Legnano story - note personali
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Il Cinquecento
 
Alle soglie dell'eta moderna la dinastia degli Sforza si avvio' alla decadenza. Il 10 aprile 1500 Ludovico Maria Sforza, detto il Moro, fu deposto e, in sua vece, il cardinale d'Amboise entro' in Milano come governatore, in nome di Luigi XII, re di Francia. In questo contesto storico cosi' burrascoso, che vide alternarsi alle redini dello Stato di Milano, di volta in volta, gli Sforza e i Francesi, si inserisce il ricordo di una testimonianza a carattere religioso, di importanza particolare per la storia di Legnano: la costruzione della chiesa di S. Magno, iniziata, nel 1504, sulle vestigia di una antica chiesa, come testimoniato dalla nomina della precedente cappellania dedicata a S. Giovanni Battista e agli Apostoli Giacomo e Filippo, resasi vacante e della quale era stato investito Gabriele Fusano col giuspatronato di casa Vismara, nel 1473. (Archivio Storico Civico di Milano e d'ora in poi A.S.C.M. Fondo Belgioso, cart. 195, pergamena 23 agosto 1473).
Questo inizio di secolo favorevole e propiziatorio, sul piano religioso, per il borgo di Legnano, fu pero' ben presto sconvolto dal diffondersi di una spessa coltre di nuvole che ne rabbuio' l'orizzonte. Mentre Luigi XII ondeggiava nell'esame di alcune soluzioni possibili nella guerra di predominio in Italia, secondo il Guicciardini (Storia d'Italia, Milano 1975, X, 8), gli Svizzeri, stimolati dal pontefice Giulio II e, spinti dal cardinale Schiner, cominciarono a scendere in Lombardia, non appena ebbero riordinato l'esercito e senza attendere la stagione propizia. Cosi', mentre a Milano si diffondeva una grande paura, essi raggiunsero, l'ultimo giorno del novembre 1511 Varese e da li', senza incontrare difficolta', toccarono Gallarate, la saccheggiarono e la bruciarono, secondo una lettera indirizzata dal Bibbiena al cardinale Medici (Moncallero, Epistolario di Bernardo Dovizi de Bibbiena, vol. I, Firenze 1953, pp. 416 -422), mentre Gastone di Foix, con Gian Giacomo e Teodoro Trivulzio, accampatosi a Legnano, non attese gli Svizzeri, ma preferi' sgomberare la nostra localita' e ripiegare su Milano, abbandonandola alla discrezione degli avversari. E' comprensibile quale trattamento sia stato riservato al borgo dalle soldatesche, anche se e' prudente non ricamare eccessivamente le informazioni fornite in proposito dal Guicciardini antipapalista o dal Prato (Storia diMilano in continuazione del Corio dall'anno 1499 al 1519 in Archivio Storico Italiano, vol. III, Firenze 1842), i quali descrissero la parte truce degli avvenimenti che interessarono la Lombardia, dal 1490 al 1530, ma non furono certamente a completa conoscenza di tutta la documentazione allora seppellita negli archivi d'oltralpe e in grado di far luce sull'effettiva responsabilita' dello Schiner, come si dedusse piu' tardi, nella scia degli studi effettuati, nel 1898, da Achille Ratti sulle lettere papali e da A. Buchi, nel 1925, sul cardinale in questione. Meglio attendere la menzione allora di Alberto Lampugnani, tesoriere della Fabbrica di S. Magno e uomo degno di reputazione, sull'incendio scoppiato nel borgo (Bettinelli, Legnano nella storia, Milano 1900, p. 17).
Le preoccupazioni per la popolazione di Legnano non erano dunque terminate, perche' essa dovette prima sopportare nuovi oneri finanziari imposti da Massimiliano Sforza pressato dall'avidita' degli Svizzeri e poi il condizionamento determinato dal ritorno dei Francesi di Francesco I. Mentre le redini del nuovo governo erano rette da luogotenenti vari vale la pena di accennare a due fatti, il primo dei quali interesse l'opinione pubblica, il secondo incise profondamente sul tessuto della Popolazione. Nel 1517 la superstizione tra il popolo era cosi' grande che, essendo in quell'anno caduta una grossa tempesta, si ritenne di attribuirne la causa all'azione delle maliarde.
Piu' drammatica fu invece l'influenza prodotta dalla peste del 1529, che si riprodusse con violenza nel 1540. Per la verita' non e' possibile stabilire con esattezza quante vittime tra la popolazione abbia mietuto la falce della peste, il cui contagio aveva gia intaccato la gente, a piu' riprese, negli anni precedenti.
Se i vuoti prodotti furono notevoli, certamente si puo' supporre che le perdite subite dai centri agricoli fossero, in proporzione, inferiori a quelle della citta', nonostante gli elementi contrastanti in nostro possesso. Servono, per la conoscenza, i dati offerti dagli archivi che rappresentano le fonti piu' ricche e le fondamenta piu' solide della realta' storica. Senza di loro un popolo non avrebbe volto e identita', anche se e' pur sempre opportuno accostardi ad essi con un occhio smaliziato, per un rigoroso controllo della docuementazione .
Pertanto, per avere un'idea il piu' vicino al vero circa la composizione e la consistenza della popolazione legnanese, nella prima meta' del 1500 bisogna risalire al censimento iniziato nel Ducato milanese da Francesco II e integrato da Carlo V, dopo che l'imperatore spagnolo prese le redini dello Stato milanese, alla morte dello Sforza. L'accertamento e' importante perche' dovrebbe ragguagliarci sul numero delle famiglie allora esistenti, sulle classi sociali, sulle principali colture in atto, sulla distribuzione della proprieta', anche se i risultati globali offerti risultano incompleti. Dall'esame dei fondi Censo p.a. e Gride dell'Archivio di Stato di Milano risulta che, al 15 settembre 1530, i gentilomini piu' rappresentativi residenti a Legnano, i quali non pagavano carichi a Milano erano i Lampugnani abitanti per lo piu' a Legnarello, tra i quali primeggiavano Gaspare Antonio dito el gineto; Barbara; Geronimo, rettore de la giesa magior in Legnano; Francesco, capelano in la suprascritta giesa, il magistro da schola con dui donzenanti forestieri et uno da Milano et altro da Gorla minor.
Di rilievo era pure la posizione dei Vismara, dei Visconti, dei Crivelli, dei Maino, dei Caimi, del notaio Francesco Rotta. Tra i gentilomini, che pagavano i carichi a Milano e abitavano a Legnano, prevaleva ancora il magnifico m.Jo. Bernardo da Lampugnano, con la consorte e il fattore; gli eredi di Geronimo Aliprandi, gli eredi Solari, Iacopo Corio, Francesco Maria Casati. Ne' puo' essere dimenticato il riferimento a Ferrando da Lampugnano che abita in el castello di santo Giorgio (A.S.M., Censo p.a., cart. 13 a). Per quanto concerne gli accennati comparti d'estimo, si puo' dire che fossero importanti per il raggiungimento delle prove di nobilta' originaria, da produre al momento della comparitio richiesta qualche secolo piu' tardi, all'epoca dell'imperatrice Maria Teresa, anche se la valutazione dei nobiles non puo' far dimenticare quella altrettanto importante dei cives abitanti nel territorio sottomesso alla citta'.
E' ai primi comunque che sono legate le vicende del castello, nel periodo preso in esame.
CENSIMENTO DELLA POPOLAZIONE A META' SECOLO.
Per una verifica dello status della popolazione giova il censimento ordinato dall'autorita' ed attuato verso il principio del 1549. La situazione di Legnano era allora controllata in buona parte dalle famiglie gia prese in esame, accanto alle quali E' da ricordare pero', per la funzione importante esercitata e di solito non citata tra le fonti piu'l conosciute, quella di Francesco Girami, per una conoscenza approfondita della quale rimandiamo al lavoro di E. Gianazza (Momenti di un incontro: Banco Lariano 1983 - Como 1983).
I Girami di cui sopra, discendenti da antica e nobile famiglia, avevano acquistato, nel 1538, dall' imperatore spagnolo, tra varie giurisdizioni, oltre ai feudi di Brebbia e della Fraccia Superiore anche diversi censi del sale, tra cui quello di Legnano: Communitas et homines Burgi Legnani ducatus Mediolani pro stariis centum quadraginta quinque census salis (A.S.M., Feudi Camerali p.a. , cart. 25l). La comunita' di Legnano pagava dunque a Francesco Girami, Signore di Barbaiana e di numerose altre terre, il censo del sale, che era obbligata ad acquistare, secondo lo strumento rogato da Giuliano Pessina il 14 ottobre 1538, anche se in seguito i figli eredi del Girami dichiararono che egli agiva come procuratore del conte Vitaliano Visconti Borromeo.
Dall'osservazione del materiale trattato ai fini del censimento e dal confronto con i dati relativi alla popolazione di alcune pievi, si ricava tuttavia la sensazione che il quadro offerto sia frammentario e lacunoso, tanto piu' che per alcune localita' si registra una vera e propria decimazione della popolazione, giustificata parzialmente dal dilagare della peste, ma non nella misura eclatante riportata.
Omettendo  dunque i tentativi per arrivare a un calcolo esatto della popolazione, in base ai dati offerti, si dovrebbe ammettere che gli abitanti di Legnano ammontassero, nel 1545, a 576 bocche con 184 focolari, con una media del 3,13%, secondo la verifica della cartella 13 b (A.S.M., Censo p.a.), in contrasto non solo con quanto affermato dal Larsimon Pergameni (Censimenti milanesi di Carlo V, in Archivio Storico Lombardo 1949, pp. 168-209), che parla di 608 bocche e 189 famiglie, ma pure coi dati registrati circa cinquant'anni dopo.
Se altri elementi interessanti sono forniti dallo sgualcito quinternetto conservato in archivio, questi riguardano i principali prodotti coltivati a Legnano:
miglio, frumento, melgone, fagioli, panico e uva; ma anche la figliolanza delle famiglie, che non era cosi' numerosa come si potrebbe pensare, secondo una diceria corrente. Infatti sui "focolari" presi in considerazione, solo quello di Ambrogio Bilizono vantava dieci figli; nove ne allevava Giovanni Tadino, mentre altri tre gruppi crescevano otto rampolli. Ottantotto famiglie e quindi la maggioranza, avevano due figli ciascuna ed una non ne allevava nessuno. Inoltre poiche' le indicazioni offerte dai commissari proposti al censimento riguardavano solo le "bocche" e le biade, mancavano indicazioni relative all'azione svolta dai singoli. Naturalmente, trattandosi di un comune rurale, l'attivita' dominante consisteva nella lavorazione dei campi, i cui appezzamenti variavano secondo le condizioni del coltivatore e del cui perticato possiamo farci un'idea approssimativa, poiche' mancano le indicazioni relative ai nobili, in base agli indici catastali del 1558 (A.S.C.M., Localita' foresi, cart. 35). Da questi si deduce che l'estensione dei terreni lavorati di Legnano con Legnarello, fatta salva l'eccezione indicata, ammontava a pt. 24020 circa, alle quali bisogna aggiungere circa pt. 2482 possedute dagli Enti religiosi, con le monache di S. Chiara in testa, proprietarie di pt. 574.
In tale ambito, se i dati a nostra disposizione sono incerti, pur tenendo presente la precarieta' di vita della popolazione rurale, la piu' facile ad essere coartata dalla nobilta' vanitosa dei suoi privilegi, non si far meno di sottolineare col Sella (L'economia barda sotto la dominazione spagnola, Bologna 1982, p. 181 e sgg.) che la campagna lombarda, Legnano compresa, conservo' una discreta carica di attivita', grazie al mantenimento di pratiche colturali, in fase di evoluzione e alla relativa subordinazione alle corporazioni cittadine. Le colture cerealicole, la vite e il gelso offrirono la maggior possibilita' di impiego ai contadini, i quali, con il tradizionale attaccamento alla terra, non esitarono ad affrontare lavori massacranti per intensificare la produzione.
Il risultato fu un'economia sommersa, che consenti' di rimediare agli ostacoli delle requisizioni e delle imposizioni fiscali, anche se non e' facile dipingere un quadro chiaro della situazione allora esistente in Legnano, perche' sono disponibili solo scampoli di informazioni inadeguate per avere una visione ampia della realta'. Inoltre paradossalmente fu proprio il fisco ad incentivare l'impegno dei contadini. Dal momento che esso si basava sulla stima del perticato colpito, indipendentemente dalla destinazione a coltura o dal rendimento della stessa, l'agricoltore fu indotto a trarre il maggior reddito possibile. Infatti una delle preoccupazioni maggiori delle autorita' spagnole, austriache e francesi dominanti nel nostro paese fu sempre quella di accertare, per ragioni fiscali l'esistenza dei focolari nelle singole localita'.
L'enumerazione dei capi famiglia fu infatti un elemento fondamentale degli estimi per la distribuzione del carico d'imposta, che aveva come base il ceppo famigliare, alla cui unita' coltivatrice imponeva il pagamento del tributo, generalmente riparrito in ragione di una certa somma di denaro.
Da qui la necessita' di avere indicazioni sulla strutturazione della popolazione di Legnano distribuitain nove Comuni: Otto dei censiti in luogo, ed uno chiamato comunetto, per quelli che non avevano nome distinto, conforme al maggior censimento; comune dominante era il maggiormente censito, comune Vismara, comune delle Monache, comune di Camillo Prata, comune Visconti, comune Morosinetto e consorti e ilComunetto. Tali indicazioni fornite dal Bettinelli (Op. cit., p. 38 e sgg.) e derivate dal Pirovano, ci consentono inoltre di sapere che ognuno degli enti sopraccennati era rappresentato dai proprietari piu' in vista, i quali concorrevano alla nomina di un Sindaco che era coadiuvato da due deputati e da un cursore nella reggenza di ogni Comune.
Per avere pero', elementi piu' sicuri sulla reale consistenza della popolazione legnanese bisogna risalire all'epoca di S. Carlo Borromeo e successivamente al censimento del 1594.
 
Nella seconda meta' del 1500, S. Carlo fu pIU' di una volta a Legnano. Stando al racconto del prevosto Pozzi, sembra che nel corso di uno di questi rapidi soggiorni, mentre si attendeva alla riedificazione della chiesa di S. Ambrogio, sotto una volta sia stato trovato, depostO nel tronco di un albero, il cadavere dell'arcivescovo Leone da Perego, che, profugo da Milano sconvolta dalle lotte di predominio sorte tra i nobili, si rifugio' a Legnano, dove mori', secondo Tristano Calco, nel 1257; secondo Galvano Fiamma nel 1263 e dove fu sepolto. Sempre secondo il racconto del cronista, all'indomani del ritrovamento, il corpo di Leone da Perego spari'. Si diffuse quindi una voce popolare, secondo la quale S. Carlo Borromeo, riconosciuto il cadavere, l'avrebbe fatto sparire, per dargli piu' adeguata sepoltura, ma anche per evitare gli eccessi di un certo culto tributato alla sua tomba.
Si verifico' praticamente una situazione analoga a quella, in cui fu protagonista S. Nico o Nicone, a Besozzo, nel 1567.
Carlo Borromeo, nel corso di una visita pastorale li' effettuata, saputo dove si conservavano le spoglie del santo eremita, fece fare uno scavo, per riportare alla luce i resti e dare loro una sepoltura piu' adeguata sotto l'altare maggiore deIIa chiesa, da cui furono traslati, nel 1685, in un'altra restaurata ed entro in un'urna piu' ricca.
La tradizione sviluppata attorno al corpo di Leone da Perego ha favorito la formulazione di illazioni da parte degli studiosi piu' o meno accreditati, tramandata fino all'epoca moderna. Pertanto, per fare cessare le varie dicerie ricorrenti intorno alla salma di Leone da Perego, nel 1933, il cardinale Schuster commise il compito di effettuare indagini approfondite a una commissione costituita dai mons. Galli, Saba e Castiglioni. Il risultato emerso dai loro studi garanti che Leone da Perego, alla sua morte era stato sepolto, senza grandi onori, nella chiesa di S. Ambrogio. Da qui la salma ritrovata prima del 1566, e quindi anteriormente all'intervento del cardinale Borromeo, fu trasportata nella nuova basilica di S. Magno. Il trasferimento del corpo non si poteva congiungere al ripristino totale dell'edificio sacro a S.Ambrogio, avvenuto dopo il 1592. Si doveva quindi dedurre che l'ipotetica sottrazione attribuita a S.Carlo era solo un parto della fantasia di alcuni scrittori e che la salma era da ritenersi riposta in un luogo sconosciuto della chiesa di S. Magno.
 
A seguito della Visita pastorale effettuata a Parabiago l'8 ottobre 1583, (Archivio Spirituale Diocesi di Milano, ed ora in pi A.S.D.M.. Visite Pastorali, Sez. X, Vol. V), grazie alle facolta' concesse dal Concilio di Trento, della cui legislazione fu scrupoloso esecutorel, in virtu' anche dell'autorizzazione conferitagli dal papa Gregorio XIII, con Brevi del 28 giugno, 11 luglio e 4 novembre 1573, S. Carlo Borromeo, il 7 agosto 1584, decise per la soppressione della Prepositurale di Parabiago e per il suo trasferimento a Legnano. Le ragione del mutamento furono varie. Benche' a Parabiago esistessero cinque canonici dotati di prebenda: don Antonio Mozzoni, don Ottavio Ermano, don Giovanni Battista Pusterla, don Cipriano Tarillo, don Briosco, nessuno di loro risiedeva nel paese assistito dal solo prevosto. D'altra parte la Prepositurale non aveva case sufficienti ad ospitare un adeguato numero di canonici ne' esse si potevano costruire per l'esiguita' dei redditi disponibili, insufficienti ad assicurare una dignitosa sopravvivenza.
A distanza di tre miglia da Parabiago vi e' pero' Legnano, giudicato un borgo satis insigne, con numerosa popolazione, per di piu' dotato della chiesa di S. Magno considerata magnifice speciosa per l'ampiezza della costruzione e la ricchezza degli ornamenti, nonche' fornita di buoni redditi. A cio'si aggiunga la presenza, in Legnano, di numerose cappellanie sia titolari che mercenarie, i cui rispettivi patroni non chiedevano di meglio che la trasformazione in canonicati prebendati. Pertanto il cardinale Borromeo divise, separo'e smembro'i redditi provenienti ai cinque canonici, soppresse tre canonicati e in particolare quelli cui spettava il diritto di raccogliere le decime, costituendo per loro un beneficio coadiutorale.
La chiesa dei SS. Gervaso e Protaso di Parabiago fu costituita in nuova parrocchia assistita oltre che dal parroco anche da un coadiutore, con annessa prebenda scholasticaria e l'onere di istruire almeno cento chierici e adolescenti poveri. Il coadiutore fu alloggiato nella vecchia casa vicino alla chiesa, mentre il curato si trasferi' in quella canonicale, la cui costruzione era iniziata da poco. Percio' la difficolta' di trovare nuove case per l'abitazione dei canonici, unita alla preoccupazione di non avere preti residenti sul posto e che lavorassero per il bene delle anime, indusse l'arcivescovo di Milano a trasportare la Prepositurale da Parabiago a Legnano, in analogia a quanto fatto con Brebbia, con Castelseprio, localita' dalle quali la pieve fu trasferita rispettivamente a Besozzo e a Carnago, cosi' come Busto Arsizio, staccata da Olgiate Olona, divenne capo pieve il 4 aprile 1583. Effettuato il trasferimento a Legnano, fu inserito il chiericato di S. Martino, cioe' una specie di borsa di studio esistente nel territorio e vacante per la morte del rev. Matteo Mascaroni, con relative pertinenze e redditi ammontanti a L. 300. I due canonicati gla esistenti presso la chiesa S. Magno furono trasformati in coadiutorali, di cui uno presso la stessa, con un beneficio di L. 330 annue, l'altro presso S. Maria, nella contrada di Legnarello, in modo da soddisfare le esigenze spirituali degli abitanti spesso impossibilitati ad accedere alle sacre funzioni di Legnano, a causa delle inondazioni del fiume Olona. Il canonicato gia' del rev. Ermano fu trasformato in teologale, con l'assegnazione dei beni della chiesa di S. Lorenzo dipendente dalla Cura di Parabiago, piu' oneri ed onori, derivanti da testamento di Agostino Lampugnani .
Un quarto canonicato, gia' del sac. Tarillo, fu congiunto alla cappellania di S. Giovanni Battista esistente nella Prepositurale di Legnano, con un beneficio di L. 300 annue e l'onere di celebrare cinque messe alla settimana, in onore della famiglia Vismara, sotto il cui patronato fu messo.
di quello che si trovava nella chiesa di S. Ambrogio, a Milano, con annesso beneficio e obbligo di celebrare una Messa feriale settimanale.
Naturalmente la traslazione suscito' un profondo senso di orgoglio nella popolazione di Legnano, ma di grande risentimento in quella di Parabiago, che si senti' colpita, per non dire spogliata di dignita' colla depauperazione del prevosto. Da qui la protesta elevata e sostenuta anche dopo la morte di S. Carlo Borromeo, perche' la localita' fosse reintegrata nelle antiche prerogative, ripristinate solo dopo tre secoli, per opera del cardinale Carlo G. Gaysruck, con decreto del 12 luglio 1845 (Archivio parrocchiale di Parabiago, Beneficio coadiutorale, cart . 1 e A.S.D.M., Visite pastorali, Sez. X, vol. XVIII).
Per quanto riguarda poi la trasmissione delle prerogative di capo pieve da Parabiago a Legnano, si deve tenere presente che cio' non comporti, una acquisizione analoga da parte della nostra citta' sul piano civile. Legnano infatti continuo' a far parte come circoscrizione amministrativa della pieve di Olgiate Olona, esistente ab antiquissimo, anche se appare fuori misura farne risalire l'origine a epoca anteriore al sec. VII, come accenna il Bondioli (Storia di Busto Arsiaio, vol. I, Varese MCMXXXVII, pp. 31-33). Meglio risalire col Giulini (Memorie della citta' e campagna di Milano, Milano 1857, vol. VII, p. 307) al sec. XII, per la pieve di Olgiate Olona, originariamente costituita dalla Comunita' in oggetto piu' quelle di Cislago, Gorla Maggiore, Gorla Minore, Castenate,' Fagnano, Cairate, Marnate, Legnano, Legnarello, per non parlare dell'aggregazione successiva di Cascina Masina, Castellanza, Nizzolina, Prospiano, Rescalda, Rescaldina con Ravello, Sacconago con la Cascina Borghetto, Solbiate Olona, ancora inserita, al 10 giugno 1757, secondo il prospetto del compartimento territoriale di Milano.
L''appartenenza di Legnano alla pieve di Olgiate si spiega con la netta separazione tra affari temporali (in temporalibus) e affari spirituali (in spiritualibus) voluta dall'autorita' civile e con la presenza della Cancelleria, probabilmente fin dall'epoca dei Visconti, ad Olgiate Olona.
Qui infatti risiedeva il cancelliere Annibale Mazza trasferito, con una retribuzione annua di L. 2000, alla nuova Cancelleria istituita a Legnano, con Editto governativo de11'8 marzo 1785, dall'imperatore Giuseppe II, il quale si reco' in visita alla nostra citta' nel 1784 e volle gratificarla con un'onoranza particolare, anche se nei bilanci del 1794  Legnano era indicata come ancora appartenente alla pieve di Olgiate Olona, distretto XXX (A.S.M., Censo p.a., cart. 1 329) .
 
Alla fine del 1500 un censimento di carattere religioso della popolazione di Legnano fu steso dal prevosto G.B. Specio, per conto dell'autorita' arcivescovile. Redatto, nel 1594, su 85 pagine e conservato originariamente nell'archivio della Curia milanese (A.S.D.M., Pieve di Legnano, Sez. X, vol. VI), esso indicava a fianco di ogni nominativo se era stato battezzato, cresimato, comunicato. Il documento illustrato dal Sutermeister (Memorie ecc., Legnano 1959, n. 17) e dallo Strobino (Il primo censimento demografico di Legnano, 1 marzo 1594, in Legnano, 1956) risulta importante non solo dal punto di vista religioso, ma anche statistico, per l'abbondanza dei dati forniti, ai fini della classazione della popolazione, sotto il profilo fiscale, specie quando si trattava di nobili che, avendo proprieta' dislocate a Legnano, per esse dovevano pagare le imposte al "referendario" locale, salvo casi di esenzione fiscale. Le contrade costituenti il borgo, sia pure senza corrispondenza a divisioni amministrative erano:
 
Gaminella                        7 case
Galvagni                        11 case
Mugia'                          45 case
Contrada Vismara                 9 case
Osteria Grande                   8 case
Ambrosini                       11 case
Pozzo Vagetto                   25 case
Sopra la Piazza                 52 case
Legnarello                      41 case
Casato                           4 case
Cascina del del Mino             6 case
Canascia                         2 case
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Totale                         221 case
 
Mancano dal computo le contrade Ponzella, Mazzafame, S. Bernardino. Le case distinte nelle categorie da nobili, pisonanti, massari, molinari, erano per lo piu' abitate da famiglie che avevano questi cognomi ricorrenti con frequenza: Bollini, Borsani, Caimi, Cavalieri, Crespi, Galli, Lampugnani, Lattuada, Maestri, Mantegazza, Masanzana, Oldrini, Piantanida, Salmoiraghi, Vismara.
Secondo i calcoli effettuati dall'ing. Strobino (Op. cit.), la popolazione era costituita da 2368 persone, ma tenendo conto della mancata indicazione degli abitanti dislocati nei tre quartieri non inclusi nel censimento, nonche' del clero,si puo' supporre che si aggirasse intorno a 2500 anime, che diventeranno 2948 nel 1620 e si manterranno su questa cifra per parecchi anni. Le famiglie assommavano invece a 470.
Il maggior addensamento si registrava nelle case piu' umili dei pigionanti e dei massari, il minore in quelle dei nobili, che vivevano in condizioni migliori e disponevano di spaziosi locali ricchi di fregi artistici, di ampi camini e decorosi affreschi.
Ogni famiglia era costituita in media da cinque elementi, tra i quali potevano rientrare pero', anche gli estranei come i domestici, in netto contrasto con la teoria dei nuclei famigliari numerosi del passato e in probabile diminuzione a causa delle perdite provocate dalla peste del 1576, in un borgo dal prevalente carattere agricolo, statico nella sua conformazione sociale avviato all'esplosione demografica solo parallelermente allo sviluppo industriale in atto all'inizio del sec. XX, allorche', con censimento del 1901, s accertera' una popolazione di 18.285 abitanti.
L'eta' media calcolata dall'ing. Strobino era di anni ; 5, 27 nel 1594, salita a 32,50 nel 1951, col miglioramento delle condizioni igieniche.
 
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