Legnano story - note personali
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Il Dialetto
 
Duemila anni prima di Cristo, data approssimativa del più  antico reperto legnanese, l'Italia nord occidentale (gli attuali Piemonte, Liguria, Lombardia) era abitata da popolazioni di origine ligure, mentre la parte orientale era abitata dai Veneti. Queste sono indicazioni generali che coprono una realtà  linguistica in massima parte a noi sconosciuta. Del ligure sono rimaste poche tracce della toponomastica, faticosamente analizzate e ricostruite dai linguisti che le classificano come preindoeuropee almeno nello strato più  antico. Già  nel corso del secondo millennio la valle del Po è percorsa da vari gruppi etnici penetrati dall'Oltralpe e può  darsi che fra essi non mancassero gli indoeuropei, certamente presenti nell'Italia centro meridionale. A proposito delle urne biconiche di Canegrate si è parlato di Celti, ma il loro maggiore studioso, Ferdinando Rittatore, scriveva nel 1961: "Caduta ormai la vecchia teoria cara agli studiosi del secolo scorso sull'appartenenza dei popoli incineratori agli invasori indoeuropei .. è prevalsa l'idea che i riti diversi non sempre indichino diversità  di origine, ma possono essere acquisiti anche mediante pacifici scambi. Il problema dell'origine dei popoli italici si è fatto cosi' ancor più  difficile".
Celti o non Celti, sta di fatto che molti secoli prima di Canegrate, certamente imparentato colle vicinissime popolazioni di Besnate e del Varesotto, tutte di stampo ligure, ed è difficile credere che vi fosse una netta separazione tra chi abitava al di la' del fiume e chi seppelliva i morti di qua. E ovvio pensare, quanto mai,  a fusione culturale. Bisogna inoltre distinguere le eventuali infiltrazioni celtiche attorno al mille a.c. dalla vera e propria invasione gallica del IV sec. a.c. che muto' l'assetto politico, culturale e linguistico dell'Italia Settentrionale.
Quando si parla di ligure o celtico non si deve pensare a una parlata identica su territori molto vasti. La lingua è uno strumento di comunicazione che diventa uguale solo tra chi comunica intensamente con tale strumento. L'unificazione linguistica di un territorio è il frutto delle correnti di scambio culturale tra i vari centri abitati. All'interno di ciascun centro la lingua è in continua evoluzione, generazione dopo generazione, e le singole innovazioni si diffondono con diverso successo attraverso i contatti tra centro e centro. Non si può  credere che scambi commerciali e culturali fossero nei territori di allora cosi' intensi da rendere comune per tutti uno stesso identico linguaggio. E ovvio che pur partendo da una base comune la lingua parlata in ogni centro abitato fosse individualmente caratterizzata da varietà  particolari, come avverrà  in seguito in misura anche superiore nella diversificazione del comune latino nelle infinite varietà  dialettali e locali.
La vera unificazione linguistica è stata invece realizzata dai romani senza imposizione violente, ma con una organizzazione capillare su tutto il territorio. Grandi costruzioni di strade su cui scorreva un grande volume di traffici, organizzatori di valide strutture amministrative e infine portatori di una cultura enormemente progredita, essi crearono le premesse, perché  tutte le popolazioni locali potessero nel corso di alcuni secoli acquisire una cultura comune.
A poco a poco Celti, Liguri, Veneti, Etruschi ecc. dimenticarono i nomi con cui i loro antenati chiamavano il padre, la madre e cosi  via e tutti dissero pater, mater ecc. Come sempre avviene quando si impara una lingua straniera e si attraversa un periodo di bilinguismo, le due lingue intragiscono fra loro. Le abitudini articolatorie con cui si pronunciano i suoni della lingua locale si applicano ai suoni della lingua importata, che assume cosi' un colorito particolare. E' ciò  che avviene oggi in ogni parte d'Italia. In certe regioni, ad esempio, i dialetti locali non conoscono la pronuncia di o chiusa e perciò  dicono ancora, lavoro colla o aperta; la curva melodica del fraseggio è diversa da luogo a luogo. Pur quando si legge la medesima pagina stampata, l'andamento ritmico e il colorito vocale è cosi' diverso, che spesso è facile riconoscere la provenienza regionale di chi parla la stessa lingua italiana.
Anche il latino dunque dovette suonare diversamente in bocca ligure o celtica o etrusca, e tale diversità  non può  non aver condizionato una diversa evoluzione linguistica nei secoli successivi. Fin che l'organizzazione civile romana fu salda, tutte le popolazione che avevano sentito la necessita' e scoperto i vantaggi di sostituire il latino alle loro antiche parlate, continuarono a vivere in un ambiente linguistico comune. l'abitante della penisola iberica o dell'Africa settentrionale o della Gallia o della Dacia, giungendo a Roma poteva scambiare il discorso coi Romani di Roma, facendosi intendere pur con diverse inflessioni della pronuncia. Quando pero' l'Impero e la sua organizzazione civile furono distrutti, e le grandi strade furono disertate, e la popolazione enormemente ridotta nel numero e negli averi, e l'unica via di sopravvivenza fu la coltivazione della terra nel chiuso della curtis autarchica, il territorio fu punteggiato da piccoli centri abitati, dove poche famiglie in poche case lavoravano la terra, curando il bestiame con scarsi contatti con i vicini. l'analfabetismo, le diminuite necessita' culturali, le scarse occasioni di colloquio fra persone sparse nei campi ridussero il lessico della lingua latina e poche centinaia di parole. L'isolamento accentuato dalla diffidenza verso gli altri centri, l'attaccamento alla piccolissima patria rendono indipendente l'evoluzione linguistica nella cerchia delle poche famiglie che partecipano alla comunicazione orale, impedendo la diffusione delle innovazioni instaurate nella fonetica, nella morfologia, nel lessico. La grande unita' linguistica realizzata da Roma si frantuma nel polverio dei dialetti neolatini sempre più' divergenti tra loro in funzione del tempo e dello spazio. Sarebbe assurdo pensare che ogni centro abitato sia come un'isola nell'oceano e lo stesso isolamento più' o meno forte a secondo dei tempi, ma le innovazioni linguistiche che prima si dilatavano su tutto il territorio romanizzato conservando l'unita' dello strumento di comunicazione, durante lo stesso impero e specialmente verso e dopo la sua fine, si espandono in ambiti geografici sempre più' ristretti.
Facciamo un esempio; il concetto di "bello" si esprime dapprima in latino con puelcher, di cui non si ha traccia nelle parlate neolatine, perché' fu sostituito da formosus, che deve essersi diffuso in tutto l'Impero; è conservato infatti nello spagnolo hermoso e nel rumeno frumos. Ma anche questo fu poi sostituito da bellus che si diffuse in un tempo in cui le regioni dell'Impero cominciarono ad isolarsi, e per questo si fermo' davanti ai Pirenei e ai Balcani restando vivo solo in Italia e Gallia.
Se consideriamo ora l'Italia Settentrionale troviamo certi fenomeni comuni a tutto il territorio, altri invece circoscritti in spazi minori che a loro volta i linguisti circorscrivono con linee dette isoglosse. Una di queste linee congiunge La Spezia con Rimini spezzando in due parti l'intero territorio latinizzato. A nord e a ovest di setta linea le consonanti sorde per esempio p, t ,c se sono semplici e poste tra due vocali si sonorizzano diventando b, d, g, ; se sono doppie o lunghe si scempiano (brevi). Sempre per esemplificare: andata diventa andada e poi andaa; mica diviene miga e poi mia ; invece currere diventa curi ecc. Trascurando infiniti altri fenomeni, dobbiamo occuparci solo di pochi che più' interessano il nostro dialetto
Si constata che dove il latino si è sovrapposto al celtico, esso ha ricevuto da quest'ultimo la tendenza di contrarre le parole colla scomparsa delle vocali non accentate e di intere sillabe. Si pensi al francese, dove i quattro suoni della parola acqua si sono ridotti a un quinto suono o (eau). A Bologna il latino Hospitale si è ridotto a un monosillabo sbdel. Questo fenomeno pero' non tocca il Veneto o la Liguria, ma è più' intenso in Piemonte e in Emilia Romagna. Infatti è la cetizzazione del territorio dovette essere più' o meno intensa in relazione alla maggiore o minore concentrazione di Celti nei vari territori. In Lombardia il fenomeno è presente ma con minore intensità'. Scompaiono le vocali non accentate alla fine di parola, ma non cosi' frequentemente all'interno. Si confronti il piemontese finestra col lombardo finestra, l'emiliano sbdel col lombardo uspedal. Consideriamo ora alcune parole legnanesi, come ogi, uregi, teciu, vegiu, orbu, gobu e confrontiamole colle corrispondenti milanesi occ, urecc, tecc, vecc, orp, gop (la consonante doppia indica semplicemente che la vocale è breve) per constatare a Milano la scomparsa (apocope) della vocale finale, il che comporta una trasformazione del ritmo stesso della parlata. Questo fenomeno non è solo milanese, ma è generalizzato, oltre che in Piemonte, Emilia Romagna, anche in tutta la Lombardia con esclusione di Legnano, Busto Arsizio e un gruppo di paesi circostanti tra le due citta'. Formano come un'isola a cavallo del fiume Olona da Cairate a Parabiago (nord sud) e da Cantalupo a Castano (est ovest) in mezzo ad un vasto territorio. Un'isola dunque che nella evoluzione linguistica si è fermata ad una fase più' arcaica e una situazione che si trova in tutta la Liguria. Ci sembra del tutto legittimo dedurre che tale situazione risulta da una celtizzazione meno intensa rispetto alla stessa Lombardia. La presenza gallica non si può' negare sia per la  condizione generale del territorio invaso dai Galli, sia per alcuni reperti archeologici, ma si potrà' dire che la presenza gallica in questo tratto dell'Olona non fu tale da trasformare decisamente l'ambiente ligure. In altre parole la tribù' di stirpe ligure attestata dal principio del secondo millennio a Legnanello, ebbe la forza di conservare il proprio linguaggio e i propri costumi cosi' da assorbire i nuovi arrivati senza esserne sopraffatta. Le tribù' liguri più' tenaci si arroccarono sui monti della regione che ancor oggi conserva il loro nome. Allo stesso modo una tribù' dello stesso popolo incuneata tra i boschi e le brughiere che isolavano e proteggevano un tratto dell'Olona, poté' sottrarsi parzialmente alla forza trasformatrice della cultura gallica. E quando si lascio' ben più' profondamente trasformare dalla civiltà' di Roma al punto di scordare la sua lingua ancestrale, il passaggio dal ligure al latino non ebbe risultati identici a quello dei gallofoni: il ritmo rimase più' disteso e i vocaboli non subirono le stesse contrazioni imposte dal celtico. Esistono naturalmente delle gradazioni. Anche a Legnano e nei paesi racchiusi dalla stessa isoglossa, cadono le vocali atone finali quando sono precedute da consonanti liquide, nasali o da s sonora. Si dice infatti nas, diaul, bun ; e non è da escludere che questo cedimento sia dovuto alla pressione delle parlate circostanti.
Quando avvenne la caduta delle atoni finali e quindi il distacco del nostro territorio dalla restante Lombardia lungo l'isoglossa tracciata nella nostra cartina???. Gli studiosi a questo proposito non sono di accordo. Premesso che in Francia il fenomeno cade nel secolo VIII, noi abbiamo la possibilità' di sfruttare alcuni riferimenti storici e geografici. Il percorso meridionale dell'isoglossa coincide con il confine meridionale del contado del Seprio, indicato nel trattato di Reggio (1185), ossia da Padregnano (Castano) a Cerro Maggiore. In secondo luogo il territorio compreso nella isoglossa comprende tre pievi ecclesiastiche: Olgiate, Dairago, e Parabiago. La formazione delle pievi è molto antica ma il loro consolidamento nell'Italia settentrionale avviene in eta' franco carolingia, formando distretti entro nei quali il sacerdozio plebano ha forma collegiale, l'amministrazione dei beni è condominiale, sotto la giurisdizione del capopieve. Si sa inoltre che i maggiorenti d'ogni villaggio si recavano periodicamente e si incontravano presso il capopieve. Questo legame religioso che strinse tutta la popolazione della pieve, ha un riflesso linguistico nella somiglianza dei pur diversi dialetti. Il contado del Seprio è di origine longobarda, ma anch'esso riceve la sua conferma da Carlo Magno che pone alla sua testa un Conte. Queste connessioni e distinzioni politico religiose ci fanno pensare che l'isoglossa suddetta si sia formata entro il secolo IX.
La componente ligure è presente in altro fenomeno certamente posteriore: la scomparsa della consonante semplice r intervocalica, primaria o secondaria (ossia derivata da -l-, come ara da ala ) che è un fenomeno ben noto e tipico del genovese. "lavorare; che ora è; Olona" si dicono a Legnano e in tutta la pieve di Parabiago laura, che ura l'è, urona. invece nelle due pievi di Olgiate e Dairago  si dice laua, che ua l'è, uona, come a Genova. Che il fenomeno sia posteriore è dimostrato dal fatto che la seconda isoglossa lascia fuori di sè due aree laterali, Castano e Vanzaghello da una parte, la pieve di Parabiago dall'altra. inoltre supera il confine della prima isoglossa spingendosi fino a Cuggiono. La frattura del vecchio territorio unitario è una diretta conseguenza dell'espansione milanese che ha fatto di Legnano un suo caposaldo sottraendolo al Seprio legato all'Impero, come dimostrano le stesse vicende della Battaglia di Legnano. Cuggiono invece, prima estranea alla famiglia, diciamo, ligure, venne raggiunta dalla novità' r dileguata perché' la crescente importanza di Busto Arsizio (detta Busti grandu) fa sentire il suo influsso fino a Cuggiono, dove appunto non si dice nè uregi, come a Legnano, nè uegi, come a Busto, ma uecc.
Non è questa la sede per una analisi di tutti gli aspetti del dialetto legnanese. Ricorderemo ancora una sola caratteristica, l'avversione alla nasalizzazione delle vocali, che da' invece un colorito insolito piuttosto francese al dialetto di Milano. Il latino bonum ridotto a bon, a Milano ha perduto la consonante n che ha lasciato il ricordo di sè attribuendo alla vocale precedente, mutata in u, una risonanza nasale bu. Il legnanese invece rafforza la consonante e dice bum. Non induciamo con altri esempi ed altri fenomeni per aggiungere solo qualche considerazione generale.
Il dialetto legnanese è il prodotto di una cultura contadina rimasta piuttosto storica per secoli prima di essere investita dalla rivoluzione industriale e alla profonda trasformazione dell'attuale società'. Era un dialetto dal ritmo lento, con prevalenza di vocali chiuse (perfino la vocale a tonica si oscura verso o, che è pure fenomeno piemontese). Fino a cinquanta anni fa i contadini legnanesi rispettavano il fenomeno della metafonesi sostituendo con la i la vocale tonica del plurale: un vegiu e du vigi, è cosi' teciu-tici, leciu-lici ecc.. Il fenomeno ora è scomparso, ma nemmeno allora tutti i legnanesi parlavano come i contadini. I Signori proprietari di terre che abitavano a Milano e saltuariamente a Legnano, parlavano milanese oppure un legnanese ripulito dei tratti più' pesanti. Tra i due poli opposti delle due parlate contadina e signorile esistevano tante sfumature quanto erano i rapporti dei signori colla classe più' colta. La diffusione dell'analfabetismo limitava grandemente l'influsso dell'italiano letterario. Persino le persone in grado di leggere e scrivere usavano un italiano ibrido. Il parroco di Canegrate per redigere il Stato delle anime .. sporto per mano di me, scrive: Alla cassina del Baggino loco di Canegrate gh'è .. Altrettanto faceva il Prevosto Gianni alla fine del secolo scorso predicando dal pulpito della parrocchiale: Dio disse, sia fatta la luce e la luce fu, colla u lombarda (si vedano anche i documenti dei secoli XV, XVI pubblicati).
Lo sviluppo industriale ha sostituito il contadino con l'operaio producendo una accellerazione del ritmo verbale conseguente all'accellerazione del ritmo mentale necessario per seguire il moto veloce della macchina. La compagnia dialettale Legnanese ha raccolto a teatro molti successi, ha rappresentato il mondo e il linguaggio operaio. Anche questo è un mondo ormai scomparso. L'enorme crescita culturale, la scomparsa dell'analfabetismo, la massiccia immigrazione  da ogni parte d'Italia ha reso quasi impossibile l'uso del dialetto. Se un tempo si pensava in dialetto e si traduceva, parlando in italiano, oggi si pensa in italiano. Non solo la scuola e la carta stampata, sopratutto il televisore, divenuto un membro di ogni famiglia, impartisce ogni giorno lezioni di lingua. I pochi anziani che si ostinano a parlare dialetto, non insegnano ai figli nemmeno il loro legnanese ormai depurato dal contatto continuo colla lingua nazionale che ha fatto scomparire i vocaboli più' antichi e caratteristici, sostituito da facili italianismi. La situazione suscita comprensibili rimpianti, ma è irreversibile.
 
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