Chiesa della Madonnina
"Della nova chiesa della Natività di Maria Vergine".
Nel 1650 il legnanese Prevosto Pozzo descrive sotto questo titolo le cause ed i lavori inerenti all'erezione di una piccola chiesa situata lungo l'attuale corso Sempione in Legnano. Di una chiesa nuova infatti si trattava cominciata il 21 luglio 1641 sotto il patrocinio del cavaliere Gioseffo Lampugnani. Anche se di piccole dimensioni questo edificio rappresenta l'espressione più colta in tema di architettura prodotta nella Legnano del 1600, in quanto tutte le costruzioni a lei coeve, risentono ancora l'influenza del 1500.
Prima di addentrarci in una descrizione di fatti è meglio accennare alla situazione culturale italiana in generale e legnanese in particolare intorno al 1630.
Alla fine del Cinquecento l'Italia si trova presa nel fervore rinnovatore della Controriforma. Non era tanto all'intelletto ed alle sue speculazioni che essa si rivolgeva, quanto al sentimento ed alla fantasia (Spini) aiutata dalle nuove ondate di mecenatismo che in ogni luogo fanno veri idoli degli artisti e degli studiosi. Michelangelo ha fatto scuola. Egli a Roma prese contatto con i resti delle splendide costruzioni romane imperiali, di cui aveva imitato il gusto della spazialità e della possezza delle forme; aveva fatto suoi gli arcani segreti di quei lontani plasmatori di masse e di spazi, profondendoli nelle sue maestose opere.
Ecco che gli eredi di Michelangelo subito si rifanno al gusto romano anche perchè la maturità costruttiva di questo secolo è paragonabile a quella del II-III secolo d.C. Nella Roma pagana, con condizioni economiche paragonabili a quelle seicentesche, si era insinuata la dottrina cristiana, facendo nascere architetture piene di tormenti e di sentimenti forti che ritroviamo nel Seicento questa volta generati da un poco di paganesimo edonistico insinuatosi nel pensiero cristiano. Dice bene la prof.sa Liliana Grassi: "Al sostituirsi dei principi della nuova ricerca naturalistica sperimentale delle teorie platonche del Rinascimento corrispose dunque anche in arte l'adesione a forme figurative in certo senso consorte a tal sorta forma mentis generale". Tre elementi però impediscono al Seicento di ricalcare le vie romano imperiali.
Primo: la presenza degli Spagnoli che con il loro gusto influirono sugli artisti, i quali talvolta si abbandonarono ad eccessi di decorativismo.
Secondo: la sopraggiunta maturità costruttiva permette, ogni secolo che passa, di usare i materiali a piacimento, maggiormente, avvicinandosi ai limiti dlelle resistenze strutturali fino a rendere più snelli i muri e gli appoggi.
Terzo: la divisione politica in tanti staterelli autonomi toglie la maturazione del gusto crescente in un corale moltiplicarsi delle fabbriche, e ciò è causa di architetture tipiche regionali, o spesso solamente cittadine che vediamo intorno a noi. Proprio quest'ultimo punto introduce il discorso sull'ambiente nel quale sorse la chiesa presa in esame. In Lombardia siamo sotto il dominio degli Spagnoli di Filippo IV, tuttavia l'amministrazione è in mano a nobili milanesi ed il peso delle gabelle di Filippo non è troppo sentito dato che spesso non vengono pagate. Si vive in un certo benessere che tranne nei periodi della peste consente l'erezione di molteplici edifici, patrocinati dalle famiglie nobili, ad opera di artisti di corte e prettamente lombardi quali Lorenzo Prinago, Buzzi Fabio, ecc. ed il maestro fra questi Francesco Maria Richini .
In Lombardia le istanze barocche erano state preparate dalle classi sociali e dal Piermarini. Il nuovo secolo trovò quindi un humus forse più che altrove preparato ad accogliere le successive manifestazioni barocche. Nonostante il terreno già pronto all'innesto del barocco in Lombardia, non si verificò una manifestazione artistica unitaria quale quella piemontese con Guarini e Vitozzi, o quella siciliana, o napoletana che improntarono intiere città ed allacciarono discorsi architettonici unici evolventisi dalle città principali in provincia con sviluppi spesso equipotenziali, soprattutto grazie al mecenatismo delle corti regali che in codeste regioni erano ben salde al potere ed intervenivano ovunque. Al contrario la Lombardia era in mano a tanti piccoli signorotti che più o meno rispettavano il potere centrale, e ognuno si faceva promotore di nuove fabbriche senza che Milano intervenisse con finanziamenti. Ecco dunque crescere fabbriche in leggera anarchia senza un filo conduttore che le unisca.
A Milano, splendore di mezzi e di architetture, in provincia spesso fabbriche plu modeste. Il caso verifica della situazione si vede proprio in Legnano. Nel 1600, Legnano è un Comune abbastanza agiato; lo testimoniano le sue innumerevoli chiese (tredici) ed i suoi conventi (ben sette). Non solo, ma in essa risiede, come abbiamo visto, una delle più importanti famiglie di Lombardia; la famiglia Lampugnani. Discendenti da Odelberto Lampugnano (804) cavaliere dell'imperatore Carlo Magno (archivio storico civico Milano, Famiglie, cart. 819).
Un discendente di Odelberto Lampugnani, Joseffo (il primo importante legnanese possessore del Castello) capitano di sua maestà e cavaliere jerosolomitano, figlio di Attilio, era in quel tempo molto facoltoso e potente, tanto che lo stesso Filippo IV di Spagna il 28 febbraio del 1647 emise una grida contro di lui (A.S.C., Famiglie, cart. 820) perchè con stuolo di bravi si proteggeva dalle truppe spagnole e non pagava le gabelle per gli eserciti del re.
Proprio in una vigna di costui sorgeva una piccola cappella che sembra essere quella segnalata dallo storico milanese Bussero come presente in Legnano, ma per i fatti, ecco il racconto del prevosto Pozzo di Legnano che, nel 1650. scrive "Storia delle Chiese di Legnano" (Archivio di S. Magno Legnano).
"Fra la contrada di Legnarello et l'Hospitale di S. Erasmo vi si vede in questo tempo che io scrivo una picciol capella fatta int volto con una assai vaga effigie della B. Vergine dipinta con S. Sebastiano, et S. Rocho a lati suoi, oltre che altri santi ne muri latterali in particolare S. Fran.co, S. Joseffo, S. Carlo alla quale vi fu sempre qualche divotione come quella che è posta sopra la Strada Milanese.
Si accrebbe la divotione a questa cappella, che essendo fuori a caccia il S. Antonio Lampugnano fratello già del S. Cavaglier Joseffo sopra i cui beni è posta, et non so per quale accidente cascò da cavallo restando il piede nella staffa, et tirato per terra ivi a quella capeletta si fermò, raccomandandosi sifatto pericolo alla B. Vergine, et restando illeso riconobbe questa gratia da quella che però in memoria della gratia la fece questa capella cancellare con legna di noce, et li fece fabricar avanti un portico, et pur a nostri tempi uno che andava tutto curvo, et li andavano a basso li intestini, con la divotione a questa capella, confessa havere la sanità,. che però si è alla nova fabrica dedicato impiegandosi per quella di continuo.
L'anno 1638 a 4 del mese di Novembre fu gran concorso a Milano per la solennità di S. Carlo dovendosi riponere il S. corpo di quello Arcivesc.vo in una mirabil cassa fatta di cristallo et argerno con una solenne processione a spese del Catholico Re Filippo IV nella quale solennità fu così copioso il concorso che li portici, botteghe sopra la piazza del domo anco di notte si videro pieni, con l'occasione di questa solennità si accrebbe la divotione fermandosi molti de passeggieri a questa capella tocchi dallo spirito santo qual voleva in quel loco fosse honorato la Regina de Cieli, et doppo questa solennità e anche sempre crescendo il concorso in modo che le feste si vedevano venir molti da tutte le parti, professando molti haver havuto delle gratie.
Et una non devo tacer ... del borgo di Busto indemoniata essendo venuta alcune feste ci questa capella con sentimento di conseguir qualche gratia, il giorno de S. S. Innocenti del med. o anno 1638 fu accompagnata cola con molti stridi che mandava, et ivi stette per spatio di tre hore avanti il giorno riempiendo quel contorto di stridi alla fine cadè tramortita, et portata nella terra al fuoco non senti altri ritornando alla medema cappella all'hora, et doppo in ricognitione della gratia l'anno seguente nel mese di Aprile Giò Pietro Rontio da Gorla Maggiore pieve di Busto havea un figliolo d'età d'anni 4 in circa è questo venne il male della pietra et facendogliela cavare dal Chirurgo Molt'Albino da Peveranzo presso Carnago restò morto, et quanti erano presenti lo videro spirare, in quel ponto la madre s'invotò a questa B. Vergine. et videro in un subito il figliuolo ravivarsi, et vedendo ci rendere le gratie con portar un quadretto del successo, vennero ancoa deponere il fatto. Molti professano delle gratie quali a co nell'ottenere la facoltà di poter fabbricar la nova chiesa si sono esibiti nell'Arciv.to molti anco hanno fatte larghe elemosine, quali essendo arrivate è qualche somma fu deliberato fabricar una nova chiesa stando che la capelletta fosse troppo vicina alla strada ne si poteva ampliare .
Venne l'Ingeniero Richino, qual in materia di Chiese fu sempre in gran stima, et fatto il modello si esebì a Mons. Cesare Visconte come prefetto deputato sopra le fabriche qual aprovò quanto fu messo in carta, et esebito a S. Em.a se ne riportò ogni opportuna facoltà con un rescritto della Cancelleria del tenor seguente. Blasius Constantius I.U.D. Prothonotarius Ap.licus Emin. mi ac. Rev.mi D.D. Cesaris S.R.E. Pbri Cardinalis Montii S. Mediolanens. Eccl.ae Archiepi Vic. Glis.
Ecclesiae sub invocatione Nativitatis B. Virginis Mariae apud vias Legnarelli parochialio Legnani Med.ni Dioces. Construensitum, formam, ac dessignationem hac pictura de Architecti penso judicio, et consilio expressam, et è Per Ill.mi et Ad. Rev. D. Julio Cesare Vicecomite Prefecto Fabricarum Ecclesiasticarum recognitum, et approbatum atque instrutionibus fabric. Ecclesiasticarum rationibus congruam: Nos approbamus ad eiusdemque praescriptae omnis dessignationis typum formamque istius Ecc. ae instructionem, aedificationemque fieri, et confici his nostris concedimus. In quorum fidem ect. Datum Mediolani ex Pallatio archiepli die 15 mens. Yuli 1641.
Signatum Blasius Constantius Vic. Glis
Jo. Da.pta Pellizonus Can.s S. Stefani et Vicecancell. Archieplis. Il 21 luglio del medesimo anno 1641 in giorno di Dominica stando di già in fronto gran quantità di calce, pietre, mattoni il tutto preparato mediante la diligenza del S.r. Cavaglier sopra una vigna contigua a questa capella ove il med.o S.r dava il loco, et sito per la nova chiesa doppo il vespero essendosi di già il popolo congregato nella Prepositurale per esser la 3° Dominica giorno nel quale tutto l'anno (sic) si espone il S. S. mo Sacramento fatta dico la processione, et quello riposto subito s'inviò il Popolo, qual era numeroso con anche le schole de Disciplini verso Legnarello alla capelletta, et accostatosi il Prevosto cò, il clero al piede della croce che alcuni giorni avanti era piantata al loco per l'altar della nuova chiesa destinato ivi presso era fatta la fossa per il fondamento della nova chiesa medema, et stando preparando un tavolino coperto di tapete di seta sopra di quello si vedeva una pietra quadrata et benedetta nella solita forma del sacerdote Romano fu dal Prevosto posta nel mezo del fondamento della capella maggiore è dirimpetto dell'altare in quella maniera che si prescrive cantate le litanie al rito romano stando intornzo il numeroso popolo. Il giorno seguente si proseguirono li fondamenti alzandosi la fabrica fuori di terra all'altezza in circa de Br. 8.
Si attendeva d questa abrica, et passando un carro con matteria per servitio della med.a fabrica il 23 agosto del 1641 urtò per poco accedimento in una colonnta del portico che avanti a questa capella vi era come già dissi, et questa andando a terra li andò andò tutto il tetto sotto di questo stava unz passaggiero orando alla B. Vergine et benchè li venisse parte del med. o tetto con legnami restando intatto et illeso da tal riuna, et la lampada stessa che ardeva nel mezo del med. o portico non si ruppe sotto a tale ruina. Ricortoscendo q. to huomo la salute in simil caso della B. Vergine nel ritorno che fece dalla città venne a deponere il caso. QUesto fu un Gio. della Croce di età d'anni 31 figliuolo d'un Antonio detto Tortiolo Pontemai Dioces. di Novara, terraposta al principio della Valle d'Antigolo. L'arno seguente cioè il 1642 del mese di Aprile si ripigliò questa med. a fabrica et in 15 giorni s'alzò due pontade intorno, et fu necessario fermarsi principalmente per mò esserne pietre cotte, et in breve spatio di tempo il tutto fu in ordine come anco alcune pietre piccate che si fecero condur da Somma si per fortezza della cornice di dentrio, come per ligati nelle stesse mura, oltra legni, et chiave di ferro, quali circondano la fabrica tutta, et si ripigliò la fabrica nel mese di luglio sino al coprirla tutta riserbandosi la volta all'anno seguente. Ne sia meraviglia che in tempo si calamitosi si potesse avanzar tanto in questa fabbrica l'assistenza di questi sig.ri fu sempre sin dal principio più che ordinaria, et lemosina della legna per cuocere le pietre fu abbondante concorrendovi non solo la terra di Legnano ma anco molte altre, cossi invitati è sovenir quest'opera da RR. Curati quelle".
Come dice il Pozzo è dunque un signorotto locale miracolato a far erigere una chiesa senza il minimo interessamento di Milano. Viene il Richini? Forse, ma ecco che la costruzione, pur se ben plasmata, si trova spaesata lungo il Sempione e vicino a case, conventi, e chiese cinquecentesche che la attorniano ed il discorso architettonico urbanistico unitario tipico di tanti paesi piemontesi o meridionali barocchi qui manca del tutto. All'infuori del documento citato da padre Pozzo, non si sa molto sulle origini della chiesa. Nel testamento del cav. Joseffo (Archivio Ospedale Maggiore di Milano cart. 11) si menziona la di lui patrocinazione della chiesa, un lascito di mille lire, l'obbligo delle Messe e la volontà di essere sepolto in un angolo della chiesa ove infatti si vede una lapide al suo nome che copre una cella sotterranea, in cui sono i corpi dei Lampugnani.
Questa infatti è, al di la della narrazione favolistica secentesca, la motivazione e la vera funzione dell'edificio. Esso costituisce il mausoleo della famiglia Lampugnani, essendo stato vietato, dopo il concilio di Trento, ai privati trovare sepoltura nelle chiese (i personaggi importanti all'interno della chiesa, quelli minori fuori nel cimitero, es. piazza S. Magno). I Lampugnani non potevano più usufruire delle loro tombe sotto il pavimento di S. Magno, avevano quindi dovuto costruirsi una cappella privata, in cui trovare posto per l'eterno riposo ed affinchè assumesse un aspetto di chiesa normale avevano istituito un lascito per l'altare, mantenendovi anche un sacerdote per le messe. Sotto il pavimento della chiesa essi si feecero tumulare. (La cellula funeraria ora sigillata fu scoperchiata ventisette anni fa per il rinnovo del paviimento ma la sbadataggine degli intervenuti ha fatto in modo che non sia stato fatto un rilievo della tomba. Essa viene però descritta come semicircolare, fatta come un coro e nel sedile a gradino sono posti i feretri seduti di due signorotti armati (Joseffo e un collaterale cavaliere Tranquillo Lampugnani) nonche' quella Bianca Lampugnani e sposa al Lampugnani stesso qui sepolta con il suo abito nuziale.
Vi sono poi documenti che descrivono le successive donazioni alla chiesa e trasformazioni in oratorio fino al lascito della stessa da parte di Attilio Lampugnani, nel 1756, all'Ospedale Maggiore di Milano. Inoltre sono segnalati nell'Archivio di Stato di Milano (Fondo Religione, cart. 764) le dotazioni i bilanci, la presenza dei documenti di fondazione (non rintracciati) e l'annessione, probabilmente nel 1700 circa, di una parte posteriore adibita ad oratorio della Confraternita del SS. Sacramento, per la costruzione della quale venne demolita parte della cappella dietro la chiesa.
Nessun riferimento al Richini dunque, se non quello di una perizia calligrafica stesa dalla prof.sa Liliana Grassi circa un disegno della chiesina rintracciato in una cartella dimenticata di documenti ancora da registrare presso l'Archivio dell'Arcivescovado di Milano; pero' bisogna precisare che proprio le cartelle utili che erano presenti in A.S.C. (Localita' foresi, cart. 888) sono andate distrutte. Comunque anche le cartelle all'Archivio di Stato "746 Ingegneri camerali" riguardanti il Richini, non portano riferimenti a Legnano.
Negli elenchi sono indicate le giornate dedicate ai vari lavori lombardi del Richini e non vi è Legnano, penso per due motivi: primo, il lavoro non era importante, secondo, era fatto da un privato in lotta col potere centrale e quindi tenuto quasi nascosto.
Comunque, proprio nel 1640, F.M. Richini ricevette l'investitura ad ingegnere camerale; quindi è molto probabile il suo intervento un anno dopo in una fabbrica cosi vicina a Milano.
L'edificio oggi si presenta, in pianta, come formato da un corpo centrale quadrato, i cui spigoli sono stati troncati mediante l'inserzione di lesene racchiudenti finte porte in basso e nicchie con statue nella parte alta. Tali inserzioni vengono a costituire un ottagono con lati alternati lunghi e corti. Nelle pareti di testa e di fondo sono aperti due archi che inseriscono al corpo centrale due cappelle; una per l'organo, l'altra per l'altare. La cappella dell'organo cui si accede dalla facciata, è coperta con volta a botte e presenta nella lunetta sopra il cornicione una finestra quasi quadrata con voltino curvo che si apre in facciata. La cappella dell'altare maggiore è coperta da una crociera ribassata e nelle tre lunette si aprono 4 finestre uguali alla precedente.
Quella sopra l'altare è chiusa in seguito alla chiara aggiunta dell'oratorio. La chiesa è stata prolungata nel 1700 con un edificio a due piani, con in basso un'aula unica coperta a padiglione ed in alto con stanze per il canonico, a cui si accede mediante una scala inserita in un corpo di muro sulla sinistra della chiesa e che comprende la sacrestia, il vestibolo, il campanile ed un vano secondario. Il vano centrale della chiesa ad ottagono è coperto con una volta a crociera rialzata al centro, in cui costoloni sembrano riempiti a formare quasi otto vele; quattro grandi e quattro piccole che si riuniscono in un piano ottagono centrale anch'esso con i lati più piccoli verso gli spigoli del quadrato di pianta. Nelle lunette piane formate sui fianchi da due dei quattro archi reggenti la volta, si aprono ancora le finestre quasi quadre. Le lesene interne sono tutte in ordine Jonico.
L'imponente cornicione taglia in due l'ambiente, suggerendo un aereo distacco delle coperture. I marmi delle cornici e dell'altare sono aggiunte settecentesche.
Notevoli sono i porta lapidi alla base delle lesene fiancheggianti le quattro porte che, dalla fattura, rivelano origini secentesche.
L'esterno si presenta, tranne per la facciata completamente lisciata, in cotto, l'ottagono viene denunciato sul fianco destro ove l'aggiunta settecentesca rivela la sua entita a causa di profonde crepe che la separano nettamente dal corpo vecchio e grazie alle finestre rettangolari, col bordo non intonacato e con una cornice settecentesca, che si rivelano subito posteriori. Tutte le facciate sono scandite da lesene che le incorniciano con misurata eleganza tagliate a mezzo da un semplice cornicione di cotto che prosegue idealmente quello di facciata. La copertura è a capanna sulle due cappelle di testa e coda e sul vano centrale è ottagona con i lati corti. La chiesa si presenta sopraelevata rispetto la strada con un salto di m. 1.80 che la rende più slanciata. La facciata non indulge a preziosismi, è a due ordini: dorico e corinzio, culminata da un timpano in cui le lesene mediane proseguono.
La larghezza della facciata è maggiore di quella del corpo avanti della chiesa e quasi nasconde a chi entra la sua natura ottagona, dividendosi inoltre in tre parti come se la chiesa fosse a tre campate. Nella parte centrale inferiore è sistemato il portale fatto con una cornice sormontata da un ovale decisamente posteriore con una Madonna. Sopra il grande cornicione si apre solo la finestra del vano organo quasi quadrata, contornata da una semplicissima cornice che nella parte superiore acquista un'aggraziata linea arcuata; nelle campiture laterali sono rilevate delle cartelle con spigoli sagomati a sguscio. Sopra il complesso che presenta suIIa destra un portico a un fornice con volta a vela (è un ampliamento del portale poi spostato dalla facciata del 1600 rifatta) si erge un campanile che alla base interna acccusa una notevole vecchiaia, ma all'esterno tradisce un rimaneggiamento settecentesco ed un restauro dei primi del Novecento.
La singolarità della pianta e la menzione sul Richini mi inducono ad esaminare un altro monumento sicuramente dello stesso architetto: il S. Giuseppe (l607-30) di Milano. Sul S. Giuseppe vi è una preziosa descrizione del Torre (il Ritratto di Milano - 1674) riguardante l'aspetto e le opere di questa chiesa.
Parlare di attribuzioni è forse eccessivo, tuttavia per molti caratteri la nostra chiesa della Beata Vergine Maria si avvicina, sia pure come manifestazione artistica di tono minore, alle caratteristiche morfologiche dell'architettura Richiniana. Vediamole.
Il primo: lampante parallelo a quello piantistico o del S. Giuseppe milanese. Una delle peculiarita del barocco fu quella delle trasformazioni delle piante geometriche del Cinquecento a piante cosidette plastiche, sul tipo della ellittica. Vediamo in Piemonte le piante mosse dal Guarini, e le sue volte talvolta incredibili, a Roma il S. Carlo del Borromini, in cui ogni punto di vista fa scoprire nuovi giochi di superfici concave e convesse, o il S. Ivo, in cui alla fantasiosa stellarità della pianta corrisponde una ancor più fantastica cupola impostata su un perimetro trilobato e tricuspidato, ed un esterno scenografico e mai riposante per chi guarda grazie ai suoi continui cambiamenti di piani.
In mezzo a tanto fervore inventivo anche il Richini ebbe la sua intuizione. "Ad osservare i suoi studi si scopre una tendenza a non lasciarsi irretire dal filo di una magia senza confini. Il Richini fissa un asse attorno al quale fa ruotare il suo pensiero, tendenza ad accentuare lo scatto longitudinale e cioè allungando sentitamente la cappella lungo l'asse" (Grassi). Infatti le due chiese di Legnano e Milano presentano pianta centrale ottagona, in cui l'asse principale è stato allungato mediante una cappella d'ingresso ed una abside. Mentre però la chiesa legnanese indulge più tipo del S. Remiglio di Milano (1630) di Fabio Mangone Torre ora distrutto, quella di S. Giuseppe si avvicina allo schema del S. Giovanni alle Case Rotte, per delle cappelle radiali del vano abside. Ma se l'impianto generale non è proprio identico, quasi identici sono i lati corti dell'ottagono centrale. In entrambi i casi infatti si hanno elementi che li staccano dal corpo della chiesa. In Legnano lesene, a Milano lesene e colonne. Vi sono quattro porte nella parte inferiore di tali lati, a Legnano tre finte e una vera, in Milano quattro vere. Sopra le porte in Milano sono sistemate delle nicchie aperte in un vano scala con delle balaustre, in Legnano non essendo possibile per modestia di mezzi e proporzioni costruire i progetti si supplì con nicchie nelle quali furono sistemate quattro severe statue. In tutte e due le chiese troviamo l'ordine jonico tanto caro al Richini. Sopra i capitelli si stendono poderosi cornicioni, i cui respiri non differiscono molto se non in Legnano, per l'esser stato tornato dalle successive decorazioni. Per quanto concerne il vano organo, in entrambi i casi, le proporzioni e le soluzioni sono identiche, persino la porta d'accesso all'organo. Dietro l'organo la finestra quadrata, sopra la volta a botte. Anche il vano absidale, se si escludono le cappellette radiali in Milano, assenti a Legnano per la piccolezza della chiesa, ma segnate mediante un approfondirsi delle pareti tra le lesene, è risolto in modo uguale con una crociera di volta e tre lunette, nelle quali si aprono finestre del solito tipo.
Un terzo esempio di tale copertura si trova nel S. Carlo ad Arona, in cui però la soluzione è ingigantita e le finestre sono portate a quattro. Per il vano centrale la somiglianza non è rispettata. In Milano vi è una cupola su pennacchi, soluzione ricca ed impegnativa, già presente nell'abside del S. Carlo. In Legnano è una volta a crociera mutata in ottagono con l'inserzione di piccole vele negli spigoli. Al centro vi è una cartella pure ottagona.
Orbene, questa soluzione si trova in genere in una famosa costruzione del Richini: il palazzo di Brera, infatti in tutti gli incroci dei corridoi sono ricavati dei vani a fianco, in cui le coperture sono molto vicine a Legnano. Le finestrature sono per forma ed ubicazione molto simili nelle tre chiese menzionate, ed in Legnano, presentandosi con la cornice intonacata, annunciano una delle caratteristiche del Richini: fabbrica a mattone nudo con i fori dei ponteggi e le predette sagome intonacate. Anche la finestra in facciata cosi quasi quadrata e con il bordo superiore sagomato è elemento caro al Richini e presente anche a Milano ed Arona.
La facciata poi, alta ben raccolta nelle lesenature ascendenti, con quel suo sviare la visione ottagona, rivela intenti e gusto uguali. Anche i cornicioni ad un attento esame, rivelano essere quasi identici tranne nelle aggiunte decorative dei timpani milanesi. Sui fianchi ovviamente si torna a notare la differenza di natali delle chiese. In Milano si continuano lesene e capitelli ed i muri sono intonacati, in Legnano ci si limita a costoloni senza capitelli e ad un cornicione in cotto appena accennato, anche se il disegno allungato e gli aggetti dei volumi sono uguali. Un'ultima cosa: nel portale trascurando il sovraportale milanese con le colonne ed il timpano, si pui, notare un uguale senso delle proporzioni nelle cornici che nel caso di Legnano si avvicinano a due tipi di porta presenti nel cortile di Brera, in cui gli spigoli superiori sono stati arrotondati con soluzione nuova tipica del Barocco che avrà molta fortuna nel Settecento.
La chiesa fu sempre benvoluta dai fondatori Lampugnani, i quali la dotarono di buone opere d'arte.
Prima fra tutte la pala (trittico) d'altare dipinta con mano più cinquecentesca che barocca, ma in modo squisito da Francesco Lampugnani, legnanese. Rappresenta una Madonna con i classici S. Sebastiano e S. Rocco che riecheggiano quelli posti nella cappella maggiore di S. Magno, ad opera di B. Lanino.
Il dipinto ad affresco con cornice di gesso e ln buone condizioni. Sempre alla mano dei Lampugnani si devono le decorazioni e le figure di S. Francesco e S. Giuseppe poste sulle pareti della cappella dell'altare, che ripetono le interpretazioni di ornato tipiche di questi pittori con i colori blu e grigi già splendidamente visti nelle grottesche della cupola della Basilica maggiore di Legnano dipinte dal Gian Giacomo. Nell'aula centrale si vedono ora a destra ai lati destro e sinistro due ricche cornici ovali di marmo nero, in cui si trovavano due tele del pittore Stefano Maria Legnani detto il Legnanino ora trasportate nella cappella dell'altar maggiore della chiesa di S. Maria delle Grazie in Legnano. Esse sono di grandi dimensioni (m. 2 x 2,98) e rappresentano due scene piene di grazia e dolcezza con la nascita e l'assunzione della Madonna ed erano il vero capolavoro della chiesina. Quando vennero trasportate, ci si occupò di non lasciare il muro a nudo e venne incaricato nel 1828 il pittore legnanese Beniamino Turri perchè ne eseguisse le copie ad affresco all'interno delle cornici.
Queste copie hanno risentito della troppa umidità proveniente dal tetto ed un maldestro ritocco a tempera, nel 1950 le ha rese quasi irriconoscibili. Per contro molto più integro è il soffitto decorato a stucchi da Daniele Turri con inserite tra i putti e le lesene delle stupende scene ad affresco dipinte dal figlio di Beniamino Turri, Mosè senior. Questi affreschi unitamente a quelli deterioratissimi della chiesa delle Grazie ed ai quadri ad olio in S. Magno sono le opere più belle lasciate a Legnano da questo artista nostro cittadino.
Non mancano nella chiesina della "Madonnina" i marmi preziosi scolpiti, particolarmente cari alla cultura del 1600, tra i quali si distinguono le lapidi funerarie dei Lampugnani mirabilmente lavorate in marmo nero. Già abbiamo accennato al fatto che la chiesetta era posta lungo l'antica Strada Magna ora Sempione. Orbene, questa sua particolare ubicazione ed il tipico gusto secentesco di unire l'estetica alla funzionalità fecero si che essa venisse dotata nel suo esterno di ben tre meridiane poste rispettivamente ad est, a sud ed a sud-ovest. Queste tre meridiane erano ben visibili dalla strada sia andando che venendo da Milano ed erano studiate in modo che quella ad est recepisse le prime luci segnando le albe per poi passare l'indicazione delle ore centrali a quella grande posta a mezzogiorno, la quale a sua volta verso sera era coadiuvata dalla terza verso ovest che segnava i tramonti. La chiesina costituiva quindi un vero orologio solare con le sue mura esterne ed aiutava i viandanti nel loro cammino. Le meridiane erano tutte impostate su scenografie con stemmi, volute, paesaggi e motti latini, ma sono rimasti solo la grafia delle linee delle ore incise nell'intonaco, i colori delle scene sono spariti. Nel 1984, grazie all'intervento del Club Antares di Legnano, della Famiglia Legnanese e della contrada di S. Erasmo, esse sono state restaurate nelle loro parti tecniche di linee equinoziali, solstizii, ore, gnomoni ecc., ma si è dovuto rinunciare al recupero delle parti decorative perchè troppo compromesse.
Percorrendo il Sempione, non con l'automobile (troppo veloce), ma a piedi possiamo ancora oggi rimirare il pregevole effetto di questo "laboratorio solare" unico nel suo genere in tutto il circondario di Legnano.
Nelle precedenti note riguardanti la chiesa di S. Ambrogio e le sue secolari disavventure edilizie era emerso chiaramente come la piccola società legnanese del 1500-1600 fosse piena di iniziative e risorse. Mai paghi del decoro delle loro chiese o cappelle gli abitanti avevano non solo edificato ed abbellito S. Magno, ma anche riedificato ex novo S. Ambrogio alla fine del secolo terminando i lavori verso il 1610. Il medesimo fervore rinnovatore nell'anno 1612, venne dedicato ad una piccola cappella esistente fuori Legnano verso sud, sulla strada che porta a S. Giorgio. Lungo questa antica via che raggiungeva da più di mille anni luoghi di inumazione preromani esisteva una costruzione molto piccola risalente a prima della peste del 1575. Era di aspetto rustico e conteneva un affresco raffigurante una Madonna con il bambino ed ai lati le figure di S. Rocco e S. Sebastiano.
Nel 1582-83 già alcuni devoti si erano incaricati di costruire un piccolo oratorio a tempio che inglobava la primitiva cappellina, denominandola Nostra Signora delle Grazie, per ricordare i molteplici prodigi attribuiti all'antica Madonna. Buon ultima la guarigione di due ragazzi sordomuti, figli dei molinari vicini al castello di S. Giorgio che, durante un temporale, si erano rifugiati vicino all'affresco, il quale aveva preso a parlare con loro, dicendo di edificare un portichetto.
Evidentemente non paghi della dimensione della chiesa i Legnanesi nel 1610, ripresero a fare sottoscrizioni per modificare ed ingrandire l'edificio.
Queste due date: 1583 e 1610 corrispondono ai periodi di due grandi eventi nella storia di Legnano.
Il primo è l'anno in cui grazie alle pressioni delle famiglie nobili legnanesi ed alla valorizzazione della chiesa di S. Magno, Legnano prepara il riscatto della Prepositura che riuscirà a sottrarre nel 1584 a Parabiago. Tutta la città era quindi tesa ad erigere monumenti ed abbellirsi.
La seconda data 1610 corrisponde all'anno in cui, con il concorso dell'ing. Francesco Maria Richini a Legnano viene rigirato l'orientamento degli ingressi e facciata di S. Magno. Si costruiscono un nuovo portale e contorni marmorei delle finestre nella basilica maggiore. Si progetta l'innalzamento dell'antico campanile romanico. Si sta terminando l'ampliamento della chiesa di S. Ambrogio. Poichè l'oratorio di S. Maria delle Grazie, troppo angusto non doveva piacere, fu deliberata una costruzione più imponente, ma i disaccordi sulla scelta del luogo, ove impostare la costruzione, fecero si che, solamente nel 1611, il 4 di ottobre, si ponesse la prima pietra nel mezzo delle fondazioni del muro di fondo del coro.
Nel 1612 proseguirono i lavori con le fondazioni della cappella maggiore, del campanile e della sagrestia fino all'altezza delle cappelle laterali mentre nel 1613 vennero elevate le pareti e finiti i muri della cappella maggiore fino al cornicione. Qui cominciarono i guai; infatti nel 1614, posta in opera la volta della maggiore, questa subito crollò. Perso un poco di entusiasmo, i Legnanesi rifecero la cupola nel 1615, ma sospesero anche i lavori, facendo chiudere l'arco trionfale con un muro, quasi a formare una chiesa molto più piccola.
Nel 1616 e 1617 vennero eseguiti lavori di completamento dell'altare e si fece una porta provvisoria per dire Messa.
Fu quindi ingabbiato il muro con l'affresco venerato del piccolo oratorio preesistente ed il tutto trasportato il giorno 29 ottobre 1617 nella nuova cappella .
Il già citato prevosto Pozzo, nelle sue memorie racconta come, la notte della traslazione di questa immagine, alcuni operai, posti a guardia degli arredi interni, poichè la chiesa non era finita e sicura dai ladri, ebbero una visione di angeli venuti a genuflettersi davanti all'affresco venerato, e come questo fatto riferito il giorno dopo fosse da tutti molto discusso, ma non spiegato.
Evidentemente il racconto era stato divulgato perchè la popolazione accettasse di buon grado la distruzione della cappellina più antica e venerasse ancora l'immagine ora spostata. Si era cioè violentato l'atavico concetto di luogo sacro, posto da sempre in un certo punto dell'antica strada, e bisognava far superare alla popolazione il senso quasi feticistico di identificare un sito o un muro come evocatori di miracoli .
Inoltre bisognava rimediare al fatto che il crollo del 1614 era stato interpretato come cattivo presagio.
Dopo questa accettazione della nuova chiesa, la popolazione riprese ad edificare, finendo la sagrestia e impostando le fondazioni della navata anteriore e delle cappelle.
Nell'anno 1649 finalmente la fabbrica raggiunse il compimento e furono edificate le cappelle e la volta a botte della navata centrale. In facciata posero un semplice portico con due colonne e tutta la costruzione venne lasciata a mattoni a vista.
Da un punto di vista architettonico il santuario non rappresenta sicuramente un passo importante nella cultura del 1650. Molto più incisiva nel disegno delle masse e nelle novità spaziali sarà la chiesetta della Madonnina fatta eseguire nel 1641 dai Lampugnani.
Con ogni probabilità furono le difficoltà iniziali costruttive ed il troppo tempo impiegato per l'edificazione (dal 1612 al 1650) ad impedire alla chiesa di S. Maria delle Grazie di divenire un piccolo capolavoro come già si era dimostrato, nel 1500, la basilica di S. Magno. Mentre quest'ultima rappresenta piantisticamente un'invenzione pregevole, il santuario delle Grazie tenta di riecheggiare, con quasi quarant'anni di ritardo, la chiesa del Gesù di Roma (1568-1575). Quest'opera sorta per voler del Cardinale A. Farnese per mano prima del Vignola e poi di Gian Battista della Porta, rappresenti, un fondamentale tipo di architettura ricca, lussuosa e movimentata di quel periodo. Esuberante in ogni sua decorazione ed in ogni sovrapporsi di parti architettoniche questo edificio, tipicamente gesuitico, ottiene immediato effetto voluto sull'osservatore: la "suggestione per ricchezza".
Nella facciata coesistono in armonica costruzione, varie forme architettoniche come cappelli frontoni, volute, nicchie con statue, lesenature, finestre, che si inseriscono una nell'altra. Al contrario la pianta è molto semplice e riproduce una grande navata unica coperta con volta a botte, lungo la quale si sviluppano tra piloni massicci le nicchie delle cappelle. La parte di navata occupata dall'altare viene ricalcata ed evidenziata da una cupola inserita sopra i grandi cornicioni.
Il disegno generale è quindi molto composto e lascia alla decorazione il compito di arricchire le superfici . scomparso il transetto e lungo le pareti si allineano le cappelle pronte a divenire altari, cui le famiglie nobili potranno lasciare messe e dedicazioni o addirittura innalzare monumenti funebri.
Lo stesso schema piantistico si rivela presente nel santuario della Madonna delle Grazie a Legnano: unica navata con brevi cappelle lungo i fianchi della chiesa. Sopra l'altare una cupola, oltre l'altare ancora una breve cappella destinata a contenere il coro. Se l'impianto è uguale, non sono però al medesimo livello i materiali usati. Nella chiesa del Gesù si passa da una cappella all'altra in un continuo scandire di colonne, cornici, nicchie di marmo. Qui in Legnano i muri sono lisci ed intonacati, i cornicioni ricavati con mattoni sagomati, sono molto spartani e viene proprio a mancare la "suggestione per ricchezza" che in Roma valorizza l'ambiente della chiesa del Gesù.
Quando il nostro santuario nacque, le idee dei costruttori dovevano essere un poco confuse, e con ogni probabilità diede un contributo alla confusione anche l'architetto padre Antonio Parea di Novara. Questi inviato a Legnano dal cardinale Federico Borromeo per la scelta del iuogo ove far sorgere la chiesa, come prima soluzione propose un edificio a pianta ottagonale ricavato sezionando gli angoli di un quadrato, coperto da una grande volta a spicchi piani e disuguali sugli spigoli dell'ottagono.
Gli spicchi dovevano riunirsi in una grande lanterna ottagonale al centro della cupola. L'ingresso era ad est e nell'interno sono segnate sei grandi colonne destinate a sorreggere un imponente baldacchino. Forse per timore di accinersi ad una così complicata struttura a volta, ma anche a causa del fatto che ancora una volta la chiesa sarebbe stata troppo angusta, i Legnanesi iniziarono a costruire un edificio totalmente differente. Fu infatti impostato un semplice quadrato aperto ad est, di lato m. 9 x 9. Sui due fianchi fecero solo le fondazioni, a sinistra della sagrestia, mentre sulla destra scavarono un grande ambiente sotterraneo, con muri spessi circa m. 1,20, raggiungibile con una scala.
Questo ambiente usato come ripostiglio, accoglie le fondazioni in mattoni e sassi del campanile, che lo occupano quasi per metà. Sopra il primo quadrato che costituisce la cappella maggiore fu impostata una volta circolare in mattoni. La prima eseguita crollò. Miglior sorte ebbe la seconda. Ad un esame statico essa ancor oggi rivela un'estrema leggerezza e camminandovi sopra la si sente flettere sotto i piedi.
In questa porzione di fabbrica venne sistemato l'altare con il pezzo di muro recante l'affresco venerato.
Per il trasporto di questo dipinto i capomastri avevano costruito una struttura lignea con travi e tiranti imbullonati da passanti metallici, in grado di garantire al muro affrescato la sua integrità. L'ingabbiatura è ancora oggi visibile sul retro dell'altare.
La chiesa appena iniziata venne consacrata ed i lavori segnarono il passo. L'architetto Parea si premurò di suggerire la continuazione dei lavori in modo da creare una sorta di pianta a croce, in cui la navata centrale fosse affiancata (dopo il transetto) da due navate laterali. Mentre però l'inizio del corpo centrale era scandito da quinte di muro formanti due grandi cappelle laterali, la restante parte delle navate era senza cappelle e divisa da due colonnati.
Questo strano pasticcio era un ripiegamento del Parea, che tentava di riportare a navata centrale una chiesa, di cui i Legnanesi avevano gia tracciato le fondazioni per le cappelle laterali in modo da formare una pianta a croce greca con quattro grandi cappelle attestate su un quadro centrale. Fortunatamente sia il lavoro non troppo ben pensato dei Legnanesi che i suggerimenti dell'architetto Parea non vennero perfezionati. Anzi, nel 1649, su suggerimento dell'ing. Francesco Maria Richini il giovane, autore della chiesa della Madonnina sul Sempione, l'edificio fu risistemato, eliminando le fondazioni già gettate per le cappelle, ingrandendo lo spazio della navata centrale coperta poi con una volta a botte.
Sui lati della navata stessa il progettista sistemò tre cappelle per parte, di cui quelle al centro più grandi (m. 6,90) e coperte con volta a botte le altre (m. 4,90) Tramite piccole volte a crocera. A portare a termine i lavori fu, nel 1650, l'architetto Barca di Ghemme.
Si creò cosi un effetto sia di chiesa a navata unica con cappella ed altari allineati sui lati sia di chiesa a croce greca con il lato dell'altare aperto verso la èiù antica struttura con volta a cupola. La sensazione all'interno data dai piloni allineati riporta alla chiesa del Gesù. Anche le finestrature nelle cappelle e sopra il cornicione contribuiscono ad allungare l'immagine della chiesa. In facciata venne sistemato un portico sorretto da due colonne. Di esso non è rimasta traccia poichè, nel 1863, fu abbattuto risistemando la facciata stessa troppo aggredita dall'umido.
I Legnanesi la riedificarono nel 1893 in cotto a vista e scandita da lesenature. Vennero mantenute le cornici delle finestrature cieche che ancora richiamavano le linee suggerite dal Richini.
Questa facciata ebbe un portone rettangolare e fu chiuso quello ad arco presente sotto il portico abbattuto (se ne intravede ancora la linea di chiusura sotto gli intonaci). Nel 1936 anche la facciata in cotto era rovinata dalle nebbie e dall'umido delle marcite.
Si pensò quindi di ripristinarla in marmo travertino, seguendo le linee architettoniche di quella del 1893, coprendo gli affreschi del pittore Mosè Turri senior, ed aprendo realmente l'antico finestrone richiniano che campiva la parte superiore centrale.
In questa occasione, sopra la porta d'ingresso, venne ricreato un piccolo portico con un timpano marmoreo sorretto da due colonne, in ricordo sia di quello distrutto sia della leggenda riguardante la Madonna venerata che, parlando ai due ragazzi sordomuti li aveva esortati a chiedere al loro padre di costruire un portichetto davanti all'antica edicola.
Sempre riferendoci alle parti esterne dell'edificio, è doveroso ricordare che, nel terreno circostante la chiesa, l'anno 1894, vennero edificate due serie di cappelle, una dedicata ai misteri dolorosi, l'altra a quelli gloriosi. Le edicole tutte in muratura di mattoni e sagome cementizie con due colonne ciascuna in arenaria, furono impostate con stile secentesco. Nel riquadro centrale il pittore cremonese Bacchetta ideò degli affreschi terminati nel 1895. La grande umidità esterna tuttavia rese presto marcescenti questi intonaci affrescati tanto che, su invito di mons. Gilardelli, nel 1930, fu dato incarico al pittore Gersam Turri di dipingere nuove scene sui muri ormai bianchi.
Le vigorose scene piene di efficacia emotiva e di tecnica pittorica sono purtroppo anch'esse state aggredite dall'atmosfera poco clemente della zona e rimangono solo in parte integre ove la pioggia o le infiltrazioni nelle edicole non hanno provocato guasti.
In questo decennio la chiesa ha subito alcuni interventi risanatori che sono consistiti principalmente nell'isolamento del tetto, mediante membrane plastiche, dalle piogge e dalle infiltrazioni attraverso le tegole. Nell'ingrandimento della gronda, per protegggre maggiormente la radice dei muri, sono stati sostituiti tutti i canali e le converse con rame e piombo.
Il campanile con la cella campanaria è stato consolidato, per evitare rotture alle sospensioni delle campane. Tutto intorno all'edificio è infine stata creata una larga intercapedine, per impedire all'umidità di ascendere ed infradiciare gli intonaci esterni ed interni già troppo compromessi. Infatti anche molte delle affrescature antiche interne sono state aggredite dall'umidità.
Quando nel 1650 la chiesa fu ultimata nelle sue parti murarie, grandi zone dell'interno erano state lasciate con i muri a mattone a vista. Il livello del terreno, su cui la chiesa era stata edificata, si trovava a circa 55 cm. dal pavimento delle attuali cappelle, rialzato nel 1932. Le cappelle della navata e dell'altare maggiore erano state intonacate con calce aerea e sabbia. Questo intonaco originale è emerso al piede dei pavimenti nel 1983, quando è stato sostituito quello in cemento posato nel 1930 sopra uno strato di terra e ceneri. La sostituzione si era resa necessaria a causa delle rotture apertesi nel pavimento in cemento e perchè, lungo i muri perimetrali, il sottofondo, a contatto con le pareti, induceva umidità negli intonaci.
Eliminato il pavimento in cemento e portati via i riempimenti di terra sopra il piano antico della costruzione, è stato creato un vespaio areato appoggiato su muricci e tavelloni isolati dall'umido.
Nei cunicoli del vespaio è stato anche inserito il sistema di tubazioni del riscaldamento ad aria calda, per uniformare la temperatura ambiente e diminuire la velocità di immissione aria, ottenendo un maggior confort per i fedeli nonchè minor pericolo per le opere d'arte interne.
Il nuovo pavimento è stato realizzato con granito limbara e rosa Baveno lavorato a cesellario. La durezza del materiale garantirà una durata notevole.
Purtroppo il problema di risanamento sarà molto più arduo per le opere artistiche; infatti se è vero che si è finalmente fermata l'acqua ascendente e discendente, molto grave è lo stato attuale di sfioritura delle superfici. Abbiamo già accennato come alla nascita venissero intonacate solo le sette cappelle. Su questi intonaci non esisteva praticamente decorazione ad ecccezione della Prima cappellina a sinistra di chi entra, che era dedicata a S. Mauro. Sulle pareti erano stati fatti affreschi molto sommari con decorazioni a cornici e fiori e le immagini di S. Mauro e della Madonna. Queste pitture furono poi coperte nelle trasformazioni del 1893. Altri quadri erano appesi alle pareti e l'unico vero intervento artistico ab origine era stato quello operato sull'altar maggiore.
Il pezzo di muro che formava il supporto dell'antico affresco della Vergine con S. Rocco e S. Sebastiano (dipinto con un gusto più quattrocentesco che di fine 1500 e di autore ignoto), era stato posto al centro della parete di fondo della primitiva cappella edificata dai Legnanesi; infatti anche dalla pianta suggerita dall'architetto Parea come ingrandimento della chiesa, l'altare appare appoggiato alla parete cieca del fondo.
Il Parea, nel 1617, inviti, a costruire un coro semicircolare dietro l'altare e traccò, due aperture ai lati dell'altare, ma il suggerimento non fu seguito.
L'altare ligneo venne cosi costruito attorno alla porzione di antico muro e appoggiato alla parete di fondo. Solo nel 1894 quando, mettendosi mano a tutta la chiesa i Legnanesi decisero di edificare una cappella quadrata come coro dietro l'altare e spostare dall'ultima cappella di sinistra (vicino alla sagrestia) il prestigioso organo Carrera per sistemarlo in alto dietro l'altare, anche il muro antico, i gradini e le strutture lignee vennero rimossi e posti al centro dell'antica cappella sotto la cupola.
L'altare molto grande e con al centro l'affresco antico fu completato da due qwadri ad olio di Francesco Lampugnani legnanese, nel 1619. Le due tele raffigurano in basso l'Annunciazione ed in alto la Visitazione di Maria Vergine. Esse sono ancora ben conservate dopo l'ultimo restauro del 1930, anche se l'Annunciazione "soffre" per la protezione in cristallo che non lascia respirare la tela, e mostrano una pittura colta e decisa nel segno, marcata da forti giochi di luce e fondi scuri, tipica del gusto secentesco.
Le strutture lignee dell'altare sono in parte dipinte ed in parte dorate. Tutta la composizione studiata probabilmente dai Lampugnani nella prima metà del secolo XVII misura m. 6 di altezza per m. 3,50 di larghezza. Poggia su un basamento rettangolare arricchito da lesene e mascheroni dorati sugli angoli. Vi sono due alzate per poggiare i candelieri e le urne con le reliquie, nonchè il ripiano per le figure in argento dei santi vescovi da esporre nelle feste. Ai lati compaiono due alti angeli di fattura più tarda mentre sulla sommità sono assisi sei angioletti molto ben scolpiti. Alla sommità della soasa sono poste due figurine della Vergine e S. Elisabetta intagliate a tutto tondo. La mano felice dell'artigiano richiama immediatamente lo stile degli artisti che hanno intagliato l'antico tabernacolo di S. Magno, poi rimosso perchè nascondeva la pala del Luini, e cioè i fratelli Cojro del 1600.
Nel 1893, quando l'altare di S. Maria delle Grazie fu spostato, si arricchì anche di un nuovo tabernacolo cesellato e di un magnifico paliotto in lastra sbalzata e dorata montata su telaio ligneo di ottima fattura. La cappella tuttavia era ancora spoglia e quindi venne deciso di trasportare i due grandi quadri ovali presenti nella chiesa della Madonnina, dipinti da Stefano Maria Legnani, alloggiandoli ai lati dell'altare in grandi cornici di gesso. Al posto dei vuoti sul muro, nella chiesa della Madonnina, vennero eseguite due copie dal pittore Beniamino Turri.
Già abbiamo accennato al fatto che, sempre nel 1893, fu rimosso l'organo e posto alle spalle dell'altare. Questo pregevole strumento eseguito dal De Simoni Carrera di Legnano, nel 1884, con un notevole numero di registri, pedaliera, cinquantotto tasti, facciata a venticinque canne, nonostante l'elettrificazione dei mantici e la sostituzione di alcuni registri è ancora integro nella sua impostazione e dotato di una voce pulita.
La forma della chiesa non si presta molto alla sonorità; esistono anzi alcuni riverberi d'eco fastidiosi che una volta venivano attenuati dai capocielo, velari e paramenti di stoffa. Oggi eliminati tutti gli addobbi la voce dell'organo è più cruda.
Nel 1890 venne anche aggiunto un pulpito in legno scolpito e dorato che, pur non essendo di fattura eccelsa, era tuttavia un'opera interessante con pannelli intagliati e colonne tortili a sostegno decorate con tralci di edera.
Passava sopra la stupenda balaustra in marmo "macchia vecchia" e nero italico e si affiancava al pilastro di sinistra dell'altare.
Venne smontato e allontanato nel 1960, quando furono fatte spostare anche le balaustre per seguire le nuove disposizioni liturgiche.
Per meglio seguire la descrizione della navata interna, seguiamo l'ordine cronologico delle opere.
I dipinti più antichi sono quelli che ornano le cappelle centrali di destra e sinistra. La loro fattura risale all'inizio del 1700. Troviamo a destra la cappella di S. Antonio Abate.
Con la volta a botte ed il fondo lavorato a leggero sfondato, imitante una nicchia, essa mostra un'architettura barocca con colonnati e cornicioni in prospettiva, mentre il soffitto, dipinto a cielo, propone nuvole ed angioli che attorniano la scritta charitas.
Al centro dell'arco d'ingresso alla cappella è dipinto lo, stemma dei Cornaggia, ricca famiglia presente a Legnano già dal 1500. Essi furono evidentemente i donatori all'altare di S. Antonio.
Sopra l'altare, costruito in muratura con sagome piuttosto semplici ma affrescate ed integrate come in un gioco di rilievi reali e pittorici con la prospettiva di fondo, è posta una grande tela settecentesca di autore ignoto, rappresentante S. Antonio attorniato dagli angeli.
Sulle pareti laterali altre due tele coeve ripropongono fatti inerenti la vita del Santo.
Parimenti la cappella grande dirimpetto, sul lato sinistro, è dedicata, con il medesimo stile, alla celebrazione della figura di S. Mauro. Il santo già da molti secoli venerato in Legnano trovò subito una dedicazione in questa chiesa, nel 1650; la primitiva cappella fu tuttavia modificata nel 1700 e a lui venne dedicato uno spazio più importante. Da ricordare è la festa legata a questo protettore della salute; il giorno 15 gennaio i Legnanesi antichi facevano una piccola festa e vendevano davanti alla chiesa i "firuni" di castagne conservate lesse e asciugate nel camino.
Si doveva in quel giorno anche mangiare la polenta accomodata per preservarsi dai mali di stomaco.
Molto significativo è il ritrovamento fatto ultimamamente nel grande armadio in legno intagliato, posto nella sagrestia nel 1600. Questa notevole opera di artigianato, datata e firmata, presenta ben dodici scomparti segreti (cassetti o doppi fondi o ante nascoste a prova di ladro). In uno di questi, nel 1981, è stato rinvenuto un pregevole crocifisso d'argento donato dai Cornaggia alla chiesa, con tanto di pergamena di dedica e un certo numero di incisioni con l'immagine di S. Mauro, che venivano vendute nel 1700 ai fedeli .
Come nella cappella di S. Antonio anche in questa ai lati vi sono due grandi tele, che qui rappresentano scene della vita di S. Mauro.
Le cornici sono attorniate da grandi decorazioni architettoniche ad affresco.
Tutte queste decorazioni ricordano, come stile, la mano dei pittori Bellotti di Busto Arsizio che non solo abbiamo visto presenti in S. Ambrogio (1740), ma sono presenti con un magnifico quadro più tardo di Biagio Bellotti (1790) anche in questa chiesa.
Questo quadro raffigurante S. Francesco Saverio è posto nella prima cappella omonima, a destra di chi entra. La decorazione a stucchi e affreschi attualmente molto rovinata, a causa del tetto marcescente, venne eseguita dai pittori Turri nel 1893; più precisamente le pareti ad affresco su encausto sono di Mosè Turri senior, mentre gli stucchi sono di Elia Turri. La decorazione a frutti e fiori è invece di Daniele Turri. Molto bello è l'altare marmoreo (1700) della cappella mentre più moderna sembra la balaustra scolpita a colonne quadrate.
L'effetto generale della cappella era estremamente ricco e prezioso nella minuziosità dei suoi parti.
cOlari. Esso faceva riscontro con l'estrema ricchezza ed eleganza della cappellina di fronte (prima entrando a sinistra). Eseguita anche questa nel 1893 dai fratelli Turri, è forse più completa e preziosa, nel testimoniare l'arte di questa famiglia di pittori legnanesi.
E' stata dedicata a S. Anna e venne donata dalla famiglia Lombardi ritratta nel quadro di destra con S. Anna, che li presenta alla Vergine. Nel quadro di sinistra vi è la Gloria di S. Anna, al centro un grande quadro con la Vergine, il bambino S. Anna ed altri Santi adoranti. Tutte le tele sono sempre di Mosè Turri. Una particolare menzione va al soffitto di questa cappellina che, lavorato a stucchi ed encausti (ricorda molto quello eseguito dagli stessi fratelli Turri sul soffitto della Madonnina in corso Sempione), venne lodato e riprodotto sulle riviste ed i giornali del tempo. Anche qui l'acqua ha fatto notevoli disastri e sarà arduo il lavoro di restauro.
Quando, nel 1893, vennero appaltati i lavori di decorazione delle volte della chiesa l'opera dei pittori Turri, autori delle due suaccennate cappelle, venne giudicata eccessivamente cara.
L'incarico generale fu quindi affidato al pittore Bacchetta che eseguì una decorazione molto simile a quella dei bozzetti a colori presentati dai Turri, ma molto più "larga" nelle campiture e nel disegno. Il pittore Bacchetta padre, si dedicò alla cupola con l'Ascensione di M. Vergine e a tutta la volta scandita da tre scene centrali e quattro lunette, sopra le finestre, con gli Evangelisti.
Sulla parete di fondo l'artista dipinse due angeli in bianco e nero, su fondo grigio. In generale il Bacchetta si attenne ai toni grigi ed alle cornici settecentesche delle due cappelle laterali.
Fece però ricoprire tutti gli antichi cornicioni in cotto con applicazioni di gesso decorate ad ovuli e rosette. Scomparve così una delle caratteristiche principali della chiesa secentesca, il mattone lavorato.
L'effetto generale è comunque gradevole, anche se i toni molto grigi conferiscono alla chiesa un aspetto freddo.
Le pitture sia della volta che della cupola sono ben conservate a parte due angoli, in cui l'umidità si è concentrata dal tetto.
Nel 1910, il figlio del pittore Bacchetta riprese alcuni lavori del padre deteriorati ed affresci, nell'occasione le due cappelle vicino alla sagrestia e vicino al campanile.
Quest'ultima e' dedicata a S. Gaetano e presenta notevoli danni.
Rimane salva la sola pala d'altare con S. Gaetano che riceve dalla Vergine il Bambino. Anche le lesene dipinte a putti su fondo dorato sono integre, ma un notevole strato di sporco impedisce di apprezzare la pregevole fattura.
La cappella a fianco della sagrestia è dedicata inveece a S. Giovanni Bosco. Sempre decorata dal Bacchetta figlio, presenta notevoli danni che ne impediscono una buona lettura. In essa aveva trovato posto, fino al 1893, l'organo; poichè questo era sacrificato ed impediva l'accesso alla sagrestia, ne fu decisa la rimozione.
Molte altre cose potrebbero essere ricordate come le acquasantiere a conchiglia del 1600, il pavimento a tarsia marmorea dell'altare, il lavello secentesco nella sagrestia, gli scanni arcivescovili intagliati dell'altar maggiore, la via crucis dipinta da Beniamino Turri, i paliotti dipinti dal pittore Darvino Furrer, i candelabri e le teche d'argento, ma lo spazio a disposizione è troppo breve.
Resta da accennare alla casa canonicale posizionata sul fianco destro della chiesa, molto semplice e spartana, posta su due piani, accoglie sia la casa del sacerdote che quella del sagrestano.
Un passaggio secentesco, a fianco del campanile, dava accesso diretto alla chiesa dalle stanze del pianterreno. Nel passaggio esisteva anche il pozzo per l'acqua. Una tradizione secolare voleva che per il Natale, nella nicchia del pozzo, si preparasse il presepe con le statuine colorate. Oggi tutto questo è scomparso come pure sono cessate le antiche processioni e le solenni celebrazioni alle cappelle del rosario che vedevano centinaia e centinaia di Legnanesi radunarsi attorno al loro santuario. A questi altari e muri una volta ricoperti da quadri ex voto e decorazioni per grazie ricevute si sono rivolte generazioni e generazioni di Legnanesi con il cuore angosciato e sulle labbra una invocazione d'aiuto. Il mondo moderno passò veloce dimentico del silenzio e della pace che il santuario ha sempre serbato per i suoi fedeli.