Legnano story - note personali
Precedente  |  Successivo ]     [ Su  |  Primo  |  Ultimo ]     (Article 208 of 293)
 
Daghe & Coltelli
apparati per la tavola e la guerra nel Rinascimento europeo
                                                                                                          
Dagli utensili in selce dei nostri antenati alle preziose cinquedee del rinascimento italiano, le   lame   corte   hanno   sempre   caratterizzato   la   vita   sociale   dell’uomo.   Il   coltello,   oggi comune utensile d’uso quotidiano, ha una lunga storia ma l’uso “domestico”  dello stesso pare si debba ai barbari invasori. (1)  E’ poi   nel   rinascimento,   con   l’affinarsi   delle   buone   maniere,   che compare   il   coltello   da   tavola   a   punta   arrotondata.   Esso   si diffonde   parallelamente   all’uso   di   tagliare   le   carni   nel   piatto, abbandonando  la consuetudine di infilzare i cibi con la punta della lama per prenderli e portarli alla bocca. Al tempo stesso si consolida l’abitudine di utilizzare puntaruoli o “pilotti” e, ancora limitatamente e con  eccezioni ben  localizzate  geograficamente,  “forcine” (forchette) per prendere le carni dal piatto di portata.
Sono   anche   documentate   abitudini   “geografiche”,   riguardo all’utilizzo del coltello a tavola,  : verso la metà del ‘cinquecento  il francese Calviac  (2)  riportava che “gli italiani   in   generale   preferiscono   avere   un coltello per ciascuno.  I tedeschi, poi, lo considerano tanto importante che è per loro motivo di grande fastidio che il loro coltello venga preso o richiesto da altri. I francesi, al contrario, in un’intera tavolata di persone si   servono   di   due   o   tre   coltelli   senza   che   il   chiederli   o   prenderli rappresenti una problema, e così il porgerli, quando siano richiesti” . Il coltello  è quindi componente fondamentale delle “posate”  (nella lingua italiana il termine viene da “posare” facendo riferimento al fatto che si tratta di oggetti posti sulla tavola  (3) )  tanto che nella lingua tedesca alle posate ci si   riferisce   con   “Besteck”   che   in   origine   indicava   il   fodero   del coltello che ognuno portava in cintura.   In quello stesso fodero, sovente,   era   posta   la   daga   :   lama   più lunga     di   ben   altro   utilizzo.   Di   etimo incerto ma sicuramente nord-europeo ( “Dagen” in tedesco significa spada) la daga, arma da mano assimilabile al pugnale ma con lama più lunga, rappresenta uno degli strumenti di   difesa⁄offesa      a  maggior   diffusione   nel   rinascimento.
“Magistro primo son de daga...” scriveva nel Flos Duellatorum Fiore de'Liberi   nel   XV   secolo  (4)     :   nella   trattatistica   medioevale   e rinascimentale grande attenzione viene posta dai maestri d'arme al   maneggio   della   daga,   segno   dell'importanza   che   quest'arma rappresentava, anche nella vita di tutti i giorni, per i nobiluomini a cui le opere erano generalmente destinate. Anche se pare che il portare daga e spada con l’armatura sia entrato nell’uso comune solo   agli   inizi   del   1300,   dal   Medioevo   fino   ai   primi   del   XVII secolo,   daghe   e   pugnali   venivano   portati   spesso   anche   da   chi indossava   abiti   civili.   In   questo   periodo   ne   erano   utilizzati principalmente quattro tipi   (5)   : la daga, o pugnale, a “rondelle” od   a   “dischi”   che   aveva   la   guardia   ed   il   pomo   realizzati   con   due   dischi   posti orizzontalmente; quella  con  l’elso  a croce,  fatto   come  quello   di una spada di  formato ridotto; la “basilarda” o “baselardo”, un’arma di origine svizzera molto usata dai civili, con il manico fatto come una lettera “I”;  la daga a “rognoni”, la cui guardia era costituita fig.3 1555 - Daga svizzera  da due sporgenze a forma di sfera.  Un altro tipo di daga fu quello “ad orecchie”, in uso principalmente in Spagna   (ereditato  dei  Mori)  ma  che si diffuse anche in altri paesi d'Europa; il suo nome deriva dal fatto   che   il   pomo   era   costituito   da   due   dischi accostati con un angolo di 45°. La daga a rondelle ed il baselardo, sembra siano caduti in disuso all'inizio del 1500, ma un modello perfezionato del secondo si diffuse largamente in Germania sino a circa il 1560 ed in Svizzera, suo luogo d'origine, sino al 1600. In quest'ultima variante è chiamato “Holbein”, per il fatto   che   Hans   Holbein   il   Giovane   aveva   fatto disegni   per   il   decoro   del   fodero   di   questa   daga; questa aveva un elso simile a quello del baselardo ma  il  fodero  era, di solito,  di  bronzo  dorato  o  di argento, decorato con scene in parte traforate od in rilievo. In tempi recenti l'”Holbein” è diventato tristemente famoso per essere stato adottato dalle SSA naziste.  La  daga a “rognoni” restò in uso sino agli inizi del 1600 e, in una forma perfezionata chiamata “dirk”, ha continuato a far parte del costume nazionale degli Highlanders scozzesi sino ai giorni nostri.   La daga con elso a croce ebbe il suo periodo di massimo utilizzo nel tardo Cinquecento ed agli inizi del Seicento, quando accompagnava la spada da lato. Questo tipo di daga, detta “mancina” o “main-gauche” per l'ovvio motivo che veniva impugnata con la mano sinistra mentre la destra brandiva la spada, aveva spesso i bracci dell' elso arcuati per far incastrare la lama dell'avversario, e dopo la metà del   Cinquecento   fu   spesso   munita   di   un   anello   laterale.   Lo “stiletto”, che aveva una lama  rigida  ed appuntita di sezione triangolare   o   quadrata,   fu   un'   altro   tipo   di   daga     a   crociera popolare nell'Italia del Seicento.  Per quest'arma, che colpisce per la bellezza e l'eleganza del disegno, molte sono le leggende che oggi   definiremmo   “metropolitane”   :   alcuni   la   chiamarono “misericordia” per il fatto che fosse usata per portare il colpo fatale al ferito  sofferente, un  atto  di “misericordia”, appunto, per   un essere umano destinato al giudizio divino;   altre versioni della stessa daga, riportavano tacche sulla lama (“stiletto centoventi”) e si disse fosse anche uno strumento in uso al bombardiere per la misura dei calibri delle bocche da fuoco; ma questa interpretazione, contestata da molti esperti (6) per la disparità delle misure e la disposizione delle stesse sulla lama,   lasciò   spazio   anche   ad   un'altra   leggenda   :   essendo   un'arma facilmente occultabile e per questo molto spesso vietata, che la scusa dell'utilizzo professionale potesse costituire un valido motivo di possesso.  Molto bello   è   pure   un   altro   tipo   di   daga   :   la   cinquedea   o   lingua   di   bue   (parente dell'anelace  europeo)   ,   prezioso   prodotto   di   lusso   destinato   ad   un   ristretto mercato di élite. Contrazione di “cinque dita” (dalla larghezza della lama) questo strano tipo di arma resta di moda per circa un quarto di secolo e nasce da modelli anteriori   più   semplici,   senza   lame   incise.   Prodotto   tipicamente   italiano,   forse unica   vera   invenzione   italiana   nelle   armi   bianche,   nasce   in   Emilia   e viene prodotta a Bologna ed a Venezia. (7)  Queste daghe sono di grande importanza perché stanno alla base delle decorazioni delle altre armi ed armature delle prime decadi del Cinquecento; sembra che solo un paio di   incisori   abbiano   anche   disegnato   le   loro   fantasie   decorative   :   il Maestro dei cavallini ed Ercole de Fideli da Sesso, orafo alla corte di Lucrezia Borgia.     All'incirca dopo il 1630, quando nella scherma non se ne   fece   più   uso,   la   daga   divenne   un   complemento   dell'uniforme;   la baionetta   da   innestare   nella   bocca   del   fucile  rappresentò   l'ultimo utilizzo militare di quest'arma.
Come detto, altri apparati completavano il desco rinascimentale;   nell' opera  di   Bartolomeo Scappi    “dell'Arte del cucinare” (8)   della fine del XVI   secolo,      sono   presenti   parecchie   illustrazioni   :      in   alcune, particolarmente   interessanti,   possiamo   notare   oltre   a   parecchi  tipi   di coltelli,  “pilotti per impilotar”  e  “forcine”.   Ora, anche se gli antichi Romani utilizzavano forchettoni e forse anche una sorta di forchetta, le forchette come le intendiamo oggigiorno sono probabilmente un'invenzione bizantina il cui uso fu importato dalla repubblica di Venezia.   La   prima   testimonianza   dell'utilizzo   della   forchetta   nell'Europa   occidentale, riguarda il banchetto per le nozze della principessa greca Argilo con il figlio del Doge di Venezia celebrate nel 955. (9) Proprio perché associate al mondo bizantino ed a causa dello scisma tra la Chiesa ortodossa e la Chiesa di Roma del 1054, le forchette furono indicate dal clero cattolico come simbolo del demonio  ed il loro  utilizzo bollato come peccato.   Ed ancora nel  Seicento, quando  in Italia  il loro  uso è oramai frequente, Monteverdi, ogni volta che per buona educazione è  costretto   ad   impiegarle,   fa  dire  tre  messe  per   espiare   il peccato commesso. (10)     Partendo dall'Italia , dove a Napoli ai tempi di Roberto d'Angiò (1309-1343) si mangiava la pasta calda e scivolosa infilzandola con una specie di punteruolo di legno (il “pilotto” illustrato nell'opera dello Scappi),   la forchetta   (“forcina”)   arriverà   agli   altri   paesi   europei diffondendosi molto lentamente. Già nel Cinquecento questa è   presente   in   Francia   :   a   corte   verrà,   forse,   introdotta   da  Caterina de'Medici,  andata in sposa nel 1533 a Enrico II. Sarà suo figlio Enrico III a voler rendere   obbligatorio   l'uso   ordinandone   l'impiego   :   susciterà,   però,   solo   derisione   ed avversione nei confronti di chi, raffinato imitatore degli italiani, non tocca il cibo con le mani; sol  nella seconda metà del Seicento verrà meno l'avversione della nobiltà francese per la forchetta. Alla corte francese, si mangiava più o meno come nel Medioevo. Davanti ad ogni convitato veniva posto il “tagliere”, costituito da una piastra rotonda o quadrata di metallo, di legno od anche da una fetta di pane scuro molto spessa su cui si posava la carne. Il bicchiere era messo a destra , il coltello a sinistra. Solo lo scudiero “tagliatore”, il “trinciante” incaricato di tagliare le carni, usava una forchetta per tenere fermi i cibi. Poi i convitati prendevano con tre dita la porzione che veniva loro offerta e la dividevano sul tagliere in pezzi più piccoli che portavano alla bocca con la mano destra. Al centro della tavola era posto un unico cucchiaio con cui ci si serviva di patè e di dolce. Salse e minestre venivano servite separatamente in piatti fondi o scodelle e consumate con pane. Mangiare con le dita costringeva ad usare molti tovaglioli, anche se talvolta, nei pasti più semplici, ci si   asciugava   le   mani   nella   tovaglia.   Piatto,   scodella   e   tagliere   erano   cambiati   ad   ogni portata e si cambiava ogni volta anche il tovagliolo. Si facevano brindisi augurali offrendo il proprio bicchiere in segno di cordialità ma prima di bere nel bicchiere di altri, ci si asciugava la bocca.(11) 
Tempi che cambiano, abitudini che mutano, strumenti che evolvono:  il coltello è rimasto più   o   meno   lo   stesso,   la   forcina   è   diventata   forchetta   a   quattro   rebbi,     il   pilotto   è scomparso; e non stupitevi se, ordinando un caffè in un moderno bar, vi offriranno   un cucchiaino in cioccolato  :  ricordate che ad Enrico III, re di Francia ,  nel 1574 a Venezia “gli fu apparecchiata una bellissima colatione di confettioni, et di frutti di zucari, co i coltelli, con le touaglie, co i piatti & con le forcine fatte di zuccaro” (12)
 
 
 
 
 
 
 
 
marco ibridi, 2007
Bibliografia
(1) Raffaella Sarti – Vita di casa, Laterza Bari 2006  pag.189
(2) Calviac – Civilité , 1560 cit. in R.Sarti ibid.  pag.188
(3) Raffaella Sarti – ibid., pag.192
(4) Fiore de'Liberi – Flos Duellatorum, 1409 ed.critica a cura di G.Rapisardi, Gladiatoria              Padova 1998
(5) C.Blair L.G.Boccia – Armi e Armature, Fabbri Editori Milano 1991 pag.18
(6) AA.VV. – L'Armeria Reale di Torino, Bramante Ed. Busto Arsizio 1982 pag.364
(7) L.G.Boccia E.T.Choelo – Armi Bianche Italiane, Bramante Ed. Busto Arsizio 1975
 
(8) Bartolomeo Scappi –  dell'Arte del cucinare,    in   Banchetti Composizione di Vivande e Apparecchio Generale, di Cristoforo da Messisburgo ed.critica F.Bandini G.Capnist, Neri Pozza Editore Vicenza 1992
(9) Raffaella Sarti – ibid., pag.190
(10) Raffaella Sarti – ibid., pag.190
(11)  Ivan   Cloulas   –  La   vita   quotidiana   nei   castelli   della   Loira   nel   Rinascimento,   Fabbri Editori Milano 1999 pag.224
(12) Alvise Zorzi - La vita quotidiana a Venezia nel '500 il secolo di Tiziano,  Fabbri Editori Milano 1998 pag.350
 
 
Immagini
fig.1  –   da  Richard   F.Burton   –  The   book   of  the  sword,   Trieste  1883  edizione  1987   Dover  Publications, Inc. New York  pag.46
fig.2  -  da Bartolomeo Scappi – dell'Arte del cucinare,  in  Banchetti Composizione di Vivande e Apparecchio Generale, di Cristoforo da Messisburgo  ed.critica F.Bandini G.Capnist, Neri Pozza Editore Vicenza 1992
fig.3   -   Collezione Odescalchi, Roma tratto da M.G.Barberini   -  Belle e Terribili, Palombi Editori 2002  pag.79
fig.4  - da  C.de Vita - Armi Bianche dal medioevo all'età moderna,  Centro Di Edifimi Firenze 1983  tav.32
fig.5   -   The Wallace Collection, Londra. Tratto da Gerald Weland -  Sword Daggers & Cutlasses, Grange Books Singapore 1997 pag. 76
fig.6   -   The Wallace Collection, Londra. Tratto da Gerald Weland -  Sword Daggers & Cutlasses, Grange Books Singapore 1997 pag. 91
fig.7   -   Arezzo Museo Medieovale e Moderno. Tratto da L.G.Boccia E.T.Choelo – Armi Bianche Italiane, Bramante Ed. Busto Arsizio 1975  tav.669⁄670
fig.8 -  Armeria Reale di Torino. Tratto da AA.VV. – L'Armeria Reale di Torino, Bramante Ed. Busto Arsizio 1982  tav.183
fig.9  -  Museo Civico Medievale di Bologna. Tratto da  L.G.Boccia – L'armeria del  Museo Civico Medievale di Bologna,  Bramante Ed. Busto Arsizio 1991  tav.232 , 233
fig.10 -  da Bartolomeo Scappi – dell'Arte del cucinare,  in  Banchetti Composizione di Vivande   e Apparecchio Generale, di Cristoforo da Messisburgo ed.critica F.Bandini G.Capnist, Neri Pozza Editore Vicenza 1992
fine pagina