Legnano story - note personali
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i Germani  - la vita sociale e militare
Il mondo italico e poi romano ebbe sempre a che fare con tribù che gravitavano minacciosamente sui confini ma che quasi sempre, almeno in un primo tempo, furono sconfitte o respinte. Le invasioni celtiche, che iniziarono intorno al 400 a. C. provenendo dalla Francia orientale, dalla Germania meridionale e da parti della Svizzera, non erano però movimenti di tribù al completo, quanto di parti di esse.
I primi invasori furono gli Insubri, seguiti dai Boi, dai Lingoni e infine dai Senoni che raggiunsero la costa adriatica occupando la zona tra il fiume Montone, a sud di Ravenna e la foce del fiume di Jesi, l'Esino.(1) Le loro prime vittime furono gli Etruschi ma essi arrivarono perfino a saccheggiare Roma (famoso l'episodio di Brenno) però poi, pian piano, i romani riuscirono a riorganizzarsi e con la battaglia di Telamone (225 a.C.) riconquistarono i territori dell'Italia settentrionale occupati dalle tribù celtiche.
Vi fu poi la grande invasione dei Teutoni e dei Cimbri, arrestata da Caio Mario rispettivamente ad Aquae Sextiae nel 102 a. C. e a Vercellae nel 101. Gli antichi autori non sono d'accordo sull'origine di tutte queste popolazioni limitandosi a inquadrarle nel semplice schema: a nord est Sciti, a nord ovest Galli. Strabone invece cerca di essere più preciso e riferisce che i Germani vivevano a ovest del Reno e si distinguevano dai Celti perché ancora più alti, più biondi e più selvaggi di quelli, anche se tra loro vi era una notevole somiglianza fisica.(2) Scrive lo storico e geografo greco: "E per questo penso che essi vennero chiamati dai romani Germani perché essi vollero così indicare che essi erano i Celti "genuini". Germani significa infatti nella loro lingua "genuino" nel senso di "originari". Con queste parole egli pone le basi di un problema che la storiografia contemporanea ha faticato a risolvere, quello cioè della distinzione tra Celti e Germani.(3) Nel caso dei Teutoni, per esempio, vi furono pareri discordanti anche se pare ormai assodato che i Teutoni fossero di origine germanica.
Seguirono, verso la metà del primo secolo a.C., le fortunate campagne galliche di Cesare intese a sottomettere, una volta per sempre, le tribù celtiche ma l'impresa, nonostante i grandi successi ottenuti, non riuscì completamente.
Vi fu anche qualche grave sconfitta, come quella di Varo nella Selva di Teutoburgo ad opera dei Cherusci di Arminio nel 9 d.C., che Germanico cercò di vendicare qualche anno dopo ottenendo solo qualche vittoria non significativa.
Tali successi militari non bastarono comunque ad acquietare le varie tribù germaniche, tanto che si rese necessaria la costruzione di un limes che seguiva il corso del Reno fino a Coblenza, di qui a Ratisbona e poi lungo il Danubio fino alla foce, per una lunghezza di 584 km sull'attuale territorio tedesco e col quale praticamente si rinunciava alla conquista di quegli ampi spazi inesplorati tra Reno, Vistola e Danubio dove avevano le loro sedi numerosi popoli.(4) Al tempo di Tacito c'erano circa una quarantina di tali popolazioni con nomi diversi, la cui consistenza arrivava, secondo alcuni autori, forse a quindici milioni di individui.(5)
Si trattava perlopiù di tribù di stirpe germanica(6) con un ordinamento sociale molto primitivo e un tipo di civiltà altrettanto semplice, imperniato sulla famiglia e sulle Sippen (got. SIBIJA - quello che per i romani erano le gentes) che costituivano i Gaue (got. GAWI = territorio) su cui erano le Sippen.
Sulla dislocazione territoriale di tali popoli e sulla loro omogeneità o, piuttosto, sulle loro differenze e sulla esattezza del termine "germanico" si è discusso a lungo tra gli storici ma è difficile dire una parola definitiva per mancanza di informazioni.(7) 
È interessante comunque notare che è molto più omogeneo il concetto di "germanico" come nozione linguistica che non politico - civile - sociale, in quanto queste popolazioni, che i romani all'epoca di Cesare collocavano genericamente e vagamente a est del Reno, non avevano la minima coscienza di appartenere a un gruppo affine, a una comunità etnica "germanica". (8)
Trattazione molto ampia meriterebbe anche la storia dei mutamenti e delle deformazioni che tale concetto ha subito nel corso del tempo. (9)
Si trattava in origine di tribù seminomadi dedite a un'agricoltura occasionale e per tale loro condizione quindi incapaci di erigere vere e proprie città ma solo modesti insediamenti abitativi, anche se Tacito cita, ed è la prima città germanica di cui veniamo a conoscenza, Asciburgium (10) ove compare già il termine BURG (got. baurg = ted. Burg = rocca, castello), suffisso tipico per la denominazione di molte città tedesche.
In realtà, da ritrovamenti archeologici in territorio renano, accanto a insediamenti abitativi piuttosto estesi e non fortificati, sono venuti alla luce anche alcuni punti forniti di imponenti opere di fortificazione come il famoso Hunnenring vicino a Otzenhausen, in prossimità della cittadina di Nonnweiler, a sud est di Treviri, che si presume fosse appunto una fortezza celtica della tribù dei Treviri. Questa fortificazione faceva probabilmente parte di una serie di oppida menzionate anche da Cesare, la più grande delle quali è stata ritrovata nei pressi della cittadina di Manching, da cui prende ora il nome, vicino a Ingolstadt in Baviera e che gli storici e gli archeologi ritengono essere stata la città principale della tribù celtica dei Vindelici. Le sue mura erano lunghe 7 km e la sua superficie di circa 400 ettari. Un grande prato, largo circa 500 metri, si estendeva tutto intorno alla zona abitata e industriale. C’erano botteghe orafe, fonderie di bronzo, vetrerie. Manching deve essere stato un centro commerciale collegato con le più remote regioni europee. (11)
La popolazione di questi punti fortificati aveva quindi  una struttura sociale sviluppata e un artigianato evoluto; c'era anche un corrispondente insediamento agricolo nei cascinali sparsi per la campagna e addirittura un'economia monetaria in proprio. Queste città erano forse le residenze e i centri amministrativi di una classe nobile progenitrice dei re delle invasioni.
Con l'avvento della cultura romana a ovest del Reno avviene però a est un rapido regredimento delle condizioni: i grandi agglomerati vengono abbandonati, i cimiteri non sono più utilizzati e sparisce anche il conio delle monete indigene.(12)
II re germanico era sempre di nobile origine, ma poteva anche essere eletto straordinariamente per il suo valore in battaglia; gli uomini liberi praticavano guerra e caccia mentre le altre necessità quotidiane venivano espletate da donne e schiavi. Questo è ciò che ci viene tramandato dalla germanistica tradizionale, confortata dagli scritti di Cesare e Tacito sui quali però si possono fare tutte le riserve possibili, in quanto il primo si presta a molte esagerazioni (si legga a tal riguardo ciò che scrive sull'alce) e il secondo non mise mai piede in quei territori ma si basò, per il suo Germania, su un'opera andata perduta di Plinio il Vecchio che invece aveva ben conosciuto quei luoghi, avendovi prestato servizio militare.
In realtà anche questa antica caratterizzazione del ruolo dei sessi nella società germanica delle origini deve essere molto rivista. Scrive Fischer Fabian nella sua opera "I Germani": "La durezza del lavoro dei campi….dimostrò almeno una cosa: bisognava essere uomini in gamba per una tale fatica. Non era quindi un lavoro da donne, non poteva esserlo… Il vero eroe era il contadino germanico che andava dietro a quell'aratro che….costava una gran fatica condurre. Egli aveva già non poche delle conoscenze che l’agricoltura moderna possiede. Non sfruttava il suolo senza criterio, ma a intervalli regolari lasciava riposare i campi affinché acquistassero nuova forza, sapeva che si potevano ottenere dei raccolti più pingui se si aggiungeva della calce al terreno. Egli conosceva dunque la concimazione artificiale. E anche quella naturale….Già nei villaggi palafitticoli si sono trovati degli strati di letame spessi fino a due metri, che dovevano servire come riserva di concime agli abitanti. Il contadino germanico sapeva inoltre che il letame delle stalle è un buon materiale isolante. I tetti delle capanne poste vicino all'abitazione padronale, che vengono chiamate capanne a fossa in quanto penetrano profondamente nel terreno, erano ricoperti con strati di sterco di vacca... ‘Stanza delle donne’ significava dyngia nella lingua dei germani del nord. Dyngja vuol dire anche letamaio, mucchio di letame. (Dunghaufen)" (13)
Quanto alla caccia: "Sbagliano di grosso coloro che si immaginano i germani come antichissimi spiriti dei boschi che, attorniati dai loro cani abbaianti….tornavano la sera a casa, salutati con giubilo dai familiari che si davano subito da fare per arrostire la preda ambita... Le foreste germaniche non erano popolate di animali di ogni specie, come vuole la fama. La favolosa ricchezza di selvaggina era veramente una favola….Bisogna aggiungere che la caccia già allora era uno sport cui potevano dedicarsi solo pochi…. Il bisonte e l'uro erano considerati la selvaggina più nobile" (14)
E a proposito delle donne e degli schiavi: "Le ragazze crescevano nel podere paterno. La vita della donna germanica era più dura di quella dell’uomo.…La gravidanza era per la donna germanica lo stato normale….Il numero delle gravidanze aumentava naturalmente il rischio di non vivere a lungo. Una donna germanica su tre, così si ritiene, moriva precocemente di parto….Si era soliti assistere in vari modi la puerpera….Si facevano passare le povere donne attraverso dei fori costituiti dalle crepe degli alberi, oppure si facevano accoccolare sopra il denso fumo che saliva da un fuoco di ginepro. Quando pareva che nulla giovasse, soccorrevano allora le parole di scongiuro delle formule magiche runiche". (15)
Oltre agli schiavi, di solito prigionieri di guerra addetti ai lavori più gravosi come ad esempio la macinazione dei cereali, c'erano gli aldi, cioè gli affrancati, i semi - liberi (16) che ricevevano un campo da coltivare pagando in cambio un canone in derrate e alimentari. 
Tra i liberi esistevano differenze riconducibili a un duplice ordine di motivi: uno era il diverso grado di ricchezza per cui Plinio distingue civites a plebe, mentre Tacito parla addirittura di locupletissimi. Tale ricchezza non era misurabile in denaro, in quel periodo caduto in disuso, come si è visto, bensì dal maggiore o minore numero di servi, di bestiame e di fondi. 
Il secondo motivo di distinzione tra i liberi era la nobiltà che godeva di privilegi e di una particolare posizione sociale. Essa era ereditaria e probabilmente imparentata, più che all'interno della propria tribù, con i nobili di tribù affini; era quella nobiltà della stirpe che si rifaceva quasi sempre a un eroe delle origini e che dalle credenze popolari veniva collegata direttamente al mondo delle divinità e godeva per esempio, anche secondo il diritto popolare, di un maggiore indennizzo in caso di omicidio. Per quanto riguarda l'agricoltura, unica attività di sostentamento accanto alla caccia e alle razzie, essa era all'inizio praticata collettivamente in seguito all'assegnazione annuale di terra a tutta una Sippe, come già attesta Cesare (17), ma in un secondo tempo subentrò la divisone della proprietà fondiaria, documentata archeologicamente dal ritrovamento di segni confinari tra gli appezzamenti. Queste comunità agricole vivevano in case costruite in legno col tetto di paglia; a nord il legno, scarso, veniva sostituito da zolle erbose essiccate e, come si è visto, anche da letame. In bassure soggette a inondazioni marine, nell'estremo nord, queste comunità abitavano su una sorta di palafitte all'interno di un terrapieno che serviva da difesa e protezione. 
Le comunità erano autosufficienti perché doveva osservi anche un artigianato praticato come attività secondaria. Siccome non v'era denaro, il commercio si basava sullo scambio in natura. Molto sviluppata doveva essere fin da quel tempo la tecnica navale, soprattutto al nord, che permetteva di costruire barche e perfino navi a vela. (18)
Quella germanica delle origini era una società costruita militarmente, con un esercito formato da cellule appartenenti alle Sippen - Cesare le chiama cognationes (19) - nel quale i combattenti erano tra loro legati da vincoli di sangue e parentela. Usanza tipicamente germanica era l'assemblea dei liberi, il thing, che si teneva ordinariamente con luna nuova o piena o straordinariamente se si dovevano prendere importanti decisioni. Essa veniva aperta in modo molto solenne dai sacerdoti, ai quali, in quanto custodi di questa assemblea, competeva in tale occasione, come  pure all'interno  dell'esercito, l'autorità di comminare punizioni. Accanto a tale usanza compare anche una specie di piccolo senato. 
In assemblea si ascoltava tutto il popolo alla testa del quale veniva posto il guerriero più valoroso che era assistito dai vari principi, i capi dei Gaue. (20) Intorno a lui si riunivano di solito i guerrieri più nobili e valorosi che si impegnavano tra loro in un patto di fedeltà verso il loro duce; era il comitatus, menzionato da Tacito. 
In guerra i Germani erano forti e coraggiosi; affrontavano il nemico quasi completamente nudi (21), protetti solo da un piccolo scudo rotondo, fatto di sottili assi di tiglio dipinte o di materiale strettamente intrecciato, con la lunga spada di origine celtica dal taglio doppio e una o più lance o giavellotti con punte uncinate, i cosiddetti ango, usuali soprattutto tra i Franchi. Si trattava di lance originariamente di legno, con la punta indurita dal fuoco, come attesta Tacito che le colloca nelle file più arretrate della formazione di battaglia dei Cherusci (praeusta tela). Solo successivamente, verso la fine del IV secolo d.C., esse vennero sostituite dalla lancia di ferro e dall'uso dell’arco e delle frecce così come venne anche introdotta la corta spada di tipo romano (gladius), utilissima nel corpo a corpo, il famigerato sax dal quale prese il nome la tribù dei Sassoni. 
Col passare del tempo si sviluppò sempre più l'equipaggiamento bellico, così, accanto all'uso della corazza, si perfezionarono anche le armi: al tempo delle invasioni era temutissima, per esempio, la terribile francisca, l'ascia da lancio dei Franchi. 
La fanteria germanica attaccava schierandosi di solito a forma di cuneo e intonando simultaneamente il grido di guerra, il bardito, così chiamato da Tacito, ma ricordato come barritus da Ammiano e Vegezio; poco efficace era invece la cavalleria che in origine non conosceva, oltre all'uso della sella che è parola penetrata nel germanico dal celtico, nemmeno quello degli speroni né dell'arco, come già detto. 
I cavalli dei germani erano addestrati in modo tale che in battaglia rimanevano fermi sul posto se il loro cavaliere veniva disarcionato; particolarmente temuta dai nemici era poi una sorta di truppa mista, formata da un cavaliere e da uno scudiero armato con armi leggere, usanza, questa, testimoniata presso i celti. Quasi sempre c'erano al seguito dei guerrieri, soprattutto se si trattava di tribù in marcia, dei carri sui quali trovava posto l'intero gruppo familiare. Questi carriaggi costituivano l'accampamento barbarico e nello stesso tempo anche un monito e una barriera insormontabile all'eventuale ritirata del  proprio esercito; su di essi le donne incitavano e spronavano furiosamente i loro uomini alla battaglia. Il nome germanico per tali carriaggi - got. *karr-haga - ci è stato tramandato da Ammiano nella forma latina carrago. 
Questa tattica ossessiva, unitamente alla corporatura possente dei germani e al loro aspetto fisico, poté in un primo tempo incutere un certo senso di paura (22) ma, essendo questi barbari quasi sempre sprovvisti di una vera e propria strategia bellica che non fosse quella dell'agguato, finivano spesso per avere la peggio negli scontri con le legioni romane ben schierate nelle loro coorti, protette dallo scudo rettangolare (scutum), dall'elmo (cassis) e dalla corazza (lorica) composta di piastre di ferro su fondo di cuoio.
Le consuetudini sociali e la vita civile erano improntate a un profondo senso morale; scrive Tacito: "Presso i Germani valgono più i buoni costumi che altrove le buone leggi". (23) Quanto al  diritto,   piuttosto  semplice  in considerazione  delle relazioni elementari, esso si configurava come una sorta di diritto usuale tramandato oralmente; erano ammessi e anzi considerati obbligo morale la vendetta, soprattutto di famiglia (faida, ahd. fehida = ted. Feind = nemico), che poteva però essere estinta tramite il pagamento di un indennizzo (wergeld = guidrigildo) variante a seconda della gravita dell'offesa e, come già si e visto, della persona; l'ordalia, dal latino medievale ordalium = iudicium di origine germanica, cioè la capacità di affrontare prove fisiche comportanti grande sofferenza, e il duello nel quale si credeva che la vittoria avrebbe premiato chi aveva ragione nella controversia. Chi non era in grado di sostenere di persona un'ordalia o un duello poteva designare un campione che lo rappresentasse. 
Il risarcimento, dapprima in natura e successivamente in denaro, copriva la maggior parte dei delitti, da quello che noi oggi definiremmo legittima difesa, al ratto della fanciulla per scopi matrimoniali, fino al plagio, parificato all'omicidio. Probabilmente per il solo caso di adulterio non v'era la riparazione in denaro ma solo la vendetta privata. 
Tra le pene, che avevano per lo più carattere sacrale, era ampiamente diffuso l'annegamento in una delle numerose paludi, soprattutto per delitti di carattere diffamatorio. Unico embrione di diritto pubblico a livello legislativo era, come si è già visto, l'assemblea dei liberi.
 
 
 
 
 
Note
1) "Tum Senones recentissimi aduenarum, ab Utente flumine usque ad Aesim fines habuere” T. Livio, Ab urbe condita libri, V, 35. 
Tracce abbastanza consistenti di queste invasioni galliche rimangono ancora nei dialetti dell'Emilia Romagna e quindi anche in quello riminese. Scrive a tal proposito il Devoto: "All'inizio del V secolo appare in forma organica, come una vera invasione, seguita da colonizzazione la tradizione gallica. Essa spezza la continuità precedente fra le Alpi centrali e l'Appennino ligure... e più a oriente sopraffà le colonie etrusche,  che si erano stabilite nel secolo precedente.…Rimane il fatto che...i resti gallici nel latino e nella sua ulteriore tradizione in Italia rimangono ingenti….Anche se non tutte le impronte che caratterizzano i dialetti dell’Italia settentrionale (detti appunto gallo - italici)  risalgono a questo evento... pure i processi di palatalizzazione sia di vocali.…o di consonanti.… risalgono a questo strato linguistico. Esso ha dato all'Italia settentrionale un'impronta che non è mai più venuta meno". G. Devoto, II linguaggio d'Italia, Rizzoli, 1974, pp.68⁄69.
 
2) "In generale non v’erano grandi differenze fra Celti e Germani per quel che riguarda l'aspetto fisico... Il fatto che  fosse difficile fare una distinzione fra Celti e Germani è confermato dalla notizia che, quando Caligola ebbe bisogno di ulteriori elementi per il suo "trionfo" nel 37 d. C, fece venire appositamente dei Celti dalla Gallia per rappresentare i prigionieri germani". J. Filip, I Celti alle origini dell'Europa, Club del libro Melita, 1987,  p.93. 
 
3) In effetti, se si cerca di ricostruire il tipo di vita e la struttura della società Celtica, da quanto riferiscono le antiche fonti come Polibio e Poseidonio ma anche  tramite i  reperti archeologici, si ritrovano straordinarie analogie con la società germanica almeno negli ultimi quattro secoli a.C., quelli del massimo splendore della civiltà dei Celti che terminerà con la conquista romana della Gallia nel primo secolo a. C.
 
4) In realtà la lunghezza del limes germanico e la sua valenza economica e sociale variò nel corso degli anni e sotto i diversi imperatori a seconda delle relazioni di Roma con le diverse tribù germaniche. A tal proposito si veda l'ampia trattazione in T. Mommsen, L'Impero di Roma, IV, 3,19.
5) Romano-Solmi, Le dominazioni barbariche in Italia Milano, l940 p.50. E’ comunque  assai difficile fare calcoli per i quali non ci sono dati certi; tali cifre sono quindi da prendere a titolo puramente indicativo. Infatti v’è chi stima la consistenza totale dei Germani del tempo di Tiberio a non più di tre milioni di individui. Cfr. Pauly - Wissowa, Real - Enciclopädie der classischen Altertumswissenschaften, Band Supp. p. 556.
6) Secondo K. Müllenhoff il nome germani non era ancora conosciuto all’interno della società romana al tempo dell’invasione dei Cimbri; esso divenne noto solo durante le guerre contro gli schiavi e non è comunque da far risalire anteriormente a Cesare, essendo pervenuto ai Romani tramite i Galli. In realtà sappiamo con certezza da Cesare che una sola tribù a oriente dei territori gallici portava questo nome - i Germani cisrhenani - e da essa probabilmente il nome si è diffuso in seguito alle altre popolazioni affini. 
Sull'etimologia di tale denominazione si presuppone che essa significhi, se di origine Celtica (garmen = grido), “gli schiamazzatori", riferendosi alle urla che queste popolazioni emettevano in battaglia oppure, se di origine germanica, “mercenari", per il loro servizio nell'esercito romano.
Essa potrebbe però risalire all’antico inglese geormenleaf che indicava una specie di malva e da qui a *germana che significa “grande”. Germani significherebbe quindi: gli alti, i grandi.
 
7) Quanto alla preistoria di queste popolazioni, non è probabilmente più sostenibile l'idea di un unico popolo germanico primitivo con un linguaggio unitario, quanto invece quella di un insieme di tribù con lingue e dialetti affini e un comune sostrato economico - sociale, le quali si svilupparono poi in modo diversificato. Su di esse non si può dire molto, nemmeno ricorrendo ai più moderni metodi di indagine storica. L'idea generalmente accettata è comunque la seguente: dal 1200 all’800 a. C. all’incirca i Germani occuparono i territori alla foce della Vistola;. intorno al VI secolo a. C. alcune tribù si trasferirono sul medio e basso corso dell’Elba; fra il IV e il II secolo a. C. si spinsero verso sud, sud⁄est e i territori da loro abbandonati tra i fiumi Oder e Vistola furono occupati nel I secolo a. C. dai Vandali e dai Burgundi e successivamente dai Goti che si erano staccati dal ceppo originario. Anche l'antico raggruppamento di queste popolazioni in Germani settentrionali, orientali e occidentali che risale al Müllenhoff ha subito una revisione recente ad opera di Friedrich Maurer nella quale non compiono i Germani dell’Ovest. Egli divide infatti queste popolazioni in a. Germani settentrionali b. Germani orientali c. Germani dell’Elba d. Germani del Weser e del Reno e. Germani del Mare del Nord. Maurer, F., Nordgermanen und Alemannen, München, 1952, p.135. E’ anche molto arduo inserire questi gruppi nella suddivisione tacitiana di Ingevoni, Istevoni ed Erminoni che pare sia riferibile, più che a singole tribù, a leghe di culto.
8) Sul problema territoriale è possibile trovare un ampio contributo in: R. Hachmann, I Germani, Nagel, 1977.
9) A tal proposito chiarificatrice è la premessa di S. Fischer Fabian al suo libro intitolato "I Germani": 
  "Al Ginnasio avevamo un professore di storia che.… era stato edotto sulle più recenti interpretazioni storiche. Si trattava di una filosofia molto semplice….Essa consisteva nella formula; "cultura superiore uguale nordizzazione - decadenza uguale snordizzazione". Con questo si intendeva dire che gli stati e le civiltà si facevano sempre più decrepiti e prossimi al tramonto tutte le volte che il patrimonio ereditario nordico, per l'intrusione di altri elementi, era andato scemando. 
Questi portatori di "ogni bene" nel sangue - i germani - erano biondi con gli occhi azzurri… Superuomini del nord e poltroni tracannatori di birra. Ecco come i tedeschi immaginavano i loro antenati e non v’è da meravigliarsi se fino ad oggi le cose a questo riguardo non sono molto cambiate. Negli anni dopo il 1945 il tema apparve, naturalmente, sospetto: concetti scientifici come "razza", "ereditarietà", "nordico" erano stati alterati nel peggiore dei modi; di ideali come "patria" e "popolo" se n'era abusato. Il precario rapporto fra i tedeschi e la loro storia....era divenuto ancora più precario" 
E ancora sempre Fischer Fabian al riguardo: 
"Sia ai ragazzi che alle ragazze fu inculcato il dogma nazista della razza, secondo il quale "biondo, occhi azzurri, cranio allungato, pelle chiara e figura slanciata" equivalevano a "nobile, buono e intelligente", mentre "bruno, cranio largo, bassa statura e capelli crespi" - caratteri somatici dei popoli asiatico - giudaici dell'oriente in particolare - erano sinonimi di "degenerato, inferiore, distruttivo", di  qualsiasi  popolo si  trattasse. Le deboli e incresciose osservazioni secondo cui indù e persiani avevano creato delle grandi civiltà, vennero in breve messe da parte: in questi casi si trattava di ereditarietà indogermanica e, siccome gli indogermani secondo l'opinione ormai accettata provenivano dall'Europa settentrionale, persino di ereditarietà indogermanica nordica." Ancora: "Noi sappiamo che i germani non erano assolutamente "una razza pura", ma una mescolanza di razze, una mescolanza tra gli invasori indogermani, con caratteristiche somatiche definite "nordiche", che pertanto erano dolicocefali, biondi, slanciati, e la gente del luogo, i costruttori delle tombe dei giganti, in prevalenza massicci, tarchiati, con spalle larghe, faccia larga e cranio quasi quadrato: ciò che è compreso nel concetto "dalico" o  “falico”. La purezza della razza nei popoli e nei raggruppamenti  umani probabilmente non si è mai verificata nella storia dell’umanità. Fischer Fabian, S., i Germani, Garzanti, 1985, pp. 9,10,157,171,172. 
 
10) Tacito, Germania, III: "….Asciburgiumque, quod in ripa Rheni situm hodieque incolitur, ab illo constitutum nominatumque...” In realtà il sostantivo burgium⁄burgus non è una latinizzazione del got. baurg ma risale al greco. E’ pensabile quindi che la parola gotica sia stata mediata dal mondo classico e questo potrebbe essere indizio di intense relazioni tra il mondo germanico e quello italico e in generale sudeuropeo nel primo periodo postindoeuropeo. Cfr. Pauly - Wissowa, op. cit. Band Suppl. III, p.549.
11) Questi oppida, quasi tutti di origine Celtica ma per alcuni dei quali si può presupporre anche una occupazione germanica cominciarono a sorgere numerosi a partire dal secondo secolo a.C. Le nostre migliori informazioni su di essi ci pervengono, al solito, da Cesare che ci ha lasciato la descrizione di Avaricum, il capoluogo dei Biturgi che mostra notevoli somiglianze con quello di Otzenhausen.
Comunque numerosi furono questi oppida sul suolo germanico: per citarne solo alcuni, oltre a quelli già nominati, quello di Heidegraben nel Württemberg, di Zarten presso Freiburg, di Donnersberg nel Rheinland Pfalz.
A tal proposito si veda l’ampia trattazione di J. Filip nella sua opera citata, pp. 129⁄141.
12) R. Hachmann, op. cit. p.65.
13) S. Fischer Fabian, op. cit. pp. 199,200,201.
14) S. Fischer Fabian, op. cit. pp.204, 205, 206, 207.
15) S. Fischer Fabian, op. cit. p.297.
16) Aldio è in realtà voce longobarda. I Goti li chiamavano invece fralets dal verbo letan = lasciare, da cui il lat. laeti, che significa giuridicamente “l’affrancato con l’obbligo di certi servizi”. Cfr. ted. freilassen = mettere in libertà.
17) Cesare. De bello gallico, 6,XXII: “Nec quisquam agri modum certum aut fines habet proprios.” 
18) R. Hachmann, op. cit. p.70.
19) Cesare, De bello gallico, 6, XXII.
20) Tacito, Germania, VII: " Reges ex nobilitate, duces ex virtute sumunt”.
21) L'usanza di liberarsi dagli indumenti in battaglia, radicata nell’antichità germanica e celtica, andò via via scomparendo con l’affermarsi dell'equipaggiamento bellico; continuò tuttavia a perdurare fin verso il periodo delle invasioni presso gli Eruli che erano per certi versi una popolazione piuttosto retrograda rispetto alle altre tribù germaniche. Cfr. Pauly - Wissowa, op. cit. Band, Suppl. III, p. 572.
22) A tal proposito è significativo il brano del De bello gallico (1. XXXIX) nel quale Cesare racconta la paura che invade l'animo dei suoi legionari prima dello scontro con Ariovisto al sentire i racconti degli abitanti del luogo e dei mercanti, che descrivevano i Germani come uomini giganteschi, di straordinario valore in guerra e dei quali non si riusciva nemmeno a sopportare l'aspetto e lo sguardo.
Ma tutto ciò risente delle esagerazioni presenti in tanti passi dell’opera di Cesare; in realtà, dagli esami autoptici sui corpi venuti alla luce nelle paludi sacrificali della Germania settentrionale e della Danimarca risulta che la statura degli antichi Germani era in media di 1 metro e 70 cm. Naturalmente essi poterono sembrare molto alti agli occhi dei legionari romani che mediamente superavano a stento il metro e mezzo.                    
Dagli scrittori latini del tempo gli occhi dei germani vengono descritti con gli aggettivi: caeruleus, caesius; da Tacito truces. Per il colore dei capelli vengono di volta in volta usati flavus, auricomus, rutilus, rufus a indicarne il colore biondo - rossiccio.
23) Tacito, Germania, XIX: “...Plusque ibi boni mores valent quam alibi bonae leges”.
Bibliografia
C.G. Cesare: De bello gallico (7 libri) 
Devoto, G.: Il linguaggio d'Italia, Rizzoli, Milano, 1974 
Filip, J. : I Celti alle origini dell'Europa, Club del libro Melita, 1987
Fischer Fabian, S.; I Germani, Garzanti, Milano,1985 
Hachmann, R.: I Germani, ed. Nagel, Roma, Parigi, Monaco,1977 
Maurer, F.: Nordgermanen und Alamannen, Munchen, 1952 
Mommsen T. : L'impero di Roma, Club degli Editori, Milano, 1966
Müllenhoff, K.: Deutsche Alterertumskunde, Berlin, 1908.
Pauly - Wissowa: Real - Enciclopädie der classischen Altertumswissenschaften, Stuttgart, 1919, (12 libri)
Publio Cornelio Tacito: Storie (5 libri) 
Romano, G. - Solmi. A.: Le dominazioni barbariche in Italia, Vallardi, Milano, 1940 
Tito Livio: Ab urbe condita libri
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