Legnano story - note personali
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il bombardamento dell’Alfa Romeo
 
20 ottobre 1944: un testimone legnanese racconta il bombardamento dell’Alfa Romeo
È una delle pagine più tristi della seconda guerra mondiale per Milano. Tre formazioni di bombardieri Alleati confluirono sulla città per stanare la resistenza nazifascista. Ma, oltre a colpire gli impianti industriali, una bomba centrò in pieno una scuola, causando una strage di bambini.
ul bombardamento dell’Alfa Romeo di Milano, avvenuto il 20 ottobre 1944,«è stato scritto molto, sia da persone che lo hanno vissuto, sia da alcuni storici e giornalisti: ovvie le differenze di vedute. Altri hanno attinto dalle documentazioni rese disponibili più tardi dagli archivi militari, specie Usa, ricche di dati e fotografie, ma fredde, mute e prive di legami tra loro. Ho perciò deciso di raccontare anche la mia esperienza che, nel tempo, ha avuto un seguito non prevedibile ma, come vedrete, curioso
e interessante». È l’ing.
Dario Radaelli, classe
1927,che è stato tecnico e poi
dirigente Alfa Romeo dal 1943
al 1986, a consegnare a Polis
Legnano questa sua personale
testimonianza in occasione del
70° anniversario di quel terribile
bombardamento. Dal 1981
Redaelli è Maestro del Lavoro
e promotore dell’associazione
Ttsll (Testimonianze tecnico
storiche del Legnanese).
Di seguito proponiamo – in
versione quasi integrale – lo
scritto che ha offerto a Polis.
Un giorno come altri. «In quel
periodo svolgevo un’attività inconsueta
presso la Scuola apprendisti
dell’Alfa Romeo, determinata
dalle esigenze del
momento e per la quale una
apposita area era stata adeguatamente
predisposta. Avendo
ormai fatto una certa
esperienza, mi era stato assegnato
il compito di contribuire
all’insegnamento di un mestiere
ai reduci dai fronti di guerra
(la quasi totalità dalla campagna
di Russia), mestiere solo
da “sedentari” essendo essi tutti
gravemente menomati fisicamente.
 
Eravamo abituati agli allarmi
che ci avvisavano del probabile
attacco aereo, ma il lontano ricordo
di quello del 1943 era
ormai quasi svanito e nessuno
si preoccupava più di tanto.
Pertanto quel fatidico 20 ottobre
1944, al primo segnale di
allarme, io e un reduce, di nome
Crippa e che si era affezionato
a me, decidemmo, vista
l’ora, di andare alla vicina mensa
aziendale per il pranzo.
Mancava poco a mezzogiorno
e, mentre camminavamo, vedemmo
colonne di fumo alzarsi,
come seppi dopo, in conseguenza
del funesto bombardamento
del quartiere Gorla.
Capimmo che quello poteva
essere un segnale premonitore
ma, pur stando all’erta, non
andammo nella torretta-rifugio.
Entrammo alla mensa, ma poco
dopo sentimmo un concitato
vociare all’esterno; uscimmo e
vedemmo chiaramente, nel
cielo di uno splendido azzurro,
una formazione di bombardieri
B-24 Liberator, proveniente da
Nord e ancora lontana ma sicuramente
diretta verso di noi. Ci
accingemmo allora a uscire dal
perimetro dello stabilimento,
ma Crippa, che era monco della
gamba destra, doveva usare
una stampella e non poteva
muoversi sollecitamente. Io
tentavo di aiutarlo, ma era tutto
inutile, era quasi immobile. Mi
urlò ripetutamente: “vattene tu
che sei giovane… vattene tu
che sei giovane”.
Io, a causa dell’amicizia e del
desiderio di aiutarlo, esitavo ma
non mi rendevo conto del tempo
che passava, e lui insisteva;
ebbi la netta impressione che,
dopo la triste esperienza in
Russia e per la consapevolezza
della sua precaria condizione,
fosse diventato fatalista e
non gli importasse più di morire.
A un certo punto mi spinse
con colpi di stampella nella
schiena per convincermi e io
tentai di allontanarmi, ma ormai
era troppo tardi; percorsi
forse qualche decina di metri e
raggiunsi l’uscita di emergenza
nord, normalmente chiusa. Dava
sull’orto di guerra che si trovava
a un livello più basso di
oltre un metro.
Il cielo si oscurò. Malgrado la
paura, osservai la formazione
degli aerei che era quasi sopra
di noi e vidi, se ben ricordo, sei
gruppi di sei bombardieri ciascuno,
un po’ distanziati tra loro.
 
Mentre correvo per allontanarmi,
vidi un segnale luminoso
emesso dall’aereo di testa, il
primo gruppo sganciò le bombe
che, durante la caduta, luccicavano
e generavano un
rumore impressionante:il mio
cervello ne fu sconvolto. Le
prime bombe caddero proprio
a nord dello stabilimento, dalla
parte dell’orto, cioè dove mi
trovavo io, e fui scaraventato
giù tra la verdura. Lo sgancio
S
Voci legnanesi
POLIS LEGNANO
12  Legnano e dintorni
delle bombe si ripeté altre cinque
volte con un certo intervallo
di tempo che mi sembravano
un’eternità, col cuore in gola…
in un fragore che ossessionava.
Subito il cielo si oscurò,
sembrava una classica giornata
milanese di fittissima nebbia,
ma di colore grigio, giallo e rossastro
a causa dei muri sgretolati;
era tanto buio che non mi
riuscì di ritrovare Crippa (fortunatamente
lo rividi qualche
giorno più tardi).
Un’ora dopo, diradata la “nebbia”,
rientrai e vidi l’impressionante
distruzione in ogni dove.
Sul tetto della mensa, alto
forse una ventina di metri, vedevo
le biciclette che prima si
trovavano nel vicino deposito,
scaraventate fin lassù dalle esplosioni.
Molte persone vagavano
in ogni direzione, come
inebetite. Non sembravano
nemmeno intenzionate ad allontanarsi
da quell’inferno.
Qualcuno raccontava (a chi?)
quel che aveva visto, e riferiva
di morti e feriti, ma confusamente
a causa del trauma subito.
 
Uno strano personaggio.
Quando, dopo tanti indugi, decisi
di andarmene, ritornai alla
Scuola apprendisti, che era li a
due passi. Scesi nello spogliatoio,
recuperai i miei effetti personali,
uscii dallo stesso portone
di prima e attraversai l’orto
di guerra che arrivava fino a via
Papa; oltre si trovava il prato
del Tiro a segno, che non era
recintato. Giunto sulla strada
vidi all’orizzonte una seconda
formazione di bombardieri. Data
l’alta quota di volo, ebbi
l’impressione che avesse lo
stesso obiettivo e cercai di affrettarmi
con l’intenzione di ripararmi
in una delle buche dalle
quali venivano lanciati i piattelli.
Al rumore provocato dal
primo sgancio delle bombe
questa volta mi buttai a terra,
come mi era stato insegnato
dai reduci; tentai più volte di
avvicinarmi alla buca più vicina
(non ricordo se le vedevo, sapevo
solo che c’erano), ma invano:
ero come paralizzato e
guadagnai solo poche decine
di metri.
Sullo stesso prato c’erano qua
e là anche dei blocchi di cemento
cubici da mezzo metro
di lato; su uno di questi, tranquillamente
seduto, stava un
signore che mi sbalordì: era elegantissimo
in un abito nero
tipo frac, con bombetta, papillon
e guanti in una mano. Roba
da “prima” alla Scala… ma non
era un sogno! Ormai gli ero
abbastanza vicino e lui cercò di
rassicurarmi dicendo:“non si
preoccupi, non le accadrà nulla.
Stia qui vicino a me. Vedrà
che non succederà nulla”. Frastornato
dal precedente shock
non gli credevo, ma intanto non
riuscivo in nessun modo a procedere,
neanche di un passo.
In effetti quell’incursione colpì
l’Isotta Fraschini che, in linea
d’aria, si trovava a poche centinaia
di metri dall’Alfa Romeo.
Ecco perché fui tratto in inganno
sul vero obiettivo, mentre
l’anonimo personaggio se ne
stava sempre tranquillo. Di certo
lui sapeva tutto, ma come
potevo immaginarlo?
Questo fatto è sempre stato un
dilemma per me ma, forse, più
di sessant’anni dopo, penso di
aver capito come possono essere
andate le cose.
Mi incamminai per tornare a
casa, a Legnano. Come? A
piedi, 26 chilometri, ma con
una complicazione: il famoso
“Pippo”, l’aereo ricognitore che
da tempo teneva tutti sulle spine
anche di notte. Volava ad
alta quota e non riuscivo a vederlo,
ma la paura di essere
individuato mi prese (infondata,
direste voi ora a mente serena, ma provare per credere) e decisi di camminare nascosto da siepi o boschi rasentando le marcite. All’imbrunire, sentendomi
più tranquillo, mi portai sul
Sempione e chiesi un passaggio
a un camionista che mi abbreviò
il cammino. Arrivai a casa
a notte fatta, mi sentivo un
miracolato.
Inizialmente i morti contati furono
più di 60 e le cronache si
sono fermate a questa cifra.
Dopo qualche tempo però, con
la ricostruzione in corso, si procedette
a liberare una buca,
delle dimensioni di un ampio
locale e posta al termine sud
del tunnel che dava accesso a
una delle torrette-rifugio, che
era stata completamente riempita
dalle macerie crollate durante
il bombardamento. Lì avevano
trovato riparo alcuni
operai che, purtroppo, non avevano
raggiunto la vicinissima
torretta-rifugio, e vi sono rimasti sepolti fino al ritrovamento. Non facevano parte della prima conta: totale più di 80.
Amara scoperta. Facciamo ora un bel salto nel tempo. Nel 1967, dopo un periodo di preparazione per l’adeguamento delle vetture Alfa Romeo alle nuove norme Usa sull’inquinamento da autoveicoli, mi reco nei laboratori Epa (EnvironmentalPollution Agency), all’epoca situati a Ypsilanti, Michigan, per effettuare le prove di certificazione ufficiali. Nulla di speciale; molto spazio, anonimi fabbricati industriali e altrettante spoglie aree che li circondano, apparentemente abbandonate.
Nel corso di queste mie missioni,ho conosciuto molte persone, ed ex aviatori americani, tra queste un nostro efficientissimo collaboratore, l’ing. Donald Black. Con lui intrattengo ancora rapporti d’amicizia con Storia e cultura
POLIS LEGNANO
13  Legnano e dintorni scambi di ricordi e notizie.
Tra queste (email di agosto 2011), una che ha attirato la mia attenzione: i sopracitati laboratori Epa di Ypsilanti erano situati in fabbricati non più utilizzati del WillowRunAirport, cioè uno degli impianti dove venivano assemblati i quadrimotori B-24 Liberator (quelli del bombardamento, per intenderci).
Il continuo scambio di informazioni umane e tecniche con l’amico Donald lentamente mi ha aiutato a dare una spiegazione sul motivo della presenza di quel signore in abiti da “prima” alla Scala che avevo visto durante il bombardamento del 1944. Ebbene, quel signore vestito elegantemente inviava le coordinate di puntamento ai bombardieri!
Non posso trarre una conclusione certa, ma nel mio ambiente di lavoro già allora circolavano voci di strani dispositivi, non meglio precisati, aggeggi oggi considerati rozzi, ma adatti per trasmettere segnali semplici come: X= tot metri più avanti, Y= tot metri più indietro, Z= tot metri più a sinistra, W= tot metri più a destra, e così via. Questi avrebbero potuto facilitare l’operazione normalmente affidata, all’epoca, ai dispositivi di puntamento Sperry, o similari, allora in uso. La mia è solo un’ipotesi, ma troppi fattori concomitanti, per esempio gli sganci successivi, opportunamente distanziati nel tempo e sempre più precisi, me la fanno ritenere abbastanza valida.
Una cosa è certa: sia nel caso dell’Alfa Romeo che in quello dell’Isotta Fraschini, i bersagli furono colpiti con precisione…».
 
DARIO RADAELLI
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