Draghi e salamandre
Prologo.
20 luglio 1866. La nave ammiraglia fila dritta verso il bersaglio, guidata dalla mano esperta di Vincenzo “Nane” Vianello, timoniere. La velocità aumenta, la distanza diminuisce. Muscoli e nervi sono tesi, ci si prepara allo scontro. Vianello bada a tenere in linea la nave. E’ il suo mestiere di marinaio, è il suo dovere di soldato. Ci riesce. Poco prima dell’impatto, sente, forte e chiara, l’esortazione del comandante: “Daghe dentro, Nane, che i butemo a fondi!” O qualcosa del genere.
Chi ha gridato è un ufficiale dalle folte basette fulve: a dispetto del dialetto veneto usato in quella circostanza, non è italiano, è austriaco. Si chiama Wilhelm Tegetthoff.
Per terra e per mare.
In quel pasticcio, il neonato Regno d’Italia c’è entrato a fianco della Prussia di Guglielmo I e di Otto von Bismark. Noi vogliamo, vorremmo, accaparrarci i territori che ancora mancano al compimento dell’unità nazionale; i prussiani vogliono abbassare la cresta all’Austria e sostituirla alla guida della Confederazione Tedesca. L’inizio, per noi, è pessimo. Qualche giorno dopo la dichiarazione di guerra, infatti, le buschiamo senza rimedio a Custoza( 24 giugno). Ci salvano i prussiani: in quattro e quattr’otto, fanno fuori gli austriaci a Sadowa( 3 luglio), nei pressi di Praga e rimettono le cose a posto.
Con sempre maggiore insistenza, si parla di armistizio. Rinunciare al Veneto? Si può fare risponde una Vienna piena di guai, ma non chiedeteci di cederlo direttamente agli italiani. Napoleone III, allora, si fa avanti e si propone come mediatore: datelo a me e vediamo di mettere in piedi una bella partita di giro e di salvare le apparenze. Del Veneto( e forse dell’Italia) non gli importa un tubo, ma della Prussia sì. E vuole liquidare alla svelta quella faccenda prima che s’allarghi troppo e coinvolga se stesso e la Francia.
Quando le voci di un armistizio cominciano a circolare, a Firenze- da poco Capitale- si materializza l’incubo dell’ennesima figuraccia. Il barone Bettino Ricasoli – il premier di allora- vede già , in Italia e fuori d’Italia, la stampa darci dentro a tutta manetta. Gli italiani? Bamboccioni inaffidabili, eterni sconfitti, ecc, ecc. Urge un colpo di reni che riscatti l’infamia di Custoza, qualcosa di veramente sensazionale da far restare tutti quanti- prussiani compresi- a bocca aperta. E da rendere credibile l’annessione ( anche se per interposta Nazione)del Veneto.
Perché, allora, non dare addosso agli austriaci sul mare? In Ancona abbiamo una flotta di tutto rispetto, navi solide, rivestite di ferro. E non possiamo, forse, contare sull’Affondatore– nomen omen- nave all’avanguardia, corazzatissima, irta di cannoni? Usiamola, dunque, quella benedetta flotta e facciamo vedere a tutti di che pasta siamo fatti.
Ministro della Marina è Agostino Depretis, il trasformista di futura memoria. Spronato da Ricasoli, prima ordina al comandante della flotta, l’ammiraglio Persano di “ sbarazzare l’Adriatico dalle forze nemiche”, senza dirgli bene come e dove; poi, visto che, da una parte e dall’altra, si fa manfrina, tuona: muoversi! Tutti a Lissa!
Attaccare Lissa ( oggi Vis, in Croazia) non è una grande pensata. L’isola non ha approdi agevoli, è difesa da ottime fortificazioni. Sparando dall’alto verso il basso, i suoi cannoni costieri possono fare male. E poi, domanda non secondaria, la flotta austriaca starà a guardare o ci darà dentro? Perché se sta a guardare, tutto ok; ma se ci dà dentro e ci cucca proprio mentre siamo impegnati a conquistare l’isola, potremmo passare guai seri. Anzi serissimi. Ma nessuno sembra sfiorato dal pensiero.
La due Marine.
La Marina austriaca, più che imperial-regia nasce“ austro-veneta” ( Oesterreich-Venezianiche ). I suoi quadri e i suoi ufficiali studiano e si formano a Venezia, i suoi marinai vengono dalla Laguna e dalle coste friulane e dalmate. Si tratta di gente tosta, fedele a Vienna, sorda o quasi alle sirene dell’irredentismo. A bordo, nelle aule, sulle navi-scuola non si parla il tedesco, ma il dialetto veneto. Anche Tegetthoff ha dovuto impararlo e, come lui, hanno dovuto impararlo tanti altri comandanti di lingua tedesca.
Non ha molte navi di “ ferro”, la flotta austro-veneta: meno di una decina e neanche troppo bene in arnese, nonostante ci siano draghi ( Drache) e salamandre( Salamander), principi ( Prinz Eugen) e imperatori( Kaiser) e , naturalmente, mostri sacri ( Radetzky, Don Juan de Austria). A differenza di quelli italiani, i cannoni della flotta di Tegetthoff non hanno l’anima rigata. Scoppiata la guerra, poi, la Krupp di Essen si rifiuta di fornire quelli ordinati in precedenza. Insomma, a prima vista la flotta austriaca non è messa benissimo.
Quella italiana sta meglio. Ha un paio di ottime navi ( la Re d’Italia e la Palestro), un buon numero di corazzate( in tutto 11), i suoi prìncipi ( Di Carignano) e i suoi sovrani( Re del Portogallo, Re d’Italia, Regina Maria Pia) e, soprattutto, può contare sull’Affondatore, un mostro di ferro irto di torrette girevoli e di bocche da fuoco. Quando arriverà, beninteso. Perché, per il momento, il terrore dei mari, l’arma decisiva, costruita in Inghilterra, non è ancora comparsa all’orizzonte. E’ in navigazione, fra poco arriverà, state tranquilli si dice e si ripete. Sì, ma quando?
La flotta italiana- con o senza l’Affondatore– è una specie di torre di Babele. I marinai parlano il sardo, il napoletano, il siciliano, il marchigiano, il genovese, non ancora il fiorentino. Dura farsi capire, dura far eseguire gli ordini. E ci sono anche problemi con le macchine, con i cannoni, con gli incendi a bordo, con l’addestramento, con la qualità dei materiali. Qualcuno maligna: e che cosa vi aspettavate? Blindature spesse? Cannoni efficienti? Macchine ben oliate? Con tutte le mazzette che sono circolate è già un miracolo se le navi galleggiano. Flotta italiana, allora? Diciamo flotta all’italiana, è meglio.
Si va…
Dal canto suo, l’ammiraglio Carlo Pellion di Persano- il comandante in capo- non stravede per l’incarico ricevuto; abbozza più che darci dentro, accampa scuse, predica prudenza, non va d’accordo con i colleghi Albini e Vacca né i colleghi vanno d’accordo con lui. Quando, il 27 giugno, Tegetthoff compare davanti ad Ancona con un pugno di navi , Persano manda le proprie corazzate in direzione opposta, convoca un consiglio di guerra invece di mettersi subito in caccia e far parlare i cannoni e si fa vedere in porto quando il nemico ha già tolto il disturbo. In seguito dirà: io volevo attaccare. Attaccare? Mah!
L’8 luglio esce finalmente in mare, ma si guarda bene dal puntare su Pola – dove Tegetthoff arma le proprie navi e addestra senza sosta i propri equipaggi. Gira di qui e di là senza una meta apparente e torna ancora una volta in Ancona. I suoi uomini imprecano e masticano amaro. Perché sono tornato? mi chiedete. Che razza di domanda! Per aspettare l’Affondatore, per quale altro motivo se no? Poi da Firenze, anche su pressione dell’opinione pubblica, arriva la scossa: Affondatore o non Affondatore, è ora di finirla con questo tira e molla.
Rotta su Lissa, dunque. E vietato sbagliare.
Persano non ha neppure una mappa dell’isola e delle sue difese. Fa issare una bandiera britannica sul Messaggero e lo spedisce in ricognizione. Chi crede di ingannare? A Pola arriva un messaggio : nave battente bandiera inglese avvistata al largo di Lissa. Bandiera inglese? Tegetthoff sente puzza di bruciato. La conferma dell’incendio gli arriva quando gli vengono segnalati prima vascelli senza insegne e poi navi battenti bandiera italiana nei dintorni di Lissa. Lì a Porto San Giorgio, a Porto Manego e a Comisa, Persano e soci stanno dando di cozzo- senza grande successo, per altro- contro le difese dell’isola. Tegetthoff la vede come una manovra diversiva, ma quando si accorge che non è così, ricevuta l’autorizzazione da Vienna,ordina alla propria flotta di prendere il mare. E a Lissa di resistere.
E i forti dell’isola resistono , aiutati dai propri cannoni, ma anche dalle decisioni degli ammiragli italiani. Giovanni Vacca molla la presa su Comisa perché sottoposto a un fuoco dannatamente preciso ; Giovan Battista Albini con le navi di legno, abbandona, di propria iniziativa, la posizione davanti a Porto Manego: contro quei cannoni con le mie navi piene di truppe da sbarco non ce la posso fare, dice a Persano. Risultato: la flotta italiana è sparpagliata: un gruppo qui, un altro là, un terzo chissà dove; le località prescelte per lo sbarco non sono state occupate, i forti tengono. E Tegetthoff può arrivare da un momento all’altro. Unico motivo di consolazione: l’Affondatore ha finalmente raggiunto la flotta( 19 luglio).
..e si torna
Ma all’alba del 20 luglio arriva anche il nemico. E proprio mentre sono in corso le operazioni di sbarco da parte nostra. La sorpresa è grande, la situazione, visto come siamo dislocati in mare, delicata. E anche molto, molto complicata.
Persano ordina ad Albini di interrompere le operazioni di sbarco e cerca in fretta e furia di mettere la sfilacciata flotta italiana in formazione di combattimento. Ma le nostre navi sono troppo distanti fra di loro perché possano essere riunite in fretta; la linea allestita- alla bell’e meglio- in tre gruppi ( Vacca, Persano, Riboty) è giocoforza allungata; Albini non si muove( dichiarerà di non aver mai ricevuto l’ordine di sospendere le operazioni).
Tegetthoff, invece, avanza a tutta birra con le sue navi dipinte di nero disposte a cuneo su tre file: davanti le corazzate( 7), in mezzo le navi di legno, in coda le altre. Sa di essere inferiore di numero, sa di non poter competere con i cannoni rigati italiani e allora gioca le carte della velocità , dell’anticipo e della sorpresa. Tutte le navi austriache hanno larghe strisce bianche dipinte sui fumaioli. Le nostre imbarcazioni, anziché nere, sono grigie. Prima dell’attacco, l’ammiraglio non la fa tanto lunga: “Attaccate tutto quello che è grigio”, ordina ai suoi.
Tegetthoff supera Vacca( l’avanguardia della linea allestita da Persano) e guadagna il centro del nostro schieramento. Dispone i suoi vascelli in linea, vira di 180 gradi e dà addosso alle navi italiane. Ne nasce un furioso parapiglia in mezzo al fumo, alle esplosioni e alle grida. La Re d’Italia ferma per un colpo al timone e in difficoltà, viene speronata( neanche fossimo a Lepanto: Daghe dentro, Nane… ) e va a fondo; la Palestro, raggiunta da un proiettile austriaco, prende fuoco, ma l’equipaggio resta a bordo per cercare di spegnere l’incendio. Più indietro, la Kaiser( una fregata a vapore in legno) viene danneggiata nello scontro con la Re del Portogallo di Riboty.
E Persano? Fin dalle prime battute ha abbandonato la Re d’Italia per il più sicuro Affondatore, non dicendo niente a nessuno e lasciando la sua bandiera a garrire sulla vecchia ammiraglia. Risultato: in quei momenti concitati e confusi, tutti guardano alla Re d’Italia, aspettano ordini, segnali, disposizioni. Che non arrivano, che non possono arrivare. Caos allo stato puro.
E il giustiziere dei mari, il leggendario Affondatore? Un altro fiasco. Quando la Kaiser gli sfila davanti in evidente difficoltà, i suoi cannoni tacciono. Farli funzionare non è semplice e l’equipaggio non ha ancora acquisito la necessaria esperienza. La Kaiser ringrazia e si allontana.
L’incendio divampato sulla Palestro raggiunge la santabarbara e la nave esplode. L’esplosione della Palestro segna la fine delle ostilità: Teghettoff fa rotta su Pola, Persano verso Ancona e il processo che lo attende. Gli equipaggi salutano la vittoria al grido di “ Viva San Marco!” mentre il mare di Dalmazia si chiude su 648 marinai e soldati italiani e su 121 marinai austriaci. Noi abbiamo perduto due navi, gli austriaci nemmeno una. Velenoso come un serpente, Napoleone III commenta: “Un’altra sconfitta e mi chiederanno Parigi.”
Scriverà il vincitore, in tedesco questa volta:”Navi di legno con uomini di ferro hanno sconfitto navi di ferro con uomini di legno”.
Daghe dentro, Nane..
Epilogo
Fra i 648 caduti italiani a Lissa c’è il deputato della Destra Pier Carlo Boggio. E’ un politico di primo piano e uomo di valore. Si è arruolato volontario anche se non sa neppure nuotare. Perché l’ha fatto? Per dimostrare che ci sono momenti in cui Destra e Sinistra non contano, conta solo l’Italia.
Fra quei morti c’è anche Luca Toscano. Non è volontario. Prima di prestare l’obbligatorio servizio militare nella Regia Marina Italiana, viveva ad Acitrezza, in Sicilia, nella Casa del nespolo, conosciuta in paese come la casa dei Malavoglia.