L’alimentazione in età medioevale
Il ghiottone nelle cronache del tempo
di Osmano Cifaldi
Continua a pag. 12
Eiximenis era un frate del Trecento, consigliere del
re di Catalogna. Passava per un dietologo cioè un
esperto di alimentazione.
Un giorno si presentò a lui un chierico goloso per
confessare il suo modo di stare a tavola e consumare
cibo. Questa sua descrizione rimane uno spaccato del
comportamento alimentare di un ghiottone del me-
dioevo.
“Appena mi sveglio addento una focaccia accompa-
gnandola con una tazza di vin cotto; poi continuo con
alcune fette di pane bianco. A mezzogiorno mangio
carni di vario tipo: polli in casseruola, capretto o vi-
tello in salsa agra e poi montoni e perniciotti. In al-
ternativa non disdegno l’assaggio di tortore, fagiani,
oche, cervi in salse cremose con panna e chiodi di
garofano o ginepro. Al termine del pranzo spalmo
del formaggio fuso o burro su pane tostato e mie-
le. Quando è la volta del pesce lo preferisco fritto e
alla griglia ed i pasticcini li scelgo alla mandorla. Il
vino vado a gustarlo bianco d’estate, cotto d’inverno.
Ditemi voi cosa ne pensate della mia dieta perché
avverto nel mio corpo qualche disturbo…”
Eiximenis, dopo aver ascoltato, gli risponde di torna-
re immediatamente al cibo semplice dei tempi in cui
era povero: pane d’orzo, cipolla, aglio, poca carne
salata e acqua pura al posto del vino. L’intenzione
del frate dietologo non era tanto di mettere a stec-
chetto un chierico tutt’altro che probo, ma di fornire
una regola dietetica ai suoi contemporanei che alla
tavola ci tenevano molto. Osservava che i catalani
risultavano forse tra i più ragionevoli: mangiavano
minestra poi carne e legumi e non più di due volte
al giorno. Eiximenis sottolineava la sregolatezza ali-
mentare dei tedeschi “…che si alzano anche di notte
per mangiare e dei francesi piuttosto irregolari nel-
le abitudini…” La sua raccomandazione principale
però riguarda il vino “…creato da nostro Signore per
la salute dell’uomo… dunque se ne beva ad ogni pa-
sto almeno un bicchiere…”
Il francescano, oltre alla dieta, rivede anche il com-
portamento a tavola che in quel tempo era tutt’altro
che ortodosso. Questo accadeva anche nelle tavole
abitate da persone dotate di quarti di nobiltà o comun-
que autorevoli. Il suo galateo raccomanda di prendere
piccole porzioni di carni dal piatto di portata evitando
di toccare le vivande con le mani pulendole poi nelle
tovaglie o sui propri abiti. Non comparire a tavola
sbracciati o seminudi, non occhieggiare nel piatto del
vicino, mangiare a piccoli bocconi portando il cibo
alle labbra e non viceversa, non trangugiare il vino
a grandi sorsate. Eiximenis apprezza gli italiani che
lo servono con tanti bicchieri disposti su un vassoio
a seconda del numero dei commensali, diversamente
dai tedeschi che usano boccali enormi e degli inglesi
che, anche se sono numerosi, bevono tutti da un solo
grande recipiente a forma di coppa. I francesi però
vincono la palma del buon gusto in quanto nel vino
non vogliono neanche una goccia di acqua. Il vino
però era considerato un alimento necessario per una
dieta povera anche se pericoloso per i suoi effetti.
Continua da pag.8 - L’alimentazione in età
medioevale
Non al punto però da essere bandito dalla
dieta ascetica; la famosa badessa del Para-
celso Eloisa, tanto vicina al grande iloso-
fo Abelardo (XII) avversario del coriaceo
cistercense S. Bernardo di Chiaravalle, lo
reclamava almeno un paio di volte la set-
timana. S. Benedetto ne aveva permesso
un consumo moderato specie per i monaci
ammalati. Così era per i monaci cistercen-
si del rigorosissimo S. Bernardo. L’acqua
a quel tempo era igienicamente insicura,
di norma la si bolliva aromatizzandola con
miele, aceto, erbe o mescolandola con il
vino. Gli olivetani bandivano il vino nelle
loro mense e l’inlessibile S. Pier Damiani
si lamentava per l’abbondanza di carni e di
vino sulle tavole dei cluniacensi, peraltro
permessi dall’abate Ugo di Cluny.
Ma in generale al consumo del vino tra i monaci non
ci si opponeva più di tanto. Il “liquore scintillante”
di ovidiana memoria addolciva i dolori, mitigava la
malinconia e dava un poco di energia in più al corpo.
Come scriveva Tommaso d’Aquino, il ilosofo del-
la ragione, “…la malinconia porta alla disperazione
e rende quindi impossibile la salvezza… perciò un
poco di vino non può che far bene…”
Diverso era il consumo della carne nel medioevo; so-
prattutto quella bovina creava dei problemi, poiché
il pollame ed il pesce, per le regole benedettine, non
erano considerate carni sotto il proilo dietetico-re-
ligioso.
È necessario sfatare il fatto che ino al 1200 la car-
ne scarseggiava anche per i ceti con più disponibilità
economiche. Le risorse dell’economia silvo-pastorale
erano consumate da
tutti gli strati sociali
anche se in maniera
disuguale. E quando
incalzavano le epide-
mie e carestie erano
i generi alimentari a
scarseggiare mentre
gli animali subivano
meno le conseguenze
delle avversità così
fornendo carne alle
mense quasi del tutto
private di cereali e di
tuberi.
Le ragioni dei mona-
ci dediti al cibo vege-
tariano (ricordiamo
ancora che pollo e
pesce non erano considerati carni e quindi permessi)
erano anche un poco riferite all’Eden dove Dio aveva
dedicato ad Adamo ed alla sua compagna Eva per il
loro sostentamento “…ogni pianta che fa seme ed
ogni albero che dà frutto ma non gli animali che ci
vivevano…”
La contrarietà verso la carne è che questo alimento
risvegli in qualche modo la lussuria. Infatti in una
divertente novella di Giovanni Sercambi, la donna
cucina per il suo uomo un bel pasticcio di carne e
spezie mentre all’uomo non amato prepara miglio,
fave e porri: cibi da monastero.
Così andavano le cose nelle mense del medioevo:
carne e vino per vivere meglio ed a lungo.
fine pagina