Legnano story - note personali
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Le origini
Legnano durante il sorgere e il consolidarsi della signoria viscontea
 
Abbiamo gia' visto ripetutamente nei capitoli precedenti che la particolare posizione di Legnano ne fece un punto importante del sistema difensivo milanese, finche' la situazione della citta' rimase incerta e le fazioni si avvicendavano al potere. Osserveremo ora come, con il consolidarsi a Milano di un governo signorile, in grado, ormai di controllare vasti territori e di imporre la propria volonta', Legnano sia divenuta, nel corso del secolo XIV, un semplice luogo di soggiorno per i nobili milanesi, sebbene non avesse perso del tutto la propria importanza militare, come vedremo.
Ottone Visconti, divenuto arcivescovo di Milano nel 1262, non aveva potuto prendere possesso dei propri beni a causa della ferma opposizione dei Torriani alla sua elezione. Unitosi al partito dei fuoriusciti e messosi a capo di esso nel 1276, tento' ripetutamente di abbattere il potere della fazione avversa, finche' nel 1277 si giunse al fatto risolutore. Essendo i Ottone entrato nella Martesana e puntando decisamente su Milano, i Torriani tentarono di fermarlo attestandosi a Desio, ma l'arcivescovo, che era stato canonico in quel borgo e vi aveva degli appoggi, riusci' a penetrarvi: parte dei Torriani restarono uccisi, altri prigionieri, mentre alcuni di loro, che al momento dell'agguato si trovavano a Cantu', rientrati precipitosamente a Milano, dovettero constatare che la loro autorita' era lesa irrimediabilmente e furono costretti a lasciare il paese. Il 21 gennaio 1277 Milano riconobbe Ottone e bandi' i Torriani.
Durante tutta questa lunga lotta la situazione del borgo di Legnano non era probabilmente mutata: nel catalogo delle famiglie nobili ammesse al rango degli ordinari della Metropolitana, redatto in un periodo imprecisato compreso tra il 1277 e il 1377, compaiono gli Oldrendi di Legnano, i quali avevano forse approfittato dello scarso controllo esercitato in questo periodo sui beni dipendenti dalla mensa arcivescovile per aumentare la propria autorita' sul borgo. In seguito, i loro rapporti con l'arcivescovo si faranno assai stretti e si giungera' ad una collaborazione assai fruttuosa per entrambi, come vedremo piu' avanti.
La situazione di Ottone non era pero' certamente tranquilla, dal momento che i Torriani, estromessi dal governo e banditi, non avevano abbandonato la speranza  di riacquistare cio' che avevano perduto, e, ottenuti numerosi appoggi, facevano numerose scorrerie nei territori attorno a Milano. La sfida aperta tra le due fazioni si ebbe nel 1285 quando Goffredo Torriani, dopo essere entrato a Bergamo e a Como, conquisto' Castelseprio: ben conosceva l'arcivescovo e i sentimenti del Seprio verso Milano e verso il partito dominante in esso, qualunque esso fosse, percio' riuni' tutto l'esercito a Legnano, dove rimase per otto giorni cioe' fino al 13 aprile.
Probabilmente lo stesso Ottone aveva innalzato, in quei tempi ancora torbidi per il suo governo, il muro che circondava il borgo, correndo lungo  il fosso scavato ai tempi di Leone da Perego; vi aveva inoltre costruito numerosi edifici, anche di una certa importanza. Tutto cio' rendeva Legnano adatta ai soggiorni di una certa durata e permetteva di utilizzarla come base logistica per le operazioni militari da svolgere nel vicino Seprio: infatti, essendo, come abbiamo detto ripetutamente, una porta sul territorio piu' prossimo a Milano, l'arcivescovo poteva da qui osservare le intenzioni del nemico e decidere se attaccarlo direttamente e bloccarlo prima che entrasse nel milanese. In questo caso l'arcivescovo opto' per la prima possibilita' e, uscito da Legnano, si trasferi' a Gallarate e di la' si avvio' a Castelseprio, ma circa un miglio fuori di Gallarate ricevette la notizia che i nemici erano usciti dalla rocca e si accampo' a Bassano,mentre i nemici rientravano in Castelseprio e ne miglioravano le fortificazioni.
L'arcivescovo allora, dimostrando ancora una volta quanto poco si fidasse del Seprio, si porto' immediatamente a Varese per tagliare i rifornimenti, che pero' nel frattempo erano gia' pervenuti, per opera di Guido da Castiglione, dalla vicina rocca omonima. Il maltempo che ostacolava le operazioni militari indusse le due parti a trattare la tregua, conclusa il 15 maggio con la consegna di Guido da Castiglione di Castelseprio e di Febo e Zanino della Torre come ostaggi, avvenuta il 18 maggio, dopodiche' i Torriani si recarono a Como e i  Visconti a Milano. Tuttavia al momento di concludere la pace il 21 maggio a Castiglione, le trattative si ruppero per le eccessive pretese di Ottone che voleva fare da arbitro unico negli accordi.
Dopo brevi scorrerie nei reciproci territori, sembrava che fosse tornata la calma, ma ben presto i Torriani  minacciarono Varese con l'intenzione di riprendersi Castelseprio. Nuovamente l'esercito milanese si sposto' a Legnano, da dove l'arcivescovo dopo aver invano tentato di ottenere pacificatamente Castelseprio da Guido da Castiglione gli lancio' u ultimatum di due giorni: per tutta risposta Guido consegno' la rocca ai Torriani e fu percio' bandito. L'esercito milanese si porto' a Gallarate, dove si riuni' il 12 ottobre con altri corpi provenienti da Milano; dopo una breve sosta dovuta al maltempo, assali' e saccheggio' il borgo di Castelseprio, ma non potendo prendere la rocca ed essendo impedito da ulteriori operazioni militari dalla piena dell'Olona, lascio' Castelseprio il 28 ottobre, di la' retrocesse su Fagnano e Busto Arsizio e in novembre rientro' a Milano.
Nel febbraio dell'anno successivo si fecero nuovi tentativi di pace; l'arcivescovo torno' nuovamente il 27 febbraio a  Legnano, che funziono' ancora una volta come punto di appoggio, e presso Legnano, probabilmente il castello di San Giorgio, costruito alcuni anni prima dai Torriani, si incontro' con Guido da Castiglione e Loterio Rusca. Le trattative, proseguite in Barlassina, si conclusero in Lomazzo il 30 marzo con la pace pubblicata il 3 aprile fra Lomazzo e Rodello, in base alla quale veniva revocato il bando ai Torriani, senza pero' permettere che rientrassero in Milano o nel suo contado.
Ottone tuttavia non ebbe pacefinche' mediante uno stratagemma, non riusci' il 28 marzo 1287 ad impadronirsi di Castelseprio e a farla radere al suolo, vietandone in perpetuo la ricostruzione. Eliminata questa minaccia, Ottone incomincio' a preparare il terreno per aprire la successione a suo nipote Matteo, che, dopo aver ricoperto cariche sempre piu' importanti, ottenne nel 1294 dal re dei romeni Adolfo di Nassau il titolo di vicario imperiale per la Lombardia, che gli fu riconfermato da Alberto d'Austria nel 1298. Frattanto l'8 ottobre 1295 era morto l'arcivescovo Ottone.
Ma nonostante tutto cio' il potere di Matteo Visconti era tutt'altro che solido: oltre alle guerre esterne e alle ribellioni delle citta' soggette, anche in Milano si ordivano congiure contro di lui. Il capo di una di esse, Pietro Visconti, scoperto ed imprigionato a Settezzano, godeva grande autorita' nel Seprio, forse perche' aveva sposato Antiochia, della famiglia dei Crivelli, che dalla sede originaria di Nerviano aveva probabilmente esteso il proprio potere anche su parte del Seprio
L'influenza di Antiochia Crivelli, che aveva provocato l'ennesima ribellione nel Seprio, un assalto delle citta' nemiche di Milano e tumulti in citta' provocarono congiuntamente il tracollo di Matteo, che dovette chiedere la pace e dimettere il capitanato il 13 o 14 giugno 1302. I Torriani rientrarono in Milano e i Visconti dovettero mettersi rapidamente in salvo, colpiti dal bando.
Milano rientrava cosi' nello schieramento delle forze anti-imperiali e filo-francesi e ne diveniva uno dei capisaldi.
Tutto cio' favoriva evidentemente i mercanti milanesi, che, per i loro commerci oltremontani, necessitavano di un buon accordo coi principi occidentali.  Attorno ai Torriani interpreti di queste aspirazioni si stringeva la classe dei fabbricanti, artigiani mercanti e banchieri. Ma la buona posizione politica della famiglia della Torre era minata dal latente dissidio tra Guido e il cugino Cassone, nuovo arcivescovo di Milano, che gia' nel 1303 si era ritirato nei propri castelli di Angera e Cassano. Nel maggio 1305 in seguito ad una congiura furono banditi da Milano alcuni nobili, tra cui Cressone Crivelli che, approfittando di una spedizione milanese con la lega Guelfa contro Brescia entro' in Nerviano, cercando invano di provocare una sollevazione e di impadronirsi di Rho e Legnano, ma all'arrivo dei milanesi dovette lasciare Nerviano, che fu data alle fiamme. Da cio' si puo' dedurre che i Crivelli godevano, o ritenevano di godere, autorita' nella zona di Nerviano e del Seprio; il progetto di impadronirsi di Legnano fa pensare ad u tentativo, attraverso il possesso di quel borgo, di fare insorgere il Seprio. Il fatto poi che i Crivelli dopo aver favorito l'avvento dei Torriani, mediante l'appoggio a Pietro Visconti e a sua moglie Antiochia, tentassero ora di scalzare il dominio, si spiega facilmente dal momento che proprio Pietro aveva da tempo cambiato partito ed era stato bandito assieme agli altri Visconti. Ma piu' dell'infelice tentativo di Cressone Crivelli, danneggio' Guido Torriani il dissidio con l'arcivescovo Cassone. Quando infatti Arrigo VII annuncio' la sua discesa in Italia, Guido si trovo' in posizione critica dal momento che,se egli voleva una ferma opposizione al sovrano, gli altri Guelfi erano incerti, soprattutto perche' l'imperatore si era precedentemente accordato con il papa. Quando poi gli inviati dei Guelfi alla corte di Arrigo si videro messi alla pari con Matteo, che si era frattanto presentato anch'esso all'imperatore, caddero tutte le loro speranze di guidare l'azione del sovrano secondo i propri desideri.
Frattanto l'arcivescovo Cassone, il cui dissidio con il cugino era ormai palese, si accordo' con Matteo; i patti consistevano nella rinuncia da parte di Matteo ad una eventuale signoria su Milano e nel rispetto dei beni dell'arcivescovo, tra cui compare Legnano. Arrigo VII giunto a Milano ordino' la pacificazione fra le fazioni, ma poco dopo, sembra che per un accordo intervenuto tra i figli dei capiparte Galeazzo Visconti e Francesco Torriani, scoppio' un tumulto contro l'imperatore, dal quale pero' Matteo riusci' a tenere fuori tutti i Visconti. Benche' la colpa ricadesse sui Torriani, anche i Visconti erano fortemente indiziati e il bando di Arrigo colpi' entrambe le famiglie. Tuttavia dopo breve tempo Matteo fu richiamato e nel campo imperiale sotto Brescia assediata, il 13 luglio 1311, ricevette il titolo di vicario imperiale per Milano e contado a tempo illimitato e revocabile solo alla restituzione della ingente somma prestata da Matteo all'imperatore.
Poco dopo in Pavia o in Genova raggiunsero Arrigo 12 nobili milanese, deputati della repubblica per accompagnarlo a Roma, e ricevettero da lui varie donazioni tra di essi, secondo il Giulini, c'era forse Lodrisio Visconti, figlio di Pietro e di Antiochia Crivelli, il quale avrebbe ottenuto dunque in questa occasione quella signoria su tutto il Seprio che sembra possedere in seguito. Sempre secondo il Giulini sarebbe stato lo stesso Matteo, timoroso dell'ambizione del cugino, a procurargli questa concessione, tuttavia considerata l'autorita' dei suoi genitori, come abbiamo visto, godevano nel Seprio, potrebbe trattarsi del semplice riconoscimento di uno stato di fatto.
Si erano frattanto guatati i rapporti fra Matteo e l'arcivescovo Cassone, che lascio' Milano e scomunico' l'antico alleato. La causa del dissidio e' probabilmente da ricercarsi nella somma versata da Matteo all'imperatore in cambio del vicariato: poiche' i Visconti in questo momento non avevano una grande disponibilita' finanziaria, e' probabile che si siano procurato il denaro necessario impegnando o vendendo i beni della mensa arcivescovile. Infatti nel documento di scomunica, riferito senza data dal Corio l'arcivescovo accusa Matteo, e i suoi parenti e i suoi fautori di aver occupato alcune terre dell'arcivescovado, di cui si fa un elenco dettagliato: Legnano non compresa tra esse, probabilmente resto' proprieta' della mensa e l'arcivescovo infatti vi abito' ancora in seguito, anche se la sua autorita' sul borgo era stata da tempo offuscata da quella dei Visconti.
Alle difficolta' create a Matteo all'arcivescovo, si uni' l'accordo tra i Torriani e Roberto d'Angio', stipulato il 5 novembre 1312 a Pavia e messo in atto l'anno successivo, quando un esercito guidato dai Torriani e dal maresciallo del re di Napoli, Tommaso Marzano conte di Squillace, entrato nel milanese dal lato di Pavia, dopo aver tentato invano di attaccare direttamente Milano, si porto' a Legnano dove pose il campo. Il borgo offriva evidentemente una protezione sicura e la possibilita' di alloggiare molte truppe: tutto cio' era dovuto probabilmente alle modifiche apportate al complesso degli edifici e delle fortificazioni da Ottone che, come abbiamo visto, se ne era servito spesso. Il fatto poi che Legnano, solitamente cosi' legata alla politica di Milano, offrisse ora ospitalita' ai suoi nemici, e' spiegabile considerando la potenza esercitata su tutta la zona dai Crivelli, che, al dire di Cermenate, appoggiavano i Guelfi.
In ogni caso, malgrado le insistenze dei Torriani che volevano si assalisse immediatamente Milano, il Maresciallo che comandava l'armata era titubante, perche' non riteneva abbastanza consistenti gli aiuti offerti dai nobili locali, finche' decise di abbandonare l'impresa. Secondo il Cermenate in questa ritirata ebbe una parte notevole l'ospite del Maresciallo, Sigisbaldo da Lampugnano, il frate dell'ordine militare della Beata Vergine Gloriosa o, secondo il nome piu' comune della congregazione, frate Godente, il quale, per proteggere le sue proprieta' e il borgo dai danni di una troppo prolungata permanenza delle truppe e anche perche' piu' incline ai Visconti che ai Torriani, convinse il maresciallo dell'opportunita' di allontanarsi prima che i milanesi accorressero. Vediamo dunque qui gia' insediato nel borgo una ramo della famiglia Lampugnani la cui influenza, gia' notevole ora, crescera' ulteriormente col passare del tempo.
Di fronte a questa ripresa, per altro assai inconsistente, della resistenza Guelfa, Matteo penso' di consolidare il proprio dominio e, convocata a Soncino nel dicembre 1318 una adunanza dei principali signori Ghibellini, ottenne in essa notevoli appoggi. Tutto cio' ovviamente non riusciva molto gradito al papa e di conseguenza, quando Matteo seppe che il re Roberto di Napoli si stava appunto recando ad incontrarlo in Avignone, cerco' di guadagnarsi le simpatie del pontefice riconoscendo come arcivescovo frate Aicardo, dell'ordine dei Minori che, eletto nel 1317 al momento della rinuncia di Cassone, non aveva ancora potuto prendere possesso del suo arcivescovado. Ma la rottura con il pontefice era ormai inevitabile, dal momento che un accordo con lui avrebbe necessariamente implicato la rinuncia da parte di Matteo alla Signoria su Milano a favore di Roberto d'Angio', re di Napoli. Per conseguenza si ebbero la scomunica di Matteo, l'interdetto su tutto il suo dominio e numerosi processi ecclesiastici contro di lui; infine nel 1322 il papa indisse addirittura una crociata contro i Visconti.
Di fronte all'inquietudine causata in Milano da questa situazione, Matteo dovette rassegnarsi ad intavolare trattative di pace, che implicavano la sua rinuncia alla signoria: Matteo depose bensi' il suo titolo, ma fece assegnare la successione a suo figlio Galeazzo. Nel giugno dell'anno 1322 Matteo mori' e il consiglio generale di Milano confermo' la carica a Galeazzo: la guerra di conseguenza riprese e Galeazzo, temendo per il proprio potere, non volle sentire piu' parlare di pace. Questa decisione riusci' sgradita a molti che auspicavano una conclusione della guerra, qualunque essa fosse; si apri' cosi' una netta frattura nel partito visconteo: Francesco da Garbagnate, Simone Crivelli e Lodrisio Visconti, tratti dalla loro parte i capi delle truppe straniere stipendiate da Milano, costrinsero Galeazzo a lasciare la citta'.
Tuttavia Lodrisio, che aveva preso parte alla congiura solo per fare i propri interessi personali, nella speranza cioe' di soppiantare Galeazzo, quando vide deluse le proprie aspettative, richiamo' il cugino mentre il Garbagnate e il Crivelli lasciavano Milano. Lodrisio, pero',  se non era riuscito in questa occasione a realizzare le sue mire, non le aveva certo abbandonate ed era pronto a cogliere l'occasione opportuna appena questa si fosse presentata. Per il momento comunque appariva in assoluta concordia con Galeazzo e i suoi fratelli: infatti quando nel 1323 proseguendo la guerra e facendosi i Torriani nuovamente minacciosi, molti nobili ghibellini, ostili a Galeazzo, pensarono bene di riconcigliarsi con lui, si recarono a Legnano, dove si trovava Lodrisio coi quattro fratelli del signore di Milano, ed ivi avvenne una generale riconciliazione. Il fatto stesso che i cinque Visconti si trovassero a Legnano che, come abbiamo visto era nell'area di influenza di Lodrisio e dei Crivelli suoi parenti e fautori, dimostra che Galeazzo e i suoi fratelli avevano ora piena fiducia in Lodrisio: se avessero o meno ragione di farlo lo vedremo in seguito. Continuava frattanto la guerra contro l'esercito pontificio e nuovamente Lodrisio, questa volta appoggiato da Marco, fratello di Galeazzo, che era insieme a lui il principale artefice delle vittorie militari di Galeazzo, avanzava pretese sulla signoria di Milano. La frattura si andava facendo sempre piu' insanabile e Galeazzo cercava di calmare Marco e Lodrisio concedendo loro molti beni, probabilmente attingendo al patrimonio ecclesiastico e approfittando del fatto che l'arcivescovo e quasi tutto il clero, in seguito della guerra col papato, avevano lasciato, lo stato visconteo. Lodrisio in particolare ottenne, secondo il Giulini, varie concessioni di giurisdizione nel Seprio: non e' impossibile che abbia ottenuto in questa occasione la conferma del suo potere su Legnano, che appunto era parte del patrimonio arcivescovile.
In seguito pero' quando Galeazzo prese ad intavolare trattative di pace col legato papale, incontro' nuovamente l'opposizione di Marco e Lodrisio, che forse temevano, in caso di pace con il pontefice, di dover restituire i beni ecclesiastici che detenevano abusivamente. Percio' essi appoggiarono la discesa di Ludovico il Bavaro nel 1327, il quale destitui' Galeazzo e lo fece prigioniero, ma, per l'unanime pressione dei ghibellini, fu poi costretto a liberarlo. Galeazzo tuttavia mori' poco dopo e gli successe il figlio Azzone, il quale nel 1329 con l'appoggio dello zio Giovanni si accordo' con il Bavaro che gli concesse il vicariato imperiale.
Nel dicembre del 1329 la situazione incerta in Germania costrinse Ludovico a lasciare l'Italia e Azzone, che aveva gia' ottenuto in settembre l'assoluzione papale, si schiero' apertamente col papa contro l'imperatore. Cio' frutto' a Giovanni Visconti nel 1332 la riconferma dell'amministrazione dei beni della mensa arcivescovile, che aveva gia' ottenuto da Ludovico il Bavaro, in cambio di una pensione annua allo arcivescovo Aicardo. Nelle abili mani di Giovanni la situazione della mensa cambio' radicalmente: egli rivendico' i suoi diritti e li fece valere con la forza della sua autonomia, recupero' i beni perduti e arricchi' di edifici l'arcivescovado di Milano e le terre che da lui dipendevano.
Forse proprio per questo motivo alcuni signori milanese, che probabilmente avevano dovuto restituire cio' che ormai consideravano di loro proprieta', congiurarono contro Azzone e furono da lui arrestati nel novembre del 1333. Tra di essi c'era un Crivelli, mentre Lodrisio, che probabilmente era a capo della congiura,lascio' Milano e dopo essere rimasto in esilio per alcuni anni, assoldo' nel 1339 l'esercito licenziato da Mastino della Scala in seguito alla pace con Venezia, e attraverso Brescia, Bergamo, Cernusco e Sesto di Monza si porto' a Legnano. Quivi giunto prese a riscuotere le tasse dovutegli dal Seprio: Legnano fungeva ancora una volta da base logistica e da quartiere generale, in questo caso pero' orientato in senso contrario a quello consueto. Cio' era dovuto al fatto che Lodrisio godeva grande autorita' in questa zona e forse aveva qualche titolo giuridico che giustificava il suo potere in questi luoghi: infatti si era portato subito a Legnano e vi aveva stabilito il campo, ben sapendo che non vi avrebbe incontrato alcuna resistenza, inoltre aveva ordinato che in questa localita' si recassero gli abitanti della zona per pagargli le imposte dovute.
Ma anche questo tentativo non ebbe un esito migliore dei precedenti, perche' l'esercito di Lodrisio, scontratosi con quello milanese a Parabiago, dove era penetrato furtivamente il 21 febbraio 1339, dopo un successo iniziale dovuto alla sorpresa, subi' una rotta totale, mentre Lodrisio stesso fu fatto prigioniero. Eliminato Lodrisio, Giovanni Visconti, che alla morte di frate Aicardo, avvenuta il 10 agosto 1339, era stato eletto arcivescovo, e a quella di Azzone, avvenuta sei giorni dopo, era stato chiamato a succedergli insieme con il fratello Luchino, pote' riaffermare in pieno la propria autorita' su questo borgo favorendo la famiglia Oldrendi o Oldradi, di cui si servi' per realizzare i propri disegni politici su Bologna. Infatti Giovanni, dopo essere stato confermato arcivescovo dal papa nel 1342, si era dedicato totalmente agli affari ecclesiastici, lasciando a Luchino quelli della Signoria, ma alla morte di questi, assegnata la propria successione ai tre nipoti Bernabo', Galeazzo II e Matteo II, figli di suo fratello Stefano, si diede a governare personalmente.
Nel 1350 ottenne da Giovanni de' Pepoli la signoria su Bologna in cambio di una ingente somma; giusto in quest'epoca giunse a Bologna il giurista Giovanni Oldrendi da Legnano, che compare in un mandato di pagamento del 1350 insieme a coloro che dovevano ricevere i pagamenti dal governo, non come lettori dello studio, ma per sevizi politici e amministrativi: probabilmente egli faceva parte di quel gruppo di fedeli dei Visconti che, inviati a Bologna per politico provvedimento, avevano preparato l'avvento dei signori di Milano. Il Legnano ebbe poi a Bologna una carriera sfavillante, sia come giurista che come uomo politico. Per quanto riguarda Giovanni Visconti, dopo aver incontrato l'opposizione della Santa Sede che rivendicava a se' Bologna, la restitui' nel 1352, al Sommo Pontefice e la riottenne da lui in vicariato, insieme con l'assoluzione dalla scomunica.
Giovanni mori' poco dopo, il 5 ottobre 1354 e la signoria passo' ai tre nipoti Galeazzo II, Bernabo' e matteo II, che mori' l'anno successivo.
La morte di Giovanni apri' anche il problema della successione alla cattedra arcivescovile: fu eletto Roberto Visconti, confermato anche dal pontefice. Cio' provoco' gravi danni al patrimonio della mensa, perche', finche' il potere ecclesiastico e quello civile avevano fatto capo entrambi a Giovanni Visconti, vi era stata una grande confusione di competenze e, al momento di operare la divisione, risulto' assai difficile stabilire quali beni e diritti spettassero all'arcivescovo e quali ai signori di Milano.
Cosi' i beni dell'arcivescovado diminuirono ulteriormente: furono perdute per sempre molte proprieta' e la stessa residenza dell'arcivescovo si ridusse ad una abitazione assai modesta, che non meritava neppure il titolo di palazzo.  Anche questa volta pero' Legnano, sulla quale Giovanni aveva riaffermato il proprio potere, resto' di proprieta' dell'arcivescovado. Infatti nel 1361, quando la peste stermino' gran parte della popolazione dell'Italia settentrionale, i signori di Milano si ritirarono nei loro castelli di campagna e l'arcivescovo a Legnano, dove mori'. Queste le testimonianze: il continuatore del Manipulus Florum del Fiamma sotto l'anno 1361 dice: " Die VIII Augusti Robertus Vicecomes Archiepiscopus Mediolani in Legnano moritur"; l'autore degli Annali Milanesi afferma "Isto anno Robertus Mediolani Archiepiscopus in Legnano moritur de mense Augusti".
Con la morte di questo arcivescovo si apri' per i beni della mensa un periodo assai infelice, perche', per la politica condotta dai due signor di Milano Bernabo' e Galeazzo II, quasi costantemente ostile al papato, i successori di Roberto, che furono, nel 1361, Guglielmo della Pusterla e, dieci anni piu' tardi, Simone da Borsano, non ebbero la possibilita' di prendere possesso del loro arcivescovado, mentre la politica dei Visconti, il cui potere si era fatto ormai solido, diveniva sempre piu' accentrata od esercitava un rigido controllo sulle terre del suo dominio. Da tempo ormai la Bulgaria era stata unita al Seprio e la Barzana alla Martesana e i due contadi principali avevano ciascuno un vicario, dotato di mero e misto imperio, con autorita' di giudicare tutte le cause civili e criminali senza alcuna limitazione. Quando poi a Galeazzo II successe il figlio Gian Galeazzo, nel 1378, egli dovette provvedere a limitare l'autorita' di questi vicari, che si stendeva ormai fino alle porte di Milano, per escludere dalla loro giurisdizione le terre attorno a Milano per un raggio di 10 miglia. Il borgo di Legnano aveva ormai perduti la sua importanza militare, mentre l'abbiamo visto ancora nel primo quarto del secolo XIV fungere da piazzaforte di confine a base logistica, volta a volta nelle operazioni militari contro il Seprio e contro Milano. Era nel contempo enormemente decaduta l'autorita' dell'arcivescovo, che conservava bensi' la proprieta' degli edifici e delle terre di Legnano, spettanti alla mensa, ma aveva ormai perduti qualsiasi potere civile sul borgo e se ne serviva solo come luogo di soggiorno. Legnano e' ormai entrata nell'orbita delle famiglie nobili milanesi, le quali investono i loro capitali acquistando terre nel contado e recandosi a trascorrere i periodi di riposo e di festa. Quest'uso si fara' diffusissimo per Legnano nel secolo successivo comincia gia' nel presente a prendere piede, specie nella seconda meta'. Ne troviamo un'eco nella scorreria di una compagnia militare inglese proveniente dal novarese, che, nel 1362, assali' Legnano, Nerviano, Vittuone, Castano e Sedriano.  Cio' avvenne secondo l'Azario nei primi giorni di gennaio e proprio in quei giorni festivi gli inglesi trovarono in tutti quei borghi famiglie nobili, che si erano recate a trascorrere le feste di fine anno in campagna. Inoltre negli statuti pubblicati da Gian Galeazzo nel 1396 si dice espressamente: "Quilibet civis vel capitaneus vel Vavassor habitator Mediolani possit ire ad Hbitandum in burgis, locis, vilis, cassinis,  et molendinis, in quibus habet possessiones suas, et ibi possit stare a Kalendis Maij usque ad Sanctum Martinum, absque eo quod teneatur solvere, et sustinere aliquod cum Nobilibus, vel cum Communitate tam nobilium quam vicinorum". Qui si indica chiaramente l'usanza dei nobili a recarsi a soggiornare nelle loro proprieta' di campagna dall'inizio di Maggio all'inizio di Novembre e li si esenta dal sostenere i carichi murali, distinguendoli nettamente da coloro che vivevano nel borgo tutto l'anno.
Ovviamente, trattandosi di famiglie nobili e potenti, la loro autorita' nel piccolo borgo si faceva in breve tempo grandissima anzi, col passare del tempo, era una sola di esse a dominare il borgo: cosi' in Legnano nel secolo XIV troviamo numerose famiglie nobili, ma nel secolo XV appare chiaro che i Lampugnani hanno ormai soppiantato tutte le altre, che, seppure non estromesse dal borgo, vivono ormai nell'ombra della famiglia dominante.
Nel secolo XIV la famiglia piu' potente sembra essere ancora quella degli Oldrendi: infatti Gerolamo, nonno di quel Giovanni Oldrendi di Legnano giurista a Bologna, e suo padre Conte, sono signori di Oldrendo, Legnano, Legnanello e Cerro. Dal testamento di Giovanni da Legnano in data 27 marzo 1376 si ricava che i suoi fratelli erano Princivallo e Bianco. Appunto Princivallo, ai figli di Bianco, gia' morto, e a sua nipote Caterina, figlia di suo cugino Nioto anche egli gia' morto, concede l'usofrutto di tutti i suoi beni a Legnano e Cerro, costituendo erede universale il figlio Battista. In un codicillo del 15 febbraio 1383 revoco' poi l'usufrutto gia' concesso e lo limito' agli alimenti. Quindi questo ramo degli Oldrendi, sebbene si fosse gia' stabilmente trasferito a Bologna, conservava ancora notevoli proprieta' nel suo luogo di origine.
Un'altra famiglia nobile che possedeva beni e autorita' nel borgo era quella dei crivelli, che vi aveva esteso il suo potere dalla sede originaria di Nerviano, seppure fosse rientrata un po' nell'ombra dopo l'insuccesso di Lodrisio Visconti a Parabiago. conservava tuttavia grandi proprieta', che vendera' in parte ai Lampugnani nel secolo successivo.
Un ramo dei Lampugnani stessi, diverso da quello che dominera' il borgo agli albori del 1400, doveva essersi stabilito a Legnano gia' dall'inizio di questo secolo, se crediamo al racconto del Cermenate circa il campo Guelfo in Legnano nel 1313: cio' sarebbe comprovato dal fatto che, quando Oldrado Lampugnani e la sua famiglia acquistarono beni nel borgo, alla fine del secolo XIV e all'inizio del secolo XV, tra i venditori vi furono alcuni discendenti da un ramo diverso dal suo.
In questo secolo XV si stabili' a Legnano anche un'altra nobile famiglia, quella dei Vismara o Vincemala, nota nel borgo piu' per la sua attivita' a favore delle fondazioni religiose che per il suo peso politico. Gia' nel 1334 un Pudeo o Tadeo Vismara, pagava all'arcivescovo di Milano un livello per le terre in Legnano, nel 1357 da un atto del 26 gennaio risulta che " Vincimala Jacobinus coheret cum bonis Archiepiscopi Mediolani in burgo Legnani et dictus Jacobinus possidet in dicto burgo unum molendinum". Giocabino era figlio del predetto Taddeo e dovette insieme ai suoi figli, accrescere notevolmente le sue proprieta' in Legnano, giacche' vedremo quanto esse fossero vaste nel secolo successivo.
Gli appartenenti alle famiglie citate vivevano per lo piu' a Milano, tranne forse qualche ramo secondario che si era stabilito a Legnano, e trascorrevano nel borgo solo la stagione estiva e i periodi festivi. Nel secolo successivo invece molti di loro si stabilirono definitivamente nel borgo e prenderanno parte attiva alla sua vita politica e sociale.
 
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