanzata dei Longobardi, che nel 569 conquistarono Milano e tre anni dopo Pavia, che divenne capitale del loro regno. Al ritorno dei vescovi a Milano, inizialmente fuggiti a Genova, si può datare la ripresa della vita religiosa, con il rilancio della Cattedrale e la costruzione ex novo di varie strutture di ricetto e monasteri, che sorgevano qua e là anche nelle campagne bagnate dall’Olona. Il monachesimo, nel regno dei Longobardi convertiti, segnò fortemente la vita di quel periodo, così come la fioritura diffusa di nuove chiese e chiesette. Giova qui ricordare che non erano rare quelle dedicate a San Giorgio, martire cristiano originario della Cappadocia, (vissuto tra il 280 e il 303 d.C.), che conobbe una grande devozione nella Longobardia, specie dopo la sanguinosa battaglia di Coronate d’Adda del 689, vinta dal re cattolico Cuniperto sulla fronda ariana del duca usurpatore Alachis, vittoria che Lamella longobarda di una figura a cavallo5 spianò la strada alla definitiva conversione di tutti i Longobardi alla fede cattolica.10 Le vicende di San Giorgio, già narrate nella Passio Sancti Georgii e assunte come simbolo di vittoria e rigenerazione, potevano infatti offrire nessi allegorici riferibili a tale evento. Anche il comando del presidio longobardo di Milano era posto nella chiesa di San Giorgio al Palazzo.11 Dopo la pace del 680 con i Bizantini e fino a metà del secolo VIII, la Milano longobarda registrò una fase di gran fervore edilizio, elogiata nel 740 da un poeta anonimo della corte di re Liutprando nel suo Versum de Mediolano Civitate.
12 Anche lungo l’Olona erano ripresi i commerci e nei paesi ripopolati crescevano le attività agricole e artigianali, sebbene poi, pur tra qualche luce, il dominio longobardo finì per comprimere gli orizzonti produttivi nel sistema chiuso delle curtes, statici derivati dell’economia delle villae romane in lenta mutazione verso le signorie fondiarie dell’età feudale.13 L’eco di questo periodo risuona ancora nel toponimo di Villa Cortese, paese attiguo a San Giorgio. Il regno dei Longobardi terminò nel 774, quando Carlo Magno, rotta l’unione con la principessa Ermengarda, sconfisse a Pavia le difese del re Desiderio. Subito il nuovo sovrano franco sostituì i duchi longobardi con i suoi conti e la fortezza di Castelseprio divenne così centro capitale del Contado del Seprio, comprendente Legnano e circondario. Restavano però saldi i legami con Milano, sia tramite i canonici di Sant’Ambrogio sia per l’acquisto di molti terreni in zona da parte di ricchi milanesi del ceto feudale o della nuova classe di cives negotiatores che andava sviluppandosi in età precomunale.14 Frattanto, sia in città che nel contado, cresceva sempre più il ruolo dell’arcivescovo Ansperto, missus dominicus imperiale, il quale, nelle complesse vicissitudini storiche dell’eredità carolingia, riuscì a unire le funzioni spirituali ai poteri di un capo civile e militare, al punto da tener testa al pontefice. Nell’anno 888 anche il legnanese seguì dunque le sorti del Contado del Seprio conquistato dalla Cattedra Ambrosiana, passando sotto il potere diretto dell’Arcivescovo.
Pochi anni dopo, le fortificazioni vescovili dovettero resistere alle scorrerie degli Ungari, che nel X secolo imperversarono anche nella pianura padana. In quel periodo, la tassa di castellanza forniva il diritto di protezione dai pericoli esterni (da ciò prese il nome il vicino comune di Castellanza) e un’altra norma permetteva ai signori locali di incastellare le loro proprietà con mura e bastioni.
Scrive lo storico Giovanni Tabacco:“La moltiplicazione delle fortezze non fu iniziativa soltanto dell’aristocrazia militare: vi parteciparono attivamente anche i vescovi, utilizzando il patrimonio fondiario, il lavoro della popolazione contadina e le clientele vassallatiche, così da costruire ben definite aree di potere, non meno efficienti di quelle create dai signori secolari.”15 Nella zona di San Giorgio, tuttavia, non vi erano edifici fortificati né mura difensive, salvo una palizzata di legno lungo alcuni tratti della strada per Milano. Nel 1018 divenne 6 arcivescovo Ariberto da Intimiano, alto prelato di nobiltà longobarda, contro cui nel 1035 scoppiò una rivolta di valvassori, sostenuta dall’imperatore Corrado II il Salico, che temeva l’eccessiva autonomia del metropolita ambrosiano. Le schiere imperiali attaccarono Milano e Corrado II, dopo la vittoria, emanò la Constitutio de Feudis, riforma che estendeva ai vassalli minori i diritti di successione che il capitolare di Quierzy aveva riservato unicamente ai grandi feudatari. Fuggito dall’arresto e colpito da scomunica, Ariberto riuscì a tornare in sede alleandosi appunto con i grandi feudatari e compattando il popolo e il basso clero sotto la sacra insegna del Carroccio, simbolo d’indipendenza antimperiale. Alla morte di Ariberto, la cattedra vescovile passò a Guido da Velate, che affrontò duramente le rivolte popolari contro la simonia e la corruzione del clero agitate dal movimento patarino, parzialmente ispirato alle istanze cluniacensi. Una leggenda locale narra che un capo del movimento, il diacono Arialdo (poi canonizzato) trovò rifugio per qualche tempo nel castello di Legnano, prima di essere ucciso ad Angera dagli sgherri di Guido. Ma il castello a cui si fa riferimento non è il Castello di San Giorgio, che ancora non esisteva, bensì un gran maniero (oggi scomparso) costruito poco dopo l’anno mille dalla famiglia Cotta, vassalla dell’arcivescovo, nell’area centrale di Legnano. Sul finire del XI secolo andò diminuendo il potere dell’autorità ecclesiastica: al clero e al ceto feudale si aggiunsero i rappresentanti della nascente borghesia comunale e, con l’aumento progressivo del numero dei consoli, si arrivò gradualmente all’affrancamento dei cittadini nell’ambito di una nuova forma d’autonomia amministrativa delle realtà locali. In teoria, i diritti regali appartenevano ancora all’Impero, ma, in pratica, la sostanziale incuria del potere centrale aveva di fatto permesso che venissero esercitati dagli ordinamenti comunali.16 I Comuni diventarono così delle vere e proprie città-stato, dominando anche le campagne limitrofe. È il caso di Milano, protagonista e bandiera di tale processo, che attrasse nella sua sfera quasi tutti i centri minori del Seprio, tra cui Legnano e zone attigue, sia come fornitori di prodotti agricoli sia come avamposti di difesa. Il Comune ambrosiano, una sorta di repubblica sotto l’alta signoria dell’arcivescovo, aveva, però, mire di espansione ben più ampie: già prima dello scontro con il Barbarossa aveva esteso la sua supremazia sia a nord che a sud, sconfiggendo Como e Lodi. La reazione dell’imperatore, chiamato proprio dai ghibellini lodigiani e comaschi, fu inevitabile: al primo intervento del 1154, che portò alla riaffermazione dei diritti regali alla dieta di Roncaglia, fece seguito un’altra spedizione, più incisiva, che nel 1162 culminò con la distruzione di Milano. Di tali avvenimenti gli abitanti di San Giorgio non furono meri spettatori, poiché durante gli assedi anche il contado fu devastato. Le condizioni vessatorie imposte poi da Federico incrinarono il residuo fronte filo-imperiale e convinsero perciò numerose città lombarde, venete ed emiliane a unirsi contro i soprusi del 7 Barbarossa nel solenne giuramento di Pontida del 1167. A capo delle schiere fu posto l’arcivescovo di Milano, in rappresentanza di papa Alessandro III, nemico dell’imperatore e simpatizzante dei Comuni. Lo scontro decisivo avvenne, come è noto, nella famosa battaglia di Legnano del 1176, descritta in dettaglio nel testo citato in bibliografia.17 Qui basti dire che le forze milanesi, ancora prima di unirsi a tutti gli alleati, si avviarono lungo l’Olona giungendo a Legnano, ove disposero il Carroccio sul ciglio di una scarpata. Dopo un breve combattimento di 700 cavalieri inviati in avanscoperta contro l’avanguardia imperiale, avvenuto tra Busto Arsizio e Borsano, la battaglia si decise infine proprio intorno al Carroccio,
dove la fanteria comunale resistette strenuamente, permettendo alla cavalleria in
ripiegamento di aggregarsi a forze fresche provenienti da Milano e di passare al
contrattacco, aggirando il nemico e mettendolo in fuga. Di preciso non sappiamo quale fosse il gran fossato davanti all’ubicazione del Carroccio citato dall’antico cronista degli Annales Maximi Colonienses18 , ma i punti possibili sono solo due:
il declivio verso l’Olona sito nella contrada legnanese di San Martino e il piccolo colle della Costa di San Giorgio. Ne consegue, dato che il secondo è più alto ed è oltretutto sulla linea in cui ancor oggi, da Borsano, si estendono campi liberi alla periferia di Legnano, che probabilmente la fase cruciale della battaglia si svolse proprio a ridosso della Costa di San Giorgio, nell’area attualmente occupata dal Parco Castello. Ai tempi era una plaga disabitata, poiché il forte in riva all’Olona chiamato Castrum Sancti Georgi ancora non esisteva. Fu infatti costruito dopo il 1262 sulla struttura preesistente di un convento di frati agostiniani, sorto alla fine del XII secolo. Tale convento, assai importante per la toponomastica della nostra zona, aveva un’annessa chiesetta dedicata a San Giorgio risalente quanto meno al 1231. In un documento del 1261 si legge, infatti, che i regolari agostiniani avevano deciso di spostarsi, permutando i loro ampi terreni con altri dei Torriani di Milano, poiché a causa di continue vessazioni la loro chiesa era abbandonata “da più di trent’anni”.
19 Forse per tale motivo non fu registrata nel compendio trecentesco Liber notitiae sanctorum Mediolani di Goffredo da Bussero20
.
Quest’antica chiesetta, che sorgeva in Aspetto attuale della chiesetta di San Giorgio interna al castello.8 un punto dove, secondo recenti scavi, esisteva un luogo di culto già dal IX secolo, assume una particolare rilevanza per la nostra storia, poiché il nome del martire Giorgio a cui era dedicata (passato in seguito a denominare il castello) indicava per estensione lo stesso convento e tutti i suoi terreni, nei quali esisteva appunto l’abitato agricolo da cui è derivato il nostro omonimo comune. Il passaggio del toponimo fu graduale, mutando nei secoli la denominazione originaria. Lo storico settecentesco Giorgio Giulini riporta infatti l’iscrizione su una lapide,21 divisa in due mattoni, rinvenuta nel 1769 durante alcuni scavi presso la chiesa del SS. Crocifisso (allora detta Gèsa növa), attinente alla consacrazione nel 1393 della vecchia chiesa preesistente dedicata a San Giorgio: in tale incisione la località è chiamata Sotena, nome che pare quindi essere l’antico toponimo del luogo, prima che, dal XV secolo, prendesse definitivamente quello del santo della sua chiesa.22
Non deve affatto stupirci che la chiesetta del convento (poi interna al castello, in parte recuperata nel rifacimento del 1440) e la vicina chiesa tardo-trecentesca di Sotena fossero entrambe dedicate a San Giorgio, poiché la presenza del convento aveva diffuso il culto del santo martire in tutte le campagne a sud di Legnano, come ha suggerito la storica Marina Cattaneo.23
Si può inoltre supporre che la chiesa di San Giorgio eretta a Sotena rappresentasse una sorta di sostituzione, spostata più sul colle, dell’omonima chiesetta conventuale ormai in degrado. All’epoca la figura del martire Giorgio, santo patrono di soldati e cavalieri, era assai popolare, soprattutto nella sua classica icona equestre, diffusa durante le Crociate, che lo effigia quale uccisore di un drago (simbolo del male, del demonio, ma anche dei nemici della fede), come ben narra il passo LVIII della Legenda Aurea di Jacopo da Varagine.24 Quando il convento fu lasciato dai frati agostiniani, esisteva già presso la struttura un’alta torre di vedetta per controllare la strada lungo il fiume Olona e furono poi i Torriani, nuovi padroni dell'edificio, a far costruire, tra il 1262 e il 1273, le quattro ali merlate e le torri angolari, trasformando così il monastero in un maniero fortificato. Sempre il Giulini riferisce che nel 1273 vi furono ospitati i reali inglesi di ritorno da un viaggio in Oriente, ma secondo una leggenda locale Edoardo I Plantageneto ed Eleonora di Castiglia presero invece alloggio nella coeva dimora sangiorgese di via Gerli, poi chiamata ‘casa della regina’, di cui è ancora visibile una bella finestra gentilizia a sesto acuto con fregi in cotto. A tal riguardo, è utile ricordare che dalla fine del XIII secolo molte famiglie nobili milanesi avevano preso l’abitudine di trascorrere periodi di villeggiatura in residenze di campagna e che lo stesso arcivescovo Leone da Perego aveva eletto a sede estiva il palazzo legnanese che porta il suo nome. Possedere terre e manieri nel contado non era solo una fonte di reddito e un vanto aristocratico: offriva anche un rifugio sicuro in caso di disordini urbani.
Come nel 1257, quando nella fiorente Milano riorganizzata dopo la pace di Costanza si acutizzarono le lotte tra i Popolari della Credenza di Sant'Ambrogio, capitanata da Martino della Torre, e la compagine nobiliare (detta Motta) guidata dall’arcivescovo Leone da Perego, il quale, trasferitosi appunto nel suo palazzo di Legnano, raccolse nel Seprio un piccolo esercito per respingere i Popolari a Solbiate, Olgiate Olona e Canegrate.25 Gli scontri si fermarono con la tregua di Parabiago, che però fu breve: nel 1261 Martino ruppe i patti e invase i territori vescovili, Legnano compresa. E l’anno dopo, accettando la suddetta permuta, prese possesso del convento agostiniano di San Giorgio per mutarlo in fortilizio.
Sempre nel 1262, morto Leone da Perego, papa Urbano IV nominò alla cattedra ambrosiana Ottone Visconti, ma i della Torre (o Torriani), forti dell’autorità podestarile e dell’appoggio del popolo, gli impedirono d’insediarsi. Intanto proseguiva la guerra contro le truppe imperiali di Corradino di Svevia arroccate a Pavia: gli scontri durarono finché il nuovo imperatore, Rodolfo d’Asburgo, decise di nominare vicario proprio un Torriani, Napoleone (detto Napo), instaurando così la sua signoria su Milano. Per tutta risposta, il Visconti, esiliato nel contado, senza darsi per vinto si pose alla testa dei magnati fuoriusciti per riprendere armi in pugno il controllo della città. Ne seguì una lunga lotta, con alterne vicende, combattuta anche e soprattutto nelle campagne legnanesi. A quei tempi Legnano era già un borgo dotato di mercato e la sua giurisdizione di Comune Rustico (dal 1258) comprendeva a sud la ‘cassina’ agricola di Sotena, dalla quale si sviluppò il nostro paese. Su tale termine scrive Bonvesin de la Riva nel 1288: “In questi borghi vivono non soltanto contadini e artigiani, ma anche magnati di grande nobiltà. Vi sono poi intorno costruzioni di tipo diverso, alcune chiamate molini, altre in volgare ‘cassine’, il numero infinito delle quali non potrei calcolare”. 26
La battaglia finale fra i Torriani e Ottone avvenne presso Desio nel 1277 e aprì al Visconti vittorioso le porte di Milano.27 L’arcivescovo concentrò così nelle sue mani i poteri spirituali e temporali, sostenuto anche dalla nomina a vicario 10 imperiale da parte di Arrigo VII e dall’elezione a Capitano del Popolo del pronipote Matteo, erede del dominio visconteo dopo la definitiva sconfitta delle resistenze dei Torriani ad Abbiategrasso (1313). Non pago, Matteo partì poi alla conquista di Pavia, dove l’indebito esproprio di molte terre ecclesiastiche gli costò la scomunica, a cui fece seguito una serie di guerre tra Milano e lo Stato Pontificio, alleato di Francia e Napoli. Il conflitto con la Chiesa fu un punto chiave dei continui contrasti che caratterizzarono la casata viscontea, sia per le sue ambizioni espansionistiche sia per le lotte interne alla stessa famiglia. Per citare solo quella che più coinvolse il nostro territorio, si ricorda la battaglia di Parabiago del 1339, combattuta tra gli armati di Azzone (nipote di Matteo), guidati da suo zio Luchino, e la Compagnia di San Giorgio (formata da soldati novaresi e scaligeri e da mercenari stranieri)28 comandata dall’altro zio, Lodrisio, pretendente alla reggenza di Milano. Lo scontro fu vinto da Luchino, ma con gravi perdite da ambo le parti (più di 4000 morti) e la funesta appendice di vasti saccheggi compiuti dai mercenari prima di abbandonare il territorio.29 Razzie che imperversarono a lungo nel legnanese ad opera soprattutto di soldataglie svizzere.
Nel 1349 la Signoria del Ducato fu assunta dall’arcivescovo Giovanni Visconti (ultimo figlio di Matteo) e sotto il suo governo Bologna e Genova entrarono nei dominî milanesi, benché, alla sua morte, tali città furono perse a causa delle lotte successorie fra i suoi tre eredi (Galeazzo II, Matteo II e Bernabò). La cattedra arcivescovile passò dunque a Roberto Visconti (membro di un ramo laterale della famiglia), grande possidente che esercitava autorità su un ampio territorio, tra cui Legnano e circondario. Spesso indicato come subordinato ai cugini di Milano, in realtà egli seppe ritagliarsi uno spazio autonomo e imporre le proprie decisioni.
Per gestire i suoi possedimenti si serviva di un Rector o, come a Legnano, di un Potestas. La sua non fu una signoria assoluta: affiancavano il suo potere le nobili famiglie Crivelli, Lampugnani e Vismara. Anche le monache del locale convento di Santa Chiara rivestivano un ruolo importante. Nel 1361 Roberto Visconti morì a Legnano nel Castello di San Giorgio, ormai da anni divenuto di sua proprietà. Seguirono poi le vittoriose conquiste di Gian Galeazzo Visconti, che oltre alla Lombardia giunsero a includere parti del Veneto, dell’Emilia, dell’Umbria e della Toscana. Il coevo sfarzo edilizio (pensiamo alla Certosa di Pavia e all’inizio della fabbrica del Duomo) non lasciò però segni tangibili Castello di San Giorgio11 nell’area legnanese, per quanto in quel periodo vi fu una crescita dei commerci e delle attività artigiane. L’ampliamento del castello sull’Olona, le cui pertinenze agricole comprendevano il nostro abitato, avvenne infatti più tardi, nel 1445, cioè sette anni dopo che l’ultimo erede maschio dei Visconti, Filippo Maria, l’aveva donato al capitano vassallo Oldrado Lampugnani. Fu lui a rinforzare l’edificio con fossato e nuove mura, nonché a proteggere il ponte levatoio con un massiccio torrione d'ingresso.30 I servizi resi a Filippo Maria avevano fruttato a Oldrado rendite tali da consentirgli il possesso di vaste proprietà fondiarie, fra cui i terreni circostanti la ‘cassina’ di San Giorgio, di fatto inglobata nell’area del castello.
Proprietà che furono conservate anche nel complesso intreccio storico che segnò il passaggio del Ducato dai Visconti agli Sforza, quando il Lampugnani, dopo la morte senza eredi di Filippo Maria, decise di schierarsi con il condottiero Francesco Sforza (pretendente in quanto marito di Bianca Maria Visconti) contro l’Aurea Repubblica Ambrosiana, sorta nel 1447 in sostituzione della dinastia ducale. Milano fu affamata da un lungo assedio, che coinvolse in particolare il legnanese, poiché le truppe sforzesche del Campana vi avevano piazzato il loro principale accampamento.31 Ottenuto il potere, la nuova Signoria dovette subito affrontare una grave pestilenza che decimò la popolazione cittadina, spingendola a riparare in campagna. Lo stesso duca trasferì i suoi famigliari nel castello di Abbiategrasso ed è nota una lettera della figlia Ippolita mentre era ospite a Magenta dei Crivelli, nobili che avevano proprietà anche a San Giorgio, tra cui la villa rustica centrale che in seguito passò ai marchesi Parravicini.32 La casata Crivelli, già reggente del Contado di Burgaria, ebbe grande importanza nello sviluppo dell'occidente milanese, soprattutto dopo la pace di Lodi del 1454 tra Milano e Venezia, vero sblocco della crisi economica e avvio della ripresa. A fine Quattrocento, tuttavia, anche la dinastia degli Sforza conobbe lotte interne e congiure, come nel 1476, quando un complotto ordito da Carlo Visconti e Andrea Lampugnani (nipote di Oldrado) sfociò nell’assassinio del duca Galeazzo Maria.
Sebbene nell’ideazione del delitto fossero coinvolti il re francese Luigi XI e lo stesso fratello Ludovico Sforza (detto il Moro), le coltellate furono inferte proprio dal Lampugnani33 e tale attacco omicida influì poi sulle sorti del casato e dei suoi possedimenti, un terzo dei quali fu confiscato dalla camera ducale.34 Nel 1494 altri intrighi portarono Ludovico all’usurpazione del potere ai danni del legittimo erede Gian Galeazzo Maria, i cui diritti furono difesi soprattutto da sua moglie, Isabella d’Aragona, che si rivolse al padre Alfonso II, re di Napoli, affinché al marito fosse affidato il potere effettivo sul Ducato. In risposta a tale mossa, Ludovico fece avvelenare Gian Galeazzo (morto a Pavia a soli 25 anni) e strinse alleanza con il re di Francia Carlo VIII (figlio di Luigi XI), che discese in Italia con un potente esercito dotato di moderna artiglieria e giunse in breve sino ad 12 espugnare Napoli, togliendo così ogni ostacolo al dominio di Ludovico. A dispetto di queste cruente lotte di potere, l’epoca del Moro è ricordata nella storia del Ducato anche come fase di prosperità e prestigio artistico (si pensi alle opere di Leonardo da Vinci), ma l’alleanza francese di fatto aprì la strada ai successivi interventi stranieri che segnarono la fine della sua indipendenza. Riguardo allo sviluppo agricolo del contado, si deve senz’altro a Ludovico l’introduzione dei gelsi per l’allevamento dei bachi da seta (diffusosi anche a San Giorgio), ma è vero, d’altro canto, che l’inasprimento fiscale da lui ordinato pose gli abitanti dei borghi rurali in netto contrasto con le direttive ducali.