del mangiare e del bere per i sani
Non si mangi mai a sazietà, meno ancora a cena. Si mangiano cibi di buon nutrimento e di facile digestione, Si beva poco, si eviti l’eccessiva varietà di cibi: siano solo tre cioè uno come antipasto, un secondo e uno per finire. (Ma solo i ricchi si potevano concedere simili menù. I più mangiavano un solo pasto a base di pane nero, volgari legumi e formaggi sviliti negli aromi e nelle sostanze nutrienti).
REGOLE PER ALCUNI CIBI E BEVANDE
Il pane è il cibo principale. Se si può, deve essere di buon frumento: i ricchi possono profumarlo con un poco di anice. Sia fresco di uno o due giorni.
Il vino, se si può, sia tirato almeno da sei, sette mesi, di buon odore, di gradevole sapore, non troppo alcolico, non troppo dolce o aspro: deve avere garbo.
Le carni devono essere di animali giovani tra il grasso e il magro. Chi può mangi galline, capponi, galli, pernici, fagiani, tortore, tordi, merli, quaglie… tutti insomma gli uccelli di montagna. (Quanti erano coloro che potevano scegliere fra tutto questo ben di Dio? E’ un campionario gustosissimo della selvaggina che abbondava nelle campagne e nei boschi di quei tempi).
Non fanno bene alla salute gli animali come le oche, le anitre ed anche le pecore, gli agnelli e i porcellini. Fa bene invece la carne di porco fresca, poco salata e preparata in poca quantità come prosciutti e salsicce. Va molto bene la carne di lepre, i conigli, il capriolo, i daini novelli; ottima la carne di capretto arrostita! (Ci si può chiedere in base a quali criteri, a quali esperienze cliniche si credeva che questo andava bene quello invece era nocivo. Siccome si davano norme dietetiche per sfuggire il contagio, si consigliava di mettere in tutte le vivande i miracoloso aceto, oppure succo di limoni, profumandole con spezie tipo cannella, garofani e noce moscata).
Il latte deve fuggirsi perché putrescibile, salvo cagliato in quanto la sua acidità fa da antidoto a contagio.
Di formaggio se ne mangi poco alla fine del pasto, come sigillo allo stomaco. Le uova sono buone se di giornata, rotte in acqua o brodo, oppure messe intere sopra la cenere calda.
Niente frutti di mare e pesci. Sono generi umidi e facili da putrefarsi. Volendone mangiare si facciano arrostiti o fritti. Dopo di loro si mangino noci e aglio come controveleno.
FRUTTI DELLA CAMPAGNA
Non si mangino i primi a maturare. Se ne mangino pochi anche d’estate e sempre rinfrescati nella neve o nel pozzo senza far toccare loro l’acqua. (D’estate la neve si conservava ammassata nelle profonde cantine sotto case oppur in grotte. Questa regola limitativa non comprendeva i frutti con succo acido,
quali i limoni, perché con la loro acidità resistevano alla putrefazione e malignità della febbre. Costante è il richiamo alle cose acide e il rigetto di quelle umide facilmente deperibili). Vanno bene i fichi specialmente quelli già secchi: bene anche le noci.
I LEGUMI
Sono da sconsigliare perché causano malinconia e ventosità, salvo che siano corretti con aglio e cipolla.
Ottime le lenticchie fredde o calde con aceto. Va bene il riso e così l’orzo. Le insalate vanno bene: la lattuga, la cicoria, l’indivia, le sommità delle zucche cotte in insalata. Le verze d’ogni tipo sono pessime. Pessimi anche i carciofi, i funghi, le trifole, le melanzane e tutte le minestre di qualsivoglia tipo. (Bisogna rilevare che era la cucina del popolo che aveva le maggiori controindicazioni secondo la dietetica ufficiale. Voglio dire che chi aveva soldi poteva mangiare quanto c’era di meglio sul mercato. Cosa doveva mangiare un contadino, un pastore, un artigiano cui non era possibile comprare il ben di Dio a disposizione deiricchi e consigliato dai medici? Proibiti i cibi dei ricchi perché cari, controindicati i cibi dei poveri perché facevano male!) Il coito fiacca lo spirito, causa putrefazione e dispone il corpo a tutti i tipi di febbre maligna. (Neppure questa soddisfazione: poco cibo, niente amore… meglio la peste!)
IL MOTO E IL RIPOSO
Ben convinti di questa profilassi, si insiste a raccomandare il moto a piedi e, non potendolo fare a piedi, a cavallo! Cibi sani, nutrienti con le dovute restrizioni circa la qualità, in moderata quantità, riposo e veglia giusti nelle debite ore del giorno e della notte insomma un corpo in perfette condizioni fisiche terrà lontano il contagio. (Tutto questo non serviva a nulla se ai primi accenni di peste non si tagliava la corda, come si suol dire, lasciando i luoghi sospetti o infetti).
MEZZI DI PROFILASSI
Non conviene uscire di casa digiuni. Conviene prendere una fetta di pane inzuppata in buon vino e un poco di cedro confettato. Serve anche lo smeraldo tenuto in bocca in piccoli granuli, oppure appeso al collo come un anello che non tocchi la pelle. Fa bene il giacinto tenuto in bocca, lo zaffiro, il rubino, le perle e i coralli e il diamante legato al braccio sinistro sopra la pelle. (Queste sono le pietre preziose cui si attribuivano virtù medicamentose e divinatorie).
Quanto agli animali, serve il corno bruciato del cervo. Ma fra tutti i mezzi di profilassi composti il più efficace è la Teriaca e anche il Mitridate. (Sono due classiche preparazioni che risalgono alla più remota farmacia e tuttora usate dal popolo delle campagne. Alla Teriaca si attribuivano infinite virtù: era calmante, antispasmodica). Prima di uscire di casa è bene ungersi la parte del cuore e i polsi con olio di scorpione.
Più efficace dell’olio è un sacchetto da portare appeso al collo dalla parte del cuore e contenente un arsenico in cristalli, bolo armeno (terra argillosa rossastra), sandalo bianco, coralli, perle, zafferano, legno di aloe, ambra grigia, càlamo aromatico, polvere di rose, il tutto spruzzato con acqua di rose. (Così nutriti ed equipaggiati si doveva scampare alla peste! Purtroppo erano cose che non servivano a nulla: davano solo un poco di speranza, perché la peste con il suo invisibile bacillo toccava a chi toccava).
IL MANGIARE DEGLI APPESTATI
Se si tratta di un organismo robusto si darà pane buono, fresco, bagnato nell’aceto, poi fichi secchi, noci, una cima di ruta, qualche pezzo di carne. Ma se l’organismo è delicato si darà una pagnottella cioè una panada fatta di pane lavato con latte di mandorle dolci, oppure una minestra di acetosa cotta in un buon brodo sgrassato, oppure una minestra di lenticchie cotte con acqua, aceto e zucchero, oppure ancora una minestra di cicoria o lattuga e orzo. Per tenere il ventre ben lubrificato si aggiungeranno zibibbo e prugne. Finirà il pasto con una pera cotta o con qualche conserva di cedro, amarena, bevendo acqua di cannella.
Sopravvenendo la febbre convengono cibi che si prendono a golate o a sorsi. Il più lodato è la tisana fatta con orzo mondato e cotto bene, pestato con aceto, spremuto e l’acqua di spremuta cotta con cannella e sorseggiata. Bisogna bere spesso acqua acidulata.
Gioverà molto il brodo ristretto cioè consumato che nutre e leva la sete. Si prepara mettendo a cuocere nell’acqua un pollo sinché la carne sia disfatta e separata dagli ossi. Non si mette sale salvo pochissimo sul finire assieme ad un poco di prezzemolo, cannella, zafferano e succo di limone. Questo brodo sarà tanto più sostanzioso se si farà con un cappone sgrassato. Così è per i poveri.
Per i ricchi che possono sostenere la spesa, si farà così. Si mette un cappone o una gallina tagliata a pezzi in un grande fiasco, si cosparge di acqua rosata, di succo di limone e, ben coperto con carta, si metterà in una caldaia a bagnomaria, cioè immerso nell’acqua nella quale cuocerà tanto che la carne si converta in sugo. Si potrà dare anche un poco di cappone, pollastra, pernici e tordi e altri uccelletti di montagna .
La febbre tormenta, dà sete e non fa dormire. Bisogna dare allora dei sonniferi tipo l’unzione di olio di papavero o bagnare le tempie con una preparazione di papavero bianco o dare da bere sciroppo di papavero.