Un legnanese tra i tedeschi.
L’inedito racconto
di Venanzio Scarpa, autista della Brigade Speer
A quasi 90 anni conserva una memoria e una vivacità invidiabili. E racconta a Polis Legnano
la sua vicenda che, dall’azienda di famiglia in via Resegone, lo porterà prima a Cardano, poi a
Novara e Merano. L’amicizia con il comandante Willy Schreck. Fino all’avventuroso rientro in città
enanzio Scarpa, classe
1924, è persona nota a
Legnano, grazie all’attività
per tanti anni svolta con
l’azienda di famiglia “Scarpa &
Colombo”, specializzata nella
costruzione di valvole per motori
a scoppio. La fabbrica, situata
in via Resegone, offre
ancora oggi una piccola curiosità,
perché custodisce il vecchio
rifugio antiaereo costruito
prima della Seconda guerra
mondiale. A quei tempi, durante
la notte esso era aperto anche
alle famiglie del vicinato e
tante erano le mamme che volevano
portare al sicuro i loro
bambini e dormire un po’ più
tranquille, per quanto ammassate
in spazi ristretti.
Con Venanzio (e con la sua
sposa Pinuccia Locati) m’incontro
per parlare proprio della
Seconda guerra mondiale e
della sua particolarissima esperienza
personale: lui, infatti, è
stato un legnanese in divisa tedesca.
Questa la vicenda.
Tedeschi, fascisti,
partigiani: con chi stare?
Nel luglio 1943 – mese fatale
per le sorti di Mussolini – il giovane
Venanzio viene chiamato
alle armi, dopo aver concluso
la sua carriera di studente con
il conseguimento del diploma di
perito meccanico. Grazie alla
conoscenza con il gen. Casero,
la famiglia (o meglio: lo zio che,
dopo la morte del padre per incidente
sul lavoro, segue da
vicino il giovane Venanzio) ottiene
che il ragazzo venga inserito
negli elenchi del personale
necessario per le esigenze
della Regia Aeronautica
presso l’Ispettorato leva e matricola
di Orvieto. Siamo
nell’agosto del ’43, nel pieno
dei quarantacinque giorni di
Badoglio. Pochi giorni ancora e
si arriva all’8 settembre, al disfacimento
dello Stato italiano
e all’occupazione tedesca.
Sorta la Repubblica Sociale,
per centinaia di migliaia di giovani
italiani si pone, prima o
poi, un dilemma atroce: che fare?
La scelta è davvero drammatica.
Sappiamo che moltissimi
presero la via della montagna
pur di non mettersi al
servizio dei nazifascisti (è il caso
del martire legnanese Giuseppe
Bollini, per esempio),
che altri si arruolarono – più o
meno convinti e fanatici – tra i
repubblichini e che qualcuno
preferì scegliere la Germania.
Venanzio riesce per qualche
tempo a rimandare la difficile
scelta, perché ottiene una licenza
«straordinaria quale operaio
presso la ditta Scarpa e
Colombo», valida fino al 31
gennaio 1944. È la strada più
sicura, visto che il lavoro in
fabbrica offre la possibilità di
evitare legalmente il servizio
militare imposto dai fascisti.
Ma poi? Scaduta la licenza, il
problema della scelta si ripresenta.
Venanzio non ha molta
stima per i partigiani, risentendo
della propaganda che li definisce
“banditi”, ma neppure
per i fascisti, ritenuti troppo fanatici.
E quando un amico gli
prospetta la possibilità di lavorare
con i tedeschi, che a Cardano
al Campo e dunque
presso la Malpensa, hanno un
comando dell’organizzazione
Todt (preposta alla costruzione
di strade, ponti, infrastrutture
varie), compie la sua scelta.
Di fatto Venanzio viene poi incorporato
nella Nskk-Brigade
Speer. Nskk è la sigla del Nationalsozialistisches
Kraftfahrkorps,
ovvero il Corpo nazionalsocialista
degli autisti, che
inizialmente ha operato al servizio
del partito. Con diversi
passaggi, però, il ministro degli
Armamenti, il famoso Albert
Speer, nel 1941 ha istituito un
servizio da lui controllato, composto
da reggimenti motorizzati
adibiti al trasporto di materiali,
munizioni ecc. Molteplici sono
dunque i legami, nella complessa
macchina organizzativa,
tra queste unità e la Todt, oltre
che con la Wehrmacht.
Dal 28 gennaio 1944 Venanzio
funge dunque come autista del
Nskk e dal 2 febbraio è inquadrato
nella 12ma compagnia.
Mandato a Novara, è assegnato
come autista del comandante
di un magazzino: guida una
vecchia e scassata “Topolino”,
prima di potersi impossessare
di una Lancia “Aprilia” sequestrata
nella zona del lago Maggiore.
Si muove per servizio
nell’ampia area al di là e al di
qua del Ticino, da Novara a Vigevano,
ma anche a Rho.
Con l’avvicinarsi del fronte, sul
finire del ’44, la sua unità lascia
Novara (che era spesso obiettivo
delle incursioni del celebre
comandante partigiano Moscatelli)
e si trasferisce direttamente
in Trentino-Alto Adige: la coV
Cultura e idee
POLIS LEGNANO Vita associativa 19
lonna, preceduta da un autoblindo,
fa sosta a Rovereto, rimane
qualche giorno presso
Bolzano e finalmente arriva alla
sua destinazione, Merano. Qui,
nella frazione di Maia Bassa, i
tedeschi s’impossessano delle
caserme lasciate vuote dal
quinto Reggimento Alpini e delle
villette poste all’interno
dell’ippodromo. E qui Venanzio
rimarrà con il suo comandante
fino al termine della guerra.
Questa in sintesi la storia di
guerra di Venanzio Scarpa, ricostruita
attraverso il suo racconto
e i suoi documenti.
Il soldato in tram
con l’ombrellino rosa
Ma come si stava con i tedeschi?
La risposta del lucidissimo
novantenne di oggi è sicura:
si stava bene. Portando la
loro divisa, si era trattati alla pari,
senza discriminazioni, e si
poteva mandare alla mamma
lo stipendio, utilissimo in quei
tempi. Con il comandante Willy
Schreck – che Venanzio porta
in giro in lungo e in largo – si
consolida un’amicizia che andrà
oltre la guerra, come testimoniano
le lettere che Schreck
invierà a Venanzio anni dopo.
Tanti sono gli episodi che Venanzio
mi racconta. Il più gustoso?
Fu la volta che Schreck
si fece amica una bellissima
donna viennese, giunta a Merano
per un breve periodo:
l’ufficiale non si fece scappare
l’occasione di ospitare l’amante
nella villetta a lui assegnata. Un
bel giorno, però, arrivò la notizia
di un’imminente ispezione e
Schreck incaricò Venanzio di
far sparire ogni traccia di presenza
femminile. Raccolse tutti
gli indumenti femminili sparsi
per la casa in una valigia, e
gliela affidò, con il compito di
portarla altrove. Si dimenticò
però di un leggiadro ombrellino
rosa. Ed ecco la scena
dell’ufficiale che rincorre il suo
autista e gli mette in mano il
“pericoloso” oggetto. Ma immaginatevi
Venanzio che, in
divisa tedesca, gira per Merano
in tram con un ombrellino rosa
che non è riuscito a infilare nella
valigia zeppa di camicette,
sottovesti e reggiseni…
Venanzio racconta poi un altro
episodio, nel quale ha mescolato
paura e generosità. A Merano,
per vari lavori, erano impiegati
dei prigionieri russi. Una
sera il giovane legnanese scopre
uno di loro che sta cercando
di fuggire dopo aver rubato
una matassa di rame: il suo obiettivo
è quasi sicuramente
scambiarlo con un pezzo di
pane. Venanzio si spaventa,
reagisce minacciando di usare
la pistola Beretta che ha con
sé, ma infine lascia scappare
quel poveraccio. Non dirà nulla
a nessuno, prima di raccontarlo
a me e ai suoi familiari...
Un giorno la vicenda di Venanzio
si incrocia con quella di un
altro legnanese. Lo informano
infatti che non distante da Bolzano
è prigioniero un altro legnanese,
di nome M. A quel
punto Venanzio vuole salvarlo
e ottiene dal suo superiore un
foglio d’ordini che stabilisce che
M. è necessario per la Brigade
Speer. Forte di ciò, Venanzio
parte per il campo, si presenta,
ottiene ovviamente ascolto e
può parlare con M., offrendogli
questa possibilità di salvezza.
Ma M., sospettoso, teme qualche
trappola, si rifiuta: Venanzio
riparte da solo e M. finirà
deportato in Germania.
«Ignoravo l’esistenza
dei Lager nazisti»
Finalmente finisce la guerra.
Arrivano gli americani anche a
Merano e Schreck si dimostra
alquanto abile nel cavarsela. In
abiti borghesi, insieme a Venanzio,
riesce a ottenere un lasciapassare
della Croce Rossa
Internazionale, per lavorare in
soccorso degli italiani che
stanno rientrando in condizioni
pietose dai campi di prigionia e
di deportazione. Poi Schreck
sparirà dalla circolazione, passando
forse in Svizzera, contando
su conoscenti e amici.
Venanzio ha ora il problema di
tornare a Legnano. Trova un
passaggio sul rimorchio di un
camion Lancia che parte da
Bolzano in direzione Torino.
Fino a Milano il nostro giovane
se ne sta in mezzo ai pezzi di
legno di cui è pieno il rimorchio:
materiale che serve per alimentare
il motore a gasogeno di cui
è dotato il camion. Poi da Milano
a Legnano c’è ancora il treno
e si è a casa.
Chiedo a Venanzio quali reazioni
abbia incontrato al suo ritorno:
dopo tutto aveva vestito
la divisa dell’esercito occupante.
La risposta è disarmante:
nessuna domanda, nessuna
reazione. Forse, penso, gli ha
giovato l’essere stato lontano
da casa, così che nessun concittadino
l’ha visto con la divisa
germanica.
Venanzio tiene anche a sottolineare
di non aver mai avuto
notizia di quel che stava succedendo
ad Auschwitz e negli
altri Lager nazisti. Anzi, ammette
di non aver creduto a chi, alla
fine della guerra, gli parlava
di Mauthausen piuttosto che di
Dachau. Si ricrederà quando
andrà personalmente in visita
nel Lager austriaco, meta finale
di tanti nostri connazionali, anche
legnanesi.
Questa è la storia di guerra di
Venanzio Scarpa, legnanese,
brillante (quasi) novantenne. È
una storia diversa dalle tante
che conosciamo e anche per
questo merita di essere conosciuta
e presa per quella che è.
GIORGIO VECCHIO