L-7.DOC
La dominazione Austriaca
Per buona parte del 1700 il nucleo fondamentale dell'amministrazione austriaca nel Ducato milanese fu la Comunità, a volte costituita da un solo Comune e di proporzioni cosi ridotte da essere unita ad altre di dimensioni più rispettabili. Qualora ciò non fosse stato possibile, si doveva conservare lo stato di separazione goduto, relativamente al pagamento delle imposte, con obbligo dei "possessori" del Comune di nominare un Sindaco.
Come attestano i documenti dei funzionari austriaci, le altre Comunità erano rette dagli Estimati o proprietari di terre non esenti, con esclusione dei "personalisti", cioè di coloro che vivevano in campagna senza essere proprietari e pagavano le imposte ad personam. Essi costituivano un "Convocato" che, a sua volta, eleggeva un Esecutivo formato da tre deputati. Questi nominavano il Sindaco e l'esattore.
Al di sopra dell'amministrazione comunale stava la pieve, che comprendeva al minimo una Comunità, al massimo una quarantina. Una o più pievi potevano costituire il distretto di un Cancelliere, il quale rappresentava il Governo di fronte alla Comunità ed era quindi autorità di rilievo nel sistema amministrativo austriaco, perché presiedeva i "Convocati", li poteva sciogliere in caso di irregolarità, verificava la validità delle elezioni, la regolarità nella stesura dei bilanci, provvedeva alla custodia dei documenti ufficiali, mappe catastali comprese, manteneva rapporti epistolari con le autorità superiori, denunciava abusi e trasgressioni.
Soppiantata la Spagna nel controllo della Lombardia, all'inizio del 1700, l'Austria iniziò un'egemonia destinata a durare fino al 1850, salvo la parentesi napoleonica. A conquista effettuata, l'Austria si rese conto della importanza strategica della nostra regione, che divenne il posto di guardia avanzata, dal quale sorvegliare tutta la politica italiana, colla collaborazione dei più raffinati palati della cultura illuministica locale, quasi a voler dare l'impressione di una certa autonomia. In realtà d'autoritarismo dominante è sempre il caso di parlare, se si tiene conto della pressione fiscale esercitata dall'Austria, dell'aumento dei prezzi, del perenne stato di guerra. Vita difficile dunque a Milano e logicamente anche in provincia, anche se oggi è cambiato il giudizio degli storici, pronti a vedere la dominazione dell'imperatrice Maria Teresa come un modello di buona amministrazione, di alta civiltà e perfino di tolleranza per le minoranze.
Orbene una delle prime preoccupazioni delle autorità austriache, dopo anni di guerra che avevano premuto enormemente sulle casse dello Stato, ponendo l'erario in condizioni insopportabili fu quella di arrivare a un inventario di tutti i beni immobili del Ducato, a un censimento della popolazione e a un accertamento delle principali attività economiche, ad una riforma radicale del catasto già predisposta da Carlo V, re di Spagna, ma non in forma razionale.
Già il 4 marzo. 1704, il Magistrato Ordinario dello Stato di Milano invitava la Comunità di Legnano al pagamento dei debiti retrodatati da esigersi negli anni 1696-1697, pari a L. 4570.14 .S.M. , Censo p. a., cart. 1329). In caso di mancato pagamento dell'imposta da corrispondersi in due rate, si sarebbe proceduto, senza avviso, all'esecuzione contro la Comunità, i suoi esattori, i Sindaci, i Reggenti e i Deputati tenuti al pagamento, con le spese del caso. Non sappiamo quale sia stata la soluzione della contesa regolata da un Senato-consulto, ma era già un'avvisaglia della gigantesca operazione che l'autorità austriaca avviò, a partire dal 1706 e che era destinata a protrarsi fino al 1850: la stesura di grandi mappe e di sommarioni per la registrazione dei terreni. Dopo diversi esperimenti e varie valutazioni, si decise di adottare come criterio di stima quello della tavoletta pretoriana, un particolare goniometro, cosi chiamato dal suo inventore Iohannes Praetorius. Perciò, con una serie di notifiche emesse nel 1719, i proprietari furono obbligati a denunciare coi relativi redditi, i terreni classati come "beni di prima stazione" le case, le botteghe, i mulini considerati "beni di seconda stazione". Affluì così alla Giunta del Censimento una congerie enorme di documenti, accompagnati da contestazioni non solo per gli strumenti tecnici adottati, ma anche per gli equivoci in cui i visitatori erano incorsi per la redazione delle mappe, che si proponevano l'individuazione delle varie proprietà distinte in base all'ubicazione, ai confini, alle colture praticate, alla dimensione, alla vicinanza ai corsi d'acqua, alla intersecazione di vie.
Perciò, nel 1723, fu effettuata, per opera di Carlo Ronzio, la misura generale dei fondi nella pieve di Olgiate Olona, che ascendevano a 137111.20 pertiche, con 17477 "moroni", mentre quelli di Legnano con Legnarello toccavano 5418 "moroni" e 26422.13 pertiche, cosi distribuiti :
Aratorio Pt. 6023
Aratorio avitato Pt. 1 4700
Prato asciutto Pt. 54
Prato adacquatorio Pt. 1698
Ronco Pt. 81
Bosco forte Pt. 515
Bosco castanile Pt. 514
Bosco dolce Pt. 11 . 1 1
Bosco misto Pt. 25 . 12 . 1⁄2
Brughiera boscata Pt. 591
Brughiera Pt. 1354.1⁄2.1⁄2
Pascolo Pt. 51.1
Zerbo Pt. 31.1⁄2.1⁄2
(A.S.M., Censo p.a., cart. 432).
Effettuata la misura dei fondi, la R. Giunta affrontò il problema delle valutazioni e procedette agli accertamenti, calcolando la rendita, dopo aver dedotto per gli appezzamenti vari di terreno, le spese di produzione e le perdite procurate dagli agenti atmosferici. Quindi poiché i reclami per gli accertamenti non cessavano, le autorità inquirenti procedettero a una revisione generale delle stime, nel 1731.
Tale operazione fu interrotta dallo scoppio della guerra di successione polacca, nel 1738, nel corso della quale andarono persi numerosi documenti consegnati dalle Comunità. Una volta ristabilita la tranquillità, l'imperatrice Maria Teresa, il 9 luglio 1749, formò, una nuova Giunta per il Censimento. Un anno dopo Pompeo Neri, responsabile dell'ordinamento censuario, presentò una relazione sull'andamento delle operazioni e dei risultati acquisiti, in base a quarantacinque quesiti posti alle "Città Province, Comunità e Università dello Stato di Milano", per appurare la qualità, la quantità e l'esazione dei carichi, secondo le differenti pratiche di ciascun luogo.
Lo scopo del questionario era quello di verificare se la terra esaminata fosse infeudata o no; quale fosse la popolazione; a quale giudice fosse sottoposta la Comunità, quali fossero il tipo di perticato esistente, i redditi, i debiti, i crediti ecc. è indubbio che gli interrogativi presenti nel documento proposto dalle autorità austriache movessero da ragioni fiscali, ragione per la quale le risposte poterono a volte essere reticenti e sconvolgenti nella formulazione, a causa dell'ignoranza degli interessati, su questioni di carattere giuridico. Tuttavia si può dire che la gran parte dei Comuni maggiori rispose al quesiti, offrendo un quadro significativo del compartimento territoriale, da cui risultò che tra le Comunità più importanti l'infeudazione non era uniformemente diffusa, che nel Ducato di Milano comprendente 896 Comunità forensi, distribuite in 59 pievi, solo 42 risultavano redente, tra cui appunto Legnano.
In base alle ricerche effettuate intorno ai quarantacinque quesiti di Maria Teresa, risultava dunque che Legnano si era redenta anticamente dal feudo, pagava ogni anno L. 229 all'uopo e dipendeva giuridicamente dal Vicario del Seprio, al quale non pagava nessun salario. La Comunità non aveva sotto di sé altri Comuni, ma piuttosto era divisa in nove Comunetti, cioè Comune Dominante, Trotti, Lampugnani, Morosino grande, Morosinetto, Visconti, RR.M. Monache di Legnano, Vismara, Personale, perpetuando così una situazione già in atto durante la dominazione spagnola. Legnano non aveva Consiglio, ma era regolata da otto Sindaci e da due Consoli. Il Cancelliere percepiva un salario di L. 442 annue compreso carta, libri e scritture. La Comunità dal canto suo, non aveva in Milano mè procuratore, mè agente, sopperendo, all'occasione, gli Estimati. (A.S.M., Catasto, cart. 3037); era tassata in 280 staia di sale, ripartite tra i Comuni in proporzione, dopo la assegnazione effettuata dalla R. Camera, non sappiamo su quale fondamento.
Nei registri non si distingueva molto bene, secondo il quesito n. 13, il perticato civile dal rurale, essendosi solo notato in ciascun Comune il perticato registrato in soldi d'estimo, nonostante la diligenza usata. In base poi al quesito n. 20, il numero delle "anime", che si ritrovavano nel Comune, era di 2120.
Interessante è pure la risposta data al quesito n. 23.
Da essa si deduce che in Legnano esistevano due mercanti di panno, due macellai, un'osteria grossa, un prestino di pane bianco, due bettolini, sedici molinari, un'osteria in Legnarello, due cartari, quattro zoccolari, otto oliarii, dieci calzolai, cinque sarti, cinque cervellari, tre confettori, una posteria, due chirurghi, uno speziale, sedici tessitori di tela di puoca consideratione, sei ferrari, due armaioli, due tintori, due postari che vendevano ferro, due fondegari, due fabricatori di pasta, due offellari, due fornasari, sette prestini di mistura, i quali non pagavano altro che il carico personale, analogamente a quanti lavoravano la terra.
Da altre risposte si deduce che i beni ecclesiastici, oltre la cosiddetta porzione colonica, non erano soliti contribuire per la parte dominicale. Il Comune, dal canto suo, non possedeva cosa alcuna, non avendo mè entrate mè rendite; teneva i debiti descritti nei relativi reparti. Nel momento in cui si stendevano i bilanci, gli esattori si assumevano la responsabilità per l'esazione delle imposte arretrate. Similmente la Comunità nutriva qualche pretesa di credito verso la Provincia, come abbuono per le spese incontrate nel corso delle guerre passate e sperava di essere alleggerita dai carichi dai quali trovavasi alquanto aggravata, più di quanto comportassero le sue possibilità.
Pertanto in base alle risposte fornite ai quarantacinque quesiti, risultava che la tangente contributiva toccante alla Comunità di Legnano e pagata dai Comunetti infrascritti, che godevano di particolari privilegi e autonomie, era la seguente, per gli anni sottoindicati .
manca la tabella
In base alle risposte date ai quarantacinque quesiti e alle relazioni dei Deputati dell'Ufficio dei Processi comunali fu ricavata la stima, approvata la tavola proposta e si procedette alla pubblicazione sicché i periti poterono passare alla formazione del catasto. Sul piano generale le risposte ai quesiti proposti dalle autorità austriache evidenziarono ancora una volta l'irrazionale distribuzione dei carichi legati al censimento del 1564, per quanto riguardava non solo la tassazione reale delle terre, ma pure quella personale sugli individui abitanti in campagna, senza essere proprietari dei fondi, per non parlare di quella mercimoniale, che colpiva il settore terziario.
Da qui la necessità di un nuovo ordinamento fiscale, che abolisse il vecchio repertorio delle voci impositive e preludesse a quel sistema che la Regia Camera inauguri, nel 1760, in base al quale il tributo dovuto dai proprietari terrieri fu proporzionato al rendimento immediato dei fondi, rapportato al momento del loro censimento. Secondo le disposizioni emanate con l'indicazione dei beni di prima e seconda stazione, si assicurò la perequazione dei carichi, si stabilì l'importo che ogni contribuente doveva pagare in rapporto alle tre imposte, cioè personale, mercimoniale e della casa di ordinaria abitazione. Si ebbero pertanto i bilanci indicati (A.S.M., Censo p.a. , cart. 1329).
manca la tabella
A integrazione dei dati sopra ricordati può essere interessante sapere che il Sindaco, nel 1762, aveva come stipendio L. 60, il Cancelliere L. 350, il medico L. 500, il console L. 50, il campanaro di Legnano L. 65, con l'obbligo di regolare l'orologio, il campanaro di Legnarello L. 18, il prevosto di Legnano L. 18,1. Nel 1800 il parroco aveva come congrua L. 441.2.6, il Sindaco comunale, come stipendio
Questi dati non avevano la pretesa di invadere il campo dell'inconoscibile mè di penetrare nell'essenza delle cose, secondo le ambizioni degli antichi filosofi, ma di raccogliere e di ordinare elementi, sui quali fondare ogni vera conoscenza. Si apriva l'era dei formulari, delle tabelle, delle cifre incolonnate, L. 60, il medico L. 900, il chirurgo L. 600, il console sagrestano di Legnarello L. 18, il Deputato del personale L. 8.
Altrettanto importante quanto i bilanci fu il censimento della popolazione di Legnano, in base al quale fu possibile stabilire la tassa personale e mercimoniale, come si può rilevare dalla tabella allegata (A.S.M., Censo p.a., cart. 1329) che dovevano servire a far quadrare l'arte del buon governo, a creare consonanze tra i mezzi usati e il fine da raggiungere.
Manca tabella
Iniziava lo sviluppo di una nuova scienza, la demografia, la quale apriva la prospettiva di sottoporre alle leggi del numero e delle misure precise le esigenze del complesso sociale. L'accertamento della popolazione e delle sue occupazioni costituiva inoltre un elemento primario nella formulazione degli obiettivi futuri e nella scelta delle attività economiche, per gli incaricati ad esse preposti.
Per Legnano, verso la fine del sec. XVIII, non si può, parlare che di coltivazioni intensive, di colture prevalentemente cereali, come frumento e segale; ma anche di colture arboree della vite e del gelso, esercitate in aziende a conduzione familiare e legate al nuovo tipo di contratto che si andava diffondendo: quello della mezzadria, dettato dall'incremento nell'allevamento del baco da seta. Grazie alla compartecipazione agli utili, il proprietario era in grado di stimolare l'interesse del coltivatore per un tipo di lavorazione, che richiedeva molte ore di fatica.
Da qui l'attenzione continua dedicata all'insistenza dei "moroni" sui fondi, con il Magistrato ducale addetto all'agricoltura sempre vigile a cogliere quanto potesse soddisfare l'esigenza fiscale.
Quanto all' attività di ordine commerciale, essa è testimoniata ancora una volta dai documenti d'archivio, dai quali è possibile ricavare la consistenza dei commercianti, il cui ruolo mercimoniale di L. 300 rimase immutato dal 1771 al 1784, secondo la tabella la riportata sotto (A.S.M., Censo p.a., cart. 1330).
A comprova di tale attività commerciale sta poi la creazione del mercato settimanale concesso nel 1795, esattamente un anno dopo che i Francesi avevano spogliato la chiesa di S. Magno di tutta l'argenteria. I Legnanesi presentarono all'autorità competente la richiesta di ottenere un mercato settimanale il 20 giugno 1499, a Ludovico il Moro, poi a Filippo IV, nel 1627, e infine nel 1795. I contadini di Legnano chiesero a Ludovico il Moro di poter effettuare mercato al venerdi, in analogia a quanto concesso a Busto Arsizio e a Gallarate, secondo le antiche consuetudini venute meno per gli sconvolgimenti prodotti dalle guerre. Le situazioni precarie attraversate e probabilmente le pressioni esercitate dai paesi viciniori produssero però, effetto negativo. (A.S.M.,
Commercio p.a., cart. 191).
La seconda supplica fu indirizzata al re di Spagna, Filippo IV e da questi girata al Governatore di Milano. Si chiedeva di poter tenere mercato il giovedi.
Solo nel 1637 la burocrazia spagnola prese in esame la richiesta e, pressata dalle opposizioni di Busto Arsizio e di Gallarate, cui si aggiunse pure quella di Saronno in lizza concorrenziale, rispose negativamente. La terza richiesta firmata dai Deputati dell'Estimo legnanese fu inoltrata il 31 dicembre 1794. Visto l'accoglimento sfavorevole di questa domanda, i Legnanesi ne avanzarono un'altra il 10 aprile 1795 e, nel mese di ottobre dello stesso anno, ottennero di poter tenere mercato, ogni settimana, al martedi (Strobino, Il mercato di Legnano, in Memorie n. 2, Legnano 1934, pp. 36-54).
Non si può, chiudere però l'analisi della situazione legnanese nel 1700, senza accennare anche a quella religiosa.
Anno Commercianti Ruolo
1771 79 L. 300
1772 81 L. 300
1773 86 L. 300
1774 82 L. 300
1775 82 L. 300
1776 78 L. 300
1777 82 L. 300
1778 78 L. 300
1779 75 L. 300
1780 72 L. 300
1781 77 L. 300
1782 78 L. 300
1783 83 L. 300
1784 84 L. 300
Dati significativi sulla situazione religiosa di Legnano sono offerti dalla Visita pastorale effettuata in città, il 10 maggio 1761, dal cardinale Pozzobonelli che, rimasto per quarant'anni alla guida della diocesi milanese, arrivò, anche alle più piccole e impervie zone della Lombardia. Poiché costante fu la preoccupazione di S. Carlo di prescrivere, nel corso delle Visite, la verifica dello status animarum o censimento della parrocchia, sembra evidente l'importanza di una fonte del genere, indispensabile per la ricostruzione della storia di un borgo.
Gli Acta visitationis Legnanesis eiusque plebis compresi in un volume di 1592 pagine (A.S.D.M., Sez. X, vol. XXVIII) risultano stesi in latino, in una nitida calligrafia, toccano non solo le istituzioni religiose di Legnano capo-pieve, ma tutto il patrimonio spirituale della popolazione.
Il card. Pozzobonelli entrò nella chiesa prepositurale e collegiata di S. Magno, sotto un baldacchino sorretto dai principali possessores locali, accompagnato da don Giuseppe Marini, vescovo di Tagaste e da don Benedetto Erba, decano della chiesa metropolitana e Visitatore della pieve.
Dal resoconto risulta che la chiesa di S. Magno iniziò, ad essere costruita nel 1504, fu completata nel 1513 e consacrata il 15 dicembre 1529, per opera del vescovo Francesco Ladino ed ebbe il "cupolino" nel 1731.
Alla verifica degli altari delle suppellettili, dei paramenti, delle reliquie, delle indulgenze, dei codici parrocchiali, dei redditi del Beneficio, dei beni della Scuola dei poveri, segue la rassegna del clero locale composto da ventiquattro persone e guidato dal prevosto G.M. Piantanida.
Un accenno particolare all'ospedale di S. Erasmo.
In esso si raccoglievano i bambini abbandonati ed erano nutrite quindici donne anziane. Il Luogo Pio era amministrato tramite il Capitolo della Fabbrica di S. Magno e possedeva: tre case da massaro, di cui una in Cerro Maggiore; pt. 404 di vigne distribuite nel territorio di Legnano e altre pt. 3 1 5 dette il "Bosco dei pini" Il tutto era affittato a Giuseppe Ottolini per l'affitto annuo di L. 750.
Gli abitanti ammontavano a 3000 persone, di cui 2000 ammesse a "Comunione". Due erano i conventi esistenti sul posto, quello dei Frati Minori e quello di S. Chiara.
Il ponderoso documento si chiude con l'elenco degli "Oratori" esistenti, ognuno dei quali evidenziato nei minimi particolari secondo l'elenco unito:
-- Oratorio della P purificazione della SS. Vergine Maria, a Legnarello
-- Oratorio della Natività della SS. Vergine Maria, a Legnarello, con sepolcri e iscrizioni dedicate alle famiglie Lampugnani, Odescalchi, Arconati
-- Oratorio di S. Erasmo
-- Oratorio degli Angeli Custodi, a Legnarello
-- Oratorio di S. Gregorio
-- Oratorio di S. Maria del Priorato
-- Oratorio di S. Ambrogio
-- Oratorio dei Re Magi, alla cascina "Olmina"
-- Oratorio di S. Bernardino
-- Oratorio di S. Martino
-- Oratorio di Gesù Nazareno, alla cascina "Ponzella", eretto nel 1728 dal "causidico" Carlo Francesco Fassio
-- Oratorio di S. Maria Maddalena, alla cascina "Ponzella", eretto nel 1724 da C.F. Fassio
-- Oratorio di S. Caterina, oltre il fiume Olona
-- Oratorio della Vergine delle Grazie, la cui prima pietra fu posta dal prevosto G.B. Specio, il 4 ottobre 1611.
Le Segnalazioni più antiche intorno alla pellagra risalgono salgono a Gaspare Casal, che la riconobbe e la curò, nelle Asturie, in Spagna, intorno al 1717, col nome di mal de la rose, ritenendola però, una specie di lebbra.
Seguirono altre indicazioni, in Francia, nel 1755 per opera del Thiery; in Romania in Grecia e in altri paesi. In Italia le pubblicazioni di Frapelli e Zanetti, nel 1771 e nel 1778 attribuirono la causa del male al sole, mentre Ghirardini incolpava le graminacee. Regnava in effetti nel campo medico, in tal senso, una generale confusione.
Le preoccupazioni e gli interventi dei vari governi risultarono però, inadeguati alla gravità della malattia e non seguirono le innovazioni suggerite dall'evoluzione scientifica. Accettando la tesi del Casal, la Spagna si limitò a far ricoverare i colpiti da pellagra, in normali lebbrosari, per evitare la diffusione del contagio, mentre la Repubblica di Venezia, all'avanguardia nell'adottare provvedimenti di natura igienica, rimase completamente indifferente al male attribuito al continuo consumo di graminacee guaste e di origine turca.
In realtà la pellagra, meglio conosciuta con la dizione dialettale di "pelagra" si diffuse, nel 1700, in concomitanza colla propagazione della coltura del mais e col suo eccessivo consumo. Quindi il fenomeno era strettamente connesso colle condizioni sociali dei ceti rurali e poteva chiaramente indicarsi come un male tipico della miseria se si tiene conto delle modalità di pagamento dell'affitto in grano, da parte del contadino. Il suo reddito era infatti sempre più condizionato dalla relativa quantità di granoturco ottenuta colla coltivazione di modesti appezzamenti di terreno non assoggettati al pagamento del canone;
dalla compartecipazione all'allevamento del baco da seta o alla coltura della vite tali da consentire la copertura di debiti precedentemente contratti per sanare il "deficit" alimentare. Quanto si poteva risparmiare di frumento e di vino, era cambiato in tanto "formentone", che costituiva l'alimento principale.
Da qui l'interesse di diverse Società scientifiche e Amministrazioni ospedaliere che invitarono, sia pure inutilmente, con la promessa di premi, gli studiosi alla riflessione sulle cause della malattia, per la divulgazione di eventuali rimedi.
Alla fine il Governo del Ducato milanese, di fronte alle accresciute miserie, si decise all'apertura di un ospedale apposito, dove fossero effettuate ricerche specifiche e si iniziassero cure sistematiche per la risoluzione del male. In un primo momento, con un rapporto del febbraio 1784, steso dal consigliere Cicognini, direttore della Facoltà di medicina a Pavia, si pensi, alla utilizzazione del Convento dei Cistercensi di Parabiago. Poi, con una lettera del 22 aprile 1784 indirizzata dal Kaunitz, Gran Cancelliere di Stato, fu sancita l'erezione dell'ospedale a Legnano, nel soppresso Convento delle Clarisse di S. Chiara e la decisione fu avallata da Giuseppe II, durante il suo soggiorno in Milano.
L'8 maggio il plenipotenziario Wilzech diede incarico al conte Ambrogio Cavenago di apportare le modifiche all'ex monastero, coll'aiuto dell'allora prevosto di Legnano, don Francesco Lavazza. Si procedette quindi all'adattamento, per uso dell'ospedale, di quella parte del Convento che meglio si prestava allo scopo, secondo le descrizioni rilasciate da Gaetano Strambio jr., nipote ed omonimo del Direttore. Particolare attenzione fu dedicata all'allestimento dei bagni ritenuti come il rimedio più efficace per la cura della pellagra, con la costruzione di una grande vasca in pietra arenaria situata nell'orto. Per l'acqua ci si valse di un antico privilegio concesso al monastero da Gian Galeazzo Maria Sforza Visconti".
Quando la "paterna clemenza" di Giuseppe II istituì l'ospedale, per assistere gli infelici pellagrosi, a curare gli ammalati fu chiamato il dott. Gaetano Strambio, che aveva già effettuato ricerche e studiato la natura del male prima a Carnago e poi a Trezzo d'Adda dove esercitava la professione di medico condotto. Nei suoi esperimenti lo Strambio si preoccupò dell'influenza del vitto, del clima, delle abitudini, per arrivare a conclusioni insolite. Egli infatti intuì che la pellagra non era una malattia puramente stagionale, come potevano lasciar sospettare le manifestazioni cutanee da essa derivate, perché permanevano altri fatti morbosi che interessavano il sistema nervoso e l'apparato digerente. I risultati delle osservazioni, tradotti in alcune pubblicazioni, persuasero della inutilità di tutti i medicamenti fino allora applicati e dell'opportunità di un progressivo miglioramento del tenore di vita.
Dopo una serie di adattamenti compiuti con meravigliosa prontezza, superate le difficoltà derivate dalle disastrose condizioni in cui le Clarisse avevano lasciato il loro monastero, approntate le tabelle, predisposti gli assistenti, il pellagrosario fu inaugurato, con modesta solennità, il 29 maggio 1784. Non fu necessaria nessuna pubblicità all'istituzione, perché già all'apertura dell'ospedale si presentarono cinquanta ammalati, solo la metà dei quali poté essere alloggiata in quaranta letti a disposizione, per il timore di dover rifiutare altri pellagrosi che venissero in seguito da zone più lontane.
Il dott. Strambio iniziò la sua attività col fervore di un apostolo, anche se la sua missione aveva delle prospettive tutt'altro che rosee, in un ambiente dove era visto come un intruso e dove aveva assunto l'incarico senza uno stipendio fisso, costretto anzi a implorare di tanto in tanto qualche "sussidio interinale" per affrontare carichi di famiglia e attendere agli studi necessari, in continuo contrasto con l'autorità ecclesiastica o meglio con don Lavazza successo al Cavenago nell' amministrazione dell'ospedale.
Per opera dello Strambio gli ammalati trassero tuttavia un notevole beneficio; le loro sofferenze cessarono o diminuirono, la scienza si accrebbe di nuove verità e lo stesso imperatore, dopo due quadrimestri di attività, gratificò il medico con cento zecchini, decretando contemporaneamente l'ingrandimento dell'ospedale di Legnano.
L'opportunità di allargare il pellagrosario si presentò a Giuseppe II nel 1785 quando, in occasione di un soggiorno in Lombardia poté visitare l'ospedale di Legnano. Dopo l'intervento dell'imperatore, una "Sovrana Risoluzione" stabilì che i letti del pellagrosario fossero portati a cento, ma che ogni ospedale provinciale ne tenesse, all'uopo, a disposizione dieci e quello di Milano venti, in modo da trovare attraverso un'ulteriore sperimentazione, "uno specifico contro l'abominevole malattia".
I soldi incamerati dai conventi soppressi non furono però sufficienti per sopperire alle necessità previste e il Governo pertanto non concesse che fosse superato il numero dei quaranta pellagrosi ammessi all'ospedale, anche se questo funzionava con regolarità. Basti dire, in base a documenti rimasti che la spesa per il vitto di un ammalato ammontava a quattordici soldi giornalieri, per salire a ventitré con le medicine e l'assistenza, in modo che l'esborso per l'intera istituzione non superava L. 900 mensili. Era un modo dignitoso di sbarcare il lunario.
Purtroppo, nel corso di tale attività, una serie di guai e fastidi turbò l'opera dello Strambio, come si deduce dalle lettere scambiate col Cavenago, a causa di contrasti sorti con l'autorità religiosa locale. Ben presto i rapporti tra il direttore medico e l'Amministratore degenerarono.
Ai primi del 1788, don Lavazza, prevosto di Legnano, indirizzò una fiera requisitoria formale al Consiglio di Governo contro lo Strambio, accusato di trascuratezza nei metodi di cura, dai quali derivava una grave mortalità.
Se a ciò si aggiungono le difficoltà soprattutto di carattere economico, che minacciavano la sopravvivenza del pellagrosario di Legnano, per la cui definitiva sistemazione non si trovavano capitali adeguati, si comprende come il Consiglio di Governo, con dispaccio del 26 maggio 1788, decretasse la soppressione dell'ente. Si decise quindi lo sgombero dell'ospedale di Legnano: i pochi pellagrosi rimasti furono divisi tra i nosocomi di Milano e di Monza. L'ex monastero di S. Chiara fu venduto all'asta pubblica.
Dal 1784 al dicembre 1788 si spesero per il pellagrosario di Legnano L. 89.000 milanesi, tutto compreso.
Lo Strambio fu assunto, al primo gennaio 1789, dall'Ospedale Maggiore di Milano. Ottenne, nel 1791, una gratificazione di 150 zecchini, a tacitazione di tutti i suoi diritti e uno stipendio di L. 1800. Eletto direttore medico nel 1810, fu nominato, un anno dopo, direttore dell'Ospedale Maggiore di Milano. Durò in carica tre anni e, alla scadenza, fu creato Prefetto del Dipartimento dell'Olona. Rassegnate le dimissioni nel 1817, chiuse la sua esistenza il 3 maggio 1831, universalmente compianto come una delle figure più significative della Milano ottocentesca.
L'antico convento delle Clarisse di Santa Chiara, che ospitò il pellagrosario, era ubicato in Legnano tra l'attuale Largo Seprio e la via Giolitti, con fronte su corso Italia, il cui primo tratto, all'epoca, si denominava via del monastero. Dell'edificio esistono ancora i resti del chiostro delle monache in un cortile, al numero civico 41 di corso Italia.