Dal Medioevo al rinascimento
Il presente discorso, piu' che costituire un approdo alla storia rinascimentale o cautelarsi dietro la neutra indicazione di Trecento o Quattrocento, preferisce centrare I'attenzione sul periodo che meglio va sotto I'etichetta di Basso Medioevo. Lo scopo non e' quello presuntuoso di scorporare un contributo di storia locale, ma di trarre da un inestricabile groviglio di istituzioni politiche fornite di capacita' giurisdizionale ormai incrinate nel loro monolitismo, quegli scampoli di notizie che possono non tanto appagare il mito delle memorie patrie, quanto verificare il manifestarsi cosciente e creativo delle categorie umane, come si andavano concretando dal basso, di fronte al potere esercitato dall'alto.
In una periferia dunque che mirava a svestirsi del suo abito medioevale, per guadagnarsi posizioni centrali. Gli interessi nascosti erano numerosi e vari i canali, in cui inserirli per la concretizzazione, dalla lingua, come elemento chiave per esprimere il consenso o il dissenso, alla verifica degli stereotipi morali che la Comunita' cercava di manifestare nel pantheon dei suoi vizi; allo studio di tutti quei meccanismi che sarebbe troppo lungo enumerare, ma che testimoniano il conformismo prodotto dal potere, da ricercarsi nei tentativi sommessi di liberazione degli emarginati, nella loro cultura di periferia, in grado di turbare I'andare lento, ma processuale del potere urbano. Da qui il perenne contrasto tra citta' e campagna, tra un pullulare di reazioni che mobilitarono anche la Chiesa, quella cittadina come quella rurale, nello sforzo di riorganizzazione del potere, con I'ausilio del culto dei santi, delle processioni, della creazione di santuari, delle rogazioni, delle litanie, delle indulgenze prima, delle Visite pastorali poi, ma anche con il trapasso dell'autorita' dominante, a volte dovuta alla pressante contingenza, dalla citta' alla campagna.
Fu cosi' che I'arcivescovo milanese Leone da Perego, coinvolto nella lotta civile scoppiata tra i nobili e la popolazione guidata da Martino Torriani, per evitare il peggio, si rifugio' con i canonici a Legnano, dove fece erigere un palazzo, in cui pose la sua dimora abituale e dove mori' nel 1257, dopo aver proferito sentenze e aver amministrato sia gli affari suoi che quelli della diocesi. Anche il vescovo di Como. nel 1292, per non essere travolto dai disordini scoppiati nella sua citta', trovo' rifugio nel palazzo arcivescovile di Legnano, finche' Matteo Visconti ando' a prelevarlo, scortando il porporato fino alla sua citta', che lo ricevette con gli onori dovuti.
II fatto dunque che I'epoca considerata sia quella, in cui il potere ha posto radici, mette in moto, intorno al nucleo preso in esame, una serie variopinta di valori, che il ricercatore e' tentato di rispolverare. Ad esempio, le sedi naturali dei vescovi sopra accennati; il fatto che lo stesso arcivescovo Ottone Visconti, morto l'8 agosto 1295, abbia arricchito Legnano di preziosi palazzi: preciosis etiam burgum Legniani palaciis (Monumenta Germaniae Historica. VIII, Hannoverae MDCCCLXVIII 108); la constatazione che il vescovo Francesco di Parma, dal palazzo arcivescovile di Legnano abbia concesso, il 3 aprile 1297, quaranta giorni di indulgenza a chi avesse contribuito con elemosine al completamento della chiesa di S. Pietro, in Saronno, iniziata dai Frati Minori, pongono I'accento non solo su problemi di carattere religioso locale, ma addirittura di natura architettonica, che sarebbe curioso indagare.
E' pur vero che la ricerca locale chiama in causa questioni erudite minori, le cosiddette "microstorie" Violante, La storia locale, Bologna 1982. p. 122) condite spesso col grigiore della prosa quotidiana e riconducibili. ad esempio. sia alla precisazione di una data. sia all'identificazoone di un personaggio, ma non esclude necessariamente la cucitura del particolare a un tessuto dalla trama piu' ricca. La specificita' di ambito geografico non elimina la riconduzione ad interessi piu' vasti.
Pertanto Legnano, nel 1305, si trovo' in non lievi difficolta', a causa di Cressone Crivelli che, cacciato da Milano, perche' coinvolto in una congiura, con un migliaio di fanti, si impadroni' di Nerviano, cercando di occupare Rho e Legnano, anche se il tentativo non fu coronato da successo. Le preoccupazioni per I'attuale nostra citta' non erano pero' finite, perche' quando Matteo Visconti, nel 1313, fu proclamato Signore di Milano, dovette vedersela coi Torriani appoggiati dagli Angioini del re Roberto. La vicenda e' descritta vivacemente da Giovanni da Cermenate nella sua Historia. Il comandante delle truppe angioine si era proprio accampato a Legnano, ma dopo aver sostato a lungo, di fronte alla mancata insurrezione della popolazione, preferi' spostare le sue truppe al di la' del Ticinello, convinto probabilmente dell'opportunita' dell'operazione, da Sigibaldo Lampugnani, preoccupato di difendere le sue proprieta', ma anche piu' incline ai Visconti che non ai Torriani. L'allontanamento momentaneo del pericolo non attenuo' l'importanza strategica del borgo, che funziono' spesso da quartiere generale e la situazione si ripete nel 1339. A Legnano infatti era convenuto Lodrisio Visconti animato dal disegno di spodestare Azzone e il fratello Luchino, per impadronirsi di Milano. Da uomo astuto quale egli era ed esperto nelle armi, considerans quos pecunia costas suorum invnserat (Galvano Fiamma. Opusculum de rebus gestis, XL, 10, Bologna MCMXXXVIII), sfruttando la possibilita' di esigere dalla popolazione tributi dovutigli per precedenti diritti goduti e soddisfare cosi l'avidita' dei suoi soldati e dei trecento "stipendiari" provenienti da Verona, si scontro' con I'esercito milanese, in prossimita' di Parabiago. Dopo un inizio favorevole, la sorte del combattimento volse pero' contro di lui, che fu fatto prigioniero. Alla sua sconfitta, i mercenari chiamati "barbute" da Pietro Azario (Liber gestorum in Lombardia, XII, 20, Bologna MCMXXVI), che erano per lo piu' Inglesi raggruppati nella Societas Anglorum al servizio del conte Lando, furono assoldati in un primo momento da Galeazzo Visconti, ma finirono per scostarsi da lui e, memori probabilmente del bottino fatto precedentemente, nonostante i divieti loro imposti, il 4 gennaio 1343, attaccarono Legnano, Nerviano, Castano, Vittuone, Sedriano e altre cascine in prossimita' di Milano. Anche se non oltraggiarono le donne, come si preoccupa di informare il cronista, forse per la sosta limitata, le depredarono dei loro ornamenti di valore, mentre trassero numerosi prigionieri tra i nobili sorpresi nottetempo intenti a banchettare e a giocare a scacchi: ob festivitates vacantes ludentes ad tabulas et schachos noctis tempore.
Non si misura certamente l'importanza del tema delle truppe mercenarie da questo episodio particolare, ne' la soluzione del problema e' riconducibile ai fili della storia generale, alla quale puo' offrire un contributo parziale pero' I'analisi del negoziato intercorso fra le citta' toscane e il Conte di Virtu', per difendersi dalle compagnie di ventura (Seregni G., Un disegno federale di Bernabo' Visconti, in Archivio Storico Lombardo 1911, pp. 181-182). L'accordo fu siglato a Legnano, il 31 agosto 1385, fra' Gian Galeazzo, Firenze, Bologna, con facolta' di accesso al patto anche per Lucca. Lo scopo era quello di tutelarsi contro gli avventurieri, dopo I'esperienza degli attacchi da loro ripetutamente portati alla pace delle genti.
Si realizzo' cosi' il piano concepito da Bernabo' Visconti, solo dopo la sua tragica morte avvenuta, a quanto pare, per avvelenamento. Gian Galeazzo riprese le idee dello zio, la smodata ambizione del quale non ando' esente da avvedutezza di mente e grandezza d'animo, anche se la realta' delle cose non ne avrebbe rispettato i desiderata.
Pare eccessivo parlare di un sentimento di italianita' per un'operazione del genere, ma non costituisce uno spreco di fatica sottolineare I'importanza annessa alla nostra localita' scelta per la stipulazione dell'accordo sopra accennato. Non e' assolutamente il caso di far leva su richiami di motivo turistico per un borgo o una corte che, in base agli Statuti delle strade ed acque del Contado di Milano emanati, nel 1346. aveva un sistema viario di braccia MCCCCXXVIIII (1 braccio =mt. 0.59) e la cui canonica vantava un reddito di L. 13, soldi 8 e denari 8, nel 1398, mentre i cappellani erano cosi iscritti a ruolo:
capella S. Marie de Legnano L. 1 s. 13 d. 17
capella S. Ambrosii de Legnano L. 1 s. 13 d. 7
cagella S. Martino de Legnano L. 1 s. 13 d. 7
(Notitia cleri Mediolanensis de anno 1391 circa ipsius immunitatem, in Archivio Storico Lombardo 1900, p. 258). Semmai la scelta fu dovuta alla posizione strategica assunta dalla nostra localita' piazzata sulla strada consolare del Verbano, il cui percorso andava dalla vecchia piazza d'armi di Milano ad I Iapidem (gia' corrispondente alla zona della fiera campionaria) fino a Sesto Calende. ad XXXVI lapidem, con Legnano al XV lapidem (Palestra, Strade romane nella Lombardia Ambrosiana, Milano 1984).
E poiche' si e' parlato dei Visconti, conviene dire che da un loro ramo, ed esattamente da quello di Pogliano, discese quel Roberto Visconti che fu designato come successore dell'arcivescovo Giovanni, Signore di Milano e ingiustamente considerato come una figura scialba, perche' sottomessa al volere di Matteo, Bernabo' e Galeazzo, i fratelli che collegialmente controllarono la Signoria milanese alla morte dello zio.
Le recenti ricerche effettuate da A. Palestra (Roberto Visconti, Milano 1971, p. 5 e sgg.) avvalorano invece una diversa figura del prelato, il quale. come piu' grande proprietario della Lombardia, rappresento' una forza non solo morale di straordinaria importanza, fin oltre la meta del sec. XIV, anche in Legnano. Dal carteggio scambiato coi suoi amministratori risulta che I'arcivescovo era il dominus loci, cio' esercitava un vero e proprio dominio temporale su una zona geografica, i cui punti piu' importanti erano Angera, Bellano. Brebbia, Bormio, Cannobbio, Castano. Galliate, Legnano cum cassinis Ravellis, Reschaldine et Reschaldi (Lettera n. 164. 17 marzo 1360), Sesto Calende, Teglio. Varenna, la Valsassina, la Valsolda e il Vergante, cioe' la costa occidentale del Lago Maggiore. Per I'amministrazione Roberto Visconti si serviva di un rector o, con maggior proprieta', di un potestas per Legnano e Castano, come si legge in una lettera del 9 febbraio 1355. L'importanza dell'ufficio dipendeva naturalmente dal borgo amministrato e c'e' da pensare che la mano del rector si posasse con pesantezza quando si trattava di distribuire e applicare la giustizia usque ad condempnationem. fino alla condanna dei reprobi (Lettera 11 aprile). L'epistolario rimasto c'illumina su tutta la vasta organizzazione delle proprieta' arcivescovili, sulle istituzioni locali, sugli ordinamenti della popolazione, sulle attribuzioni e competenze dei funzionari, sia per quanto atteneva gli affari civili, sia per la tutela dei frutti, dei redditi e dei proventi, la cui riscossione l'investito podesta', quale era Pietro Visconti, nel 1355, doveva assicurare al suo Signore.
Tali lettere, sotto un certo profilo, riflettono sinteticamente il contenuto di veri e propri statuti, in cui consules de homines burgi nostri Legnani costituivano l'intera Comunita' con la propria organizzazione.
Da questi pochi esempi, necessariamente ridotti per I'economia del lavoro, si puo' dedurre che Roberto Visconti fosse tempestivamente informato delle eventuali contravvenzioni alle sue disposizioni e che egli opportunamente intervenisse per fermare abusi, risolvere controversie e ripristinare la sua autorita' in un microcosmo provinciale, dove pulsava non solo il lavoro dei campi, ma incominciava a trasparire una certa attivita' commerciale; dove la popolazione rurale guardava con fiducia alle proprieta' arcivescovili amministrate con una certa larghezza di vedute, secondo un rapporto tra Comunita' locale e autorita' religiosa diverso da quello che si sarebbe potuto instaurare con un sovrano assoluto, magari illuminato. in un momento in cui la vita politica si stava liberando dalle istituzioni medioevali, per avviarsi verso la forma delle Signorie rinascimentali.
Non sembra il caso di parlare, nel sec. XV. di Signoria per Legnano, che ha sempre rifiutato qualsiasi infeudazione, ma piuttosto di un prevalente controllo esercitato dai nuclei piu' rappresentativi. destinati piu' tardi a costituire i cosiddetti "Comunetti", ossia i Visconti, i Vismara, le Monache di S. Chiara, i Lampugnani. Diamo per scontata come falsa la attribuzione voluta dal Corio, per ragioni encomiastiche (Storia di Milano, vol. I. Milano 1975) della discendenza viscontea da Alione, Signore di Angera, a cui il pontefice Gelasio I avrebbe concesso, nel 493, l'amministrazione di questo contado assieme a Treviglio, corte di Rho e Legnano. Non possiamo pero' disconoscere che Oldrado Lampugnani pote coprire, in Legnano, un ruolo determinante. nel 1400, grazie alla bonta' dei rapporti mantenuti in particolare con Filippo Maria Visconti, come dimostrano le vicende connesse al rafforzamento del castello di S. Giorgio, i servizi politici e militari resi al Signore di Milano, che fruttarono rendite cospicue tali da assicurare al nobile legnanese il controllo di vaste proprieta' fondiarie, nell'intricato groviglio di interessi che si agitarono intorno alla casata dei Visconti prima, e degli Sforza poi. Fu intorno al 1448 che Legnano risenti' dell'atmosfera agitata dall'offensiva scatenata da Francesco Sforza, per impadronirsi del Ducato milanese. Espugnata Abbiategrasso, le truppe ausiliarie guidate da Matteo Campana, al servizio di Francesco Sforza, si spostarono verso Legnano e ivi piazzarono I'accampamento: hospitiisque per proxima aedificia copiis singillatim dispertitis (In libros Iohannis Simonetae de rebus gestis Francisci 1, Sfortiae Mediolanensium ducis, a. 1448 in Rerum Italiaarum Scriptores. vol. XXl. Bologna 1959. col. 500). Con I'aiuto di Oldrado Lampugnani. lo Sforza pote' accingersi all'espugnazione della vicina Busto Arsizio, i cui abitanti spaventati gli inviarono messi, implorandone la clemenza. Dichiarato ribelle dai "Milanesi", il Lampugnani dovette quindi rinchiudersi nel suo castello di Legnano, ma una volta conclusa la tregua tra Milano e lo Sforza, pote' riguadagnare le posizioni.
E poiche' si e' accennato a Busto Arsizio, converra' dire che i rapporti con quella citta' non erano allora propriamente idilliaci, come si legge in una petizione del 19 maggio 1455 (Archivio di Stato di Milano, e d'ora in poi A.S.M. Archivio Sforzesco, cart. 665). In seguito alle disposizioni emanate da Filippo Maria Visconti e alla subordinazione giuridica da Busto Arsizio, gli homeni di Legnano, col Consiglio, non volevano assolutamente discutere le proprie ragioni nella localita' loro ordinata.
Per i postulanti era troppo molesto e dannoso andare a litigare a Busto, dove non avevano la possibilita' di trovare dottori o procuratori che curassero i loro interessi. Per di piu' correvano il pericolo di "essere malmenati da quelli Borgesani, che stando a casa sua superchiano gli altri". Da qui la richiesta dei protestatari di allargare la giurisdizione di Gallarate, cui si sarebbe potuto accedere facilmente che non al luogo ordinato, per gli inconvenienti lamentati.
Se il documento sopra riportato puo' essere testimonianza di un'animosita' pia che facile a riscontrarsi nei rapporti di vicinato, e destinato a perpetuarsi, come potrebbe essere avvalorato dai focosi successivi incontri tra le rappresentative calcistiche delle due citta', e' anche indice di una vivace conflittualita' che solo in parte la coltura di uva vernacciola o moscatella poteva giustificare. Accanto a questa e' presumibile supporre anche I'esistenza di una produzione cerealicola favorita sia dal facile assorbimento dei mercati vicini, sia da un'attivita' molitoria non indifferente, cui si aggiungeva un sia pur limitato smercio commerciale. Sono elementi che potrebbero trascinare facilmente all'entusiasmo e far pensare a Legnano come a un piccolo Eden, se non sapessimo che diverse zone dell'allora pieve di Olgiate Olona, di cui Faceva parte il nostro borgo, erano infestate da malviventi, i quali trovavano facili nascondigli nella cosiddetta "Selva lunga" compresa tra Gallarate e Legnano e attraversata dalla strada romana che portava al Lago Maggiore. I motivi di turbativa erano notevoli e tali da indurre. nel 1471, il duca Galeazzo Maria Sforza a nominare Capitano del Seprio Antoniazzo di Casate "con potere di spada e piena autorita" perche' procedesse con la massima energia contro quanti infestavano il territorio (A.S.M., Comuni. cart 21).
Questi brevi cenni di carattere socio-economico non possono pero' far dimenticare la presenza di altre famiglie che contarono a Legnano, come i Vismara, in grado di interessare largamente I'ambiente religioso, che allo scorcio del 1400, vantava oltre alle chiese, oggetto di indagine da parte dell'arch. Marco Turri, I'ospizio di S. Erasmo; il convento di S. Caterina, fondato nel 1398, situato in prossimita' dell'attuale lstituto Tecnico Dell'Acqua e soppresso nel 1569; il convento di S. Maria del Priorato retto dai ' frati Agostiniani e chiuso nel 1569, nelle vicinanze dell'attuale cinema Galleria; il convento femminile Agostiniano della Trasfigurazione, in via Lega, abolito nel 1569; il convento dei Frati Minori osservanti. detto di S. Angelo, eretto nel 1468. chiuso nel 1785, sede oggi delle Scuole Mazzini e quello delle monache di S. Chiara, in zona largo Seprio. Quest'ultimo convento fatto erigere intorno al 1492 da Gian Rodolfo Vismara, accanto al palazzo conosciuto come casa Vismara, ebbe prima il patrocinio della famiglia omonima e poi dei Lampugnani, di cui accolse le fanciulle divenute monache per vocazione (Sutermeister, Il convento di S. Chiara e la casa Vismara, in Memorie della Societa' Arch e Storia. n. 2. Legnano 1934). A un primo chiostro per le converse, nel 1700, se ne aggiunse un altro per le novizie e il complesso fu arricchito da una chiesetta ancora segnata con una crocetta nella mappa del 1799. Il convento si serviva. per i propri scopi, dell'acqua derivata da una roggia dei frati francescani. che passava attraverso le proprieta' dei Taverna e costitui' fonte di tante controversie tra gli usufruttuari.
Ampia descrizione del convento e' possibile trovare sempre nell'opuscolo sopra accennato del Sutermeister, anche se le notizie sono desunte da un'opera di P. M. Sevesi (Le Clarisse di Milano, Milano 1930).
Da essa risulta che il Vismara forni' chiesa e convento di S. Chiara di tutto I'arredamento necessario e si preoccupo' di assicurare alle monache I'ospitalita' nei monasteri milanesi. in caso di incursione nel Seprio.
Le suore vissero per circa tre secoli nel rispetto assoluto delle regole di S. Chiara e quindi in condizioni iniziali di poverta' tale da essere costrette a questuare e da richiedere l'intervento di S. Carlo, che visito' il loro monastero nel 1570 e detto' norme per il miglioramento delle loro condizioni di vita, in seguito perfezionate con nuove costituzioni emanate dal Generale dell'Ordine e sostenute dalla generosita' degli abitanti, in modo da concedere alle monache di effettuare acquisti e permute di terreni, fino a concedere prestiti, all'inizio del 1700.
Non sembra, secondo il Sutermeister, che la popolazione monacale fosse numerosa. Nel 1600 le monache erano una ventina; al momento della soppressione del monastero erano venticinque, ragione per la quale il numero di sessanta indicato nel corso della visita pastorale effettuata a Legnano da parte del cardinale Pozzobonelli, nel 1700, teneva conto probabilmente di monache velate, converse ed educande nel loro complesso.
Il convento fu soppresso da Giuseppe II, nel 1782.
l Governo confisco' tutti i beni immobili e mobili, questi ultimi depositati presso il Banco di S. Ambrogio. Le monache in parte ritornarono alla loro dimora originaria, in parte affluirono ai monasteri di Busto Arsizio, di Cairate, e di Lonate Pozzolo.