Legnano story - note personali
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Il palazzetto Corio
 
In Corso Sempione al numero civico 155 vi sono i ruderi di quello che fu il palazzetto Corio, una costruzione quattrecentesca tra le piu' antiche, che erano arrivate i tempi nostri, delle case patrizie di Legnanello. Una serie di crolli (il primo si era verificato nel 1968 ed altri due si ebbero nell'estate del 1971) ha decretato irrimediabilmente la fine del palazzetto. Di salvabile e' rimasto solo 18 colonne in sarizzi con capitelli molto lavorati che potranno essere inseriti in una nuova costruzione in loco, tanto per richiamare alla memoria l'edificio rinascimentale.
Vissuti a Legnano dall'inizio del XV secolo, i Corio avevano acquistato la parte piu' antica del  palazzetto, cioe' appunto quella risalente al 1400, da una delle famiglie nobili Lampugnani.
I Corio di cui trattasi, erano maestri intagliatori in Legnano e imparentati con il grande storiografo Bernardino Corio. Anzi sembra che costui, proprio in quella costruzione, non solo scrisse ma anche stampo' al "torchio" la sua storia di Milano. Nella chiesa di San Magno risulta, in una lapide esistente, che i fratelli, Antonio e Vincenzo Corio, avevano eseguito gratuitamente molti lavori al tempio. Tale lapide era stata posta nel 1511 dal figlio Bernardino di Antonio in omaggio al padre e allo zio. I due Corio intagliatori vissero dal 1435 al 1495 e dal 1443 al 1511 Vincenzo. All'epoca del censimento del 1594 erano segnalate in Legnano tre famiglie Corio e non si sa quali fossero i discendenti diretti dai primitivi proprietari del palazzetto Corio. Nello stesso censimento risulta che nella casa in questione abitava il notaio Jacopo Lampugnani, figlio del senatore Francesco con la moglie Veronica Meraviglia, i suoi quattro figli e la domestica. Egli era segnato proprietario della casa stessa ed evidentemente che era stato lui ad aggiungere nella prima meta' del 1700 altre due ali di costruzioni in fondo verso l'Olona a sinistra entrando dal Sempione. Era stato cosi' creato un punto d'unione alla casa originale quattrecentesca che aveva il colonnato su due lati, realizzando un cortiletto quadrato che offriva un bel colpo d'occhio. La casa Corio originale era ad un sol piano e conteneva una doppia fila di locali. Il porticato ricco, come abbiamo detto, di 18 colonne rotonde in sarizzi, aventi capitelli in esecuzione un po' pesante e rozza a scudetto, era ad "L" secondo il concetto classico creativo del 1400. Il soffitto del porticato era a travetti lavorati a cassettoni in vista ma di semplice fattura e di nessun pregio.
In questa costruzione vi erano affreschi e camini in molera ed una parte di questo materiale era stato ricuperato oltre cinquanta anni fa e fu trasferito al Museo Civico. Tra tale materiale una Madonna ritta con in braccia il Bambino, un San Cristoforo pure con il bambino (che a prima vista potrebbe apparire di epoca precedente al XV secolo, perche' in stile bizantineggiante) i quattro dottori della Chiesa in riquadro, contornati da bordatura uso cornice. Il tutto e' stato riportato su tela col sistema dello "strappo". Molti affreschi non e' stato piu' possibile recuperarli nemmeno in fase di trasferimento avvenuta nel 1930, allorche' era stata abbattuta una fila di locali verso il "Sempione" per una profondita' di circa cinque metri e mezzo per necessita' di ampliamento dell'arteria. Era stato lasciato l'arcone di ingresso in mattoni cuneiformi. Doveva esserci anche una bella finestra  bifora che si affacciava all'interno del cortile, ma non ne e' stato piu' possibile ritrovare traccia. Nei successivi passaggi di proprieta' la residenza dei Corio pervenne dal notaio Lampugnani alla fondazione Barbara Melzi, nell'epoca in cui era diretta da donna Giulia Amigazzi.
Dall'Istituzione venne poi rilevato questo complesso edilizio, insieme ad altri lungo il sempione, dalla famiglia Mocchetti di San Vittore Olona e successivamente venduto ad una societa' immobiliare che ha gia' fatto iniziare i lavori di demolizione nell'intento di una successiva ricostruzione per ridonare al palazzetto la foggia primitiva.
 
 
 
La casa Torre detta anche "Colombera" era situata tra corso Garibaldi e l'attuale via De Gasperi all'altezza della chiesa di San Domenico. Dovrebbe essere stata costruita originariamente come casa di caccia nel XV secolo e per lungo tempo usata dal senatore Francesco Lampugnani e pervenuta quindi ai pittori fratelli Lampougnani.  Si tratta di una modesta costruzione a due piani della quale rimane in piedi soltanto il corpo centrale a foggia di torre, da cui il nome. Al piano inferiore vi e' un locale principale di quattro metri per otto, preceduto da un angusto ingresso. Al piano superiore vi sono due locali di pari dimensioni che avevano le pareti totalmente affrescate e purtroppo i dipinti hanno risentito nel tempo delle pessime condizioni ambientali e per carenza di manutenzione dello stabile, in parte sono andati perduti.  Pure in pessimo stato e' il camino che esiste nel primo locale sulla sinistra per chi vi accede.
La "Colombera" appare come un perfetto parallelepipedo molto armonico nelle sue proporzioni e rappresenta uno dei pochi edifici di epoca rinascimentale che restano a Legnano (un altro purtroppo crollato per l'incuria e l'abbandono, e' la casa Corio in Corso Sempione).
Gli ultimi proprietari dell'edificio monumentale detto "Colombera", famiglia Landone di Castellanza, dimostrando profonda sensibilita' e volendo che questa storica costruzione restasse patrimonio pubblico, recentemente ne hanno fatto donazione all'Amministrazione Civica a condizione che la stessa si fosse assunta gli oneri dei restauri degli affreschi che ancora e' possibile salvare.
Le autorita' comunali, anche in seguito all'intervento della Societa' Arte e Storia, si erano impegnate pure a conservare, nella posizione in cui si trova, l'edificio il quale potra' essere visibile allorche' sara' aperta la progettata strada parallela a Corso Garibaldi e che partendo da corso Italia all'altezza di largo Seprio, si innestera', nel lato opposto, alla via Marconi.
Con la sorveglianza della Sopraintendenza alle gallerie e agli edifici monumentali, la dottoressa Enrica Bernasconi ha proceduto recentemente allo "strappo" degli affreschi recuperabili della "Colombera" e una volta restaurati, dovrebbero essere ricollocati nella primitiva posizione.
 
 
 
Una delle istituzioni legnanesi piu' antiche e' certamente l'ospizio di San Erasmo che se non addirittura fondato, fu certamente riorganizzato da Bonvesin della Riva, un frate terziario dell'ordine degli Umiliati. Su questo monaco, dopo aver tracciato qualche cenno storico dell'istituzione, ci soffermermo piu' oltre in quanto la sua personalita' e' degna di considerazione e lego' gran parte  della vita del borgo di Legnano contribuendo a sviluppare quello che puo' essere considerato a buon ragione il primo luogo di cura ed assistenza per poveri infermi esistente in tutta la zona.
E' comprovata l'esistenza di un ospizio nel luogo dove sorge l'attuale edificio, ancor prima del 1313. Lo si desume da un testamento dello stesso monaco datato 13 ottobre 1304 a rogito del notaio Gabrio da Vegenzate che reca un codicillo del 1313.
Con esso Bovensin della Riva designava erede dei suoi beni l'ospedale della Colombetta di Milano con determinati obblighi a carico dei frati dell'ospizio.
Qualcuno indica come fondatore non Bevensin della Riva ma il nobile Domenico Vismara sepolto in San Francesco a Milano; una asserzione questa che non si fonda pero' su documenti probanti. Piuttosto si sa di certo che l'ospizio venne potenziato nella seconda meta' del 1400 dal patrizio legnanese Gian Rodolfo Vismara.
Nel punto in cui sorgeva la primitiva costruzione del San Erasmo, piu' anticamente esisteva certo una importante stazione di cavalli con relativo ospizio. Ma forse possiamo andare ancora piu' lontano a ritroso nel tempo. In un documento del 789 si parla di un possedimento in Legnanello del monastero di San Ambrogio; per non risalire addirittura ai ritrovamenti archeologici a ponente della vecchia costruzione ad una trentina di metri di distanza dalla stessa, ritrovamenti dei quali ci ha lasciato ampia descrizione l'ingegner Sutermeister. Alcuni di tali reperti sono conservati nel Museo Civico.
Il Vetusto edificio dell'ospizio era di pura foggia duecentesca ed aveva pareti copiosamente affrescate all'esterno per mano di artisti ignoti. Aveva il fronte sulla statale del Sempione a destra in allineamento con l'attuale chiesetta omonima costruita nel XVII secolo. Prima dell'abbattimento della vecchia costruzione ed esattamente nel 1925 fu possibile eseguire uno "strappo" di alcuni degli affreschi recuperabili. Essi figurano ora parte nel Museo Civico "Guido Sutermeistr", tre presso l'Amministrazione dell'Ospedale Civile ed uno e' rimasto, quasi a ricordarne la primitiva ubicazione, in una parete della chiesetta di San Erasmo dove si conserva anche una pregevole pala di altare attibuita a Benvenuto Tisi, detto il Garofalo.
Gli affreschi della cappella maggiore sono di Antonio Turri.
La chiesetta venne rinnovata e in parte trasformata nello stesso periodo della costruzione del nuovo ospizio, per la munificenza di un illustre legnanese scomparso, il comm. Fabio Vignati, per quasi 10 anni sindaco della citta'.
Una Lapide in granito murata sulla facciata della chiesa contiene due date: il 1677 (alla quale si fa risalire l'epoca di edificazione del tempio) e il 1927 anno in cui termineranno le opere di restauro e di sistemazione della chiesetta che ora e' parrocchia con giurisdizione dell'ospedale civile, sull'ospizio dei vecchi e sul centro di rieducazione per mutilati del lavoro e traumatizzati.
 
 
 
(corso Sempiome angolo Via Candiani)
Istituzione assistenziale risalente a Bonvesin della Riva (fine del 1200) che di certo la riorganizzo' e la benefico'. L'edificio originario - affrescato esternamente - fu sostituito nel 1927 con l'attuale per contribuzione dell'industriale Fabio Vignati (busto nel cortile; sindaco poi podesta' fascista in Legnano nel 1923 1932). 
Luogo di riposo e cura per gli anziani poveri.
Annesso, l'oratorio: piu' volte rimaneggiato, ricostruito nel 1927, dedicato al martire Erasmo (mitico protettore dei marinai sotto il nome di San Elmo). In facciata, targa di bronzo con rilievo della battaglia; all'interno, pala del 1500 con Vergine della Rosa, bambino e San Ambrogio e Magno; con poco fondamento attibuita al Garofalo. In canonica, Processo di San Erasmo: affresco staccato dall'esterno del primitivo ospizio, in mediocre stato.
 
 
 
 
Vi erano scarse notizie sul fondatore dell'ospizio di San Erasmo "fra Bonvesin ke sta in borgo legnian" (come si legge in un antico manoscritto) e dove aveva abitato per quasi tutta la sua vita.
Attraverso alcune sue opere letterarie diffuse una luce intellettuale e libera del nostro medioevo. Fu tra l'altro l'autore di un trattato di galateo "De quinquaginta curialitatibus ad mensam" e di un "tractato dei mesi" con spunti di carattere sociale. Inoltre scrisse alcuni poemetti ed alcune laudi a sfondo religioso. In alcune sue opere espone concetti con una indipendenza di giudizio che meravigliano in un maestro del XIII secolo. Le sue opere sono scritte in un volgare settentrionale indefinito che e' comunque piu' elegante di quello di Pietro di Bascape', il secondo dei piu' antichi poeti di Legnano. Odiatore dei prepotenti, li sferza con la satira arguta e narrando di leggende miracolose evoca il diavolo facendolo discutere con la Vergine, una ardita liberta' di pensiero per quei tempi che forse a Roma gli sarebbe costata il rogo degli eretici.
Anche se visse per la maggior parte della sua vita a Legnano, Bonvesin della Riva era natio a Milano. Come abbiamo detto era un frate umiliato del terzo ordine: de ordine tertio Humiliatorum, dice l'epigrafe, doctor et magister, cioe' dottore in grammatica e maestro. Gli scolari convenivano in casa sua, a Porta Ticinese, nella quale impartiva l'insegnamento, e le sale erano molto opportunamente arredate di cathedra, bancho, asseres,et vassa et utensilia.
Gli scolari non erano puntuali purtroppo al pagamento delle lezioni e gli lasciavano i libri in pegno: ed egli nel testamento del 18 ottobre 1304 lasciava in dono quei libri ai frati dell'ospedale della Colombetta di Milano. L'esser frate umiliato non vietava le nozze: E Bonvicino prese non una moglie, ma due, ed entrambe seppelli'. La prima si chiamava Madonna Benghedisia e doveva avere, al pari del marito, un cuore buono e largo, perche' da un istromento del 2 febbraio 1290 risulta che i frati dell'ospedale della Misericordia, sito a Porta Ticinese, sotto la parrocchia di San Michele della Chiusa, avendo bisogno di 200 lire, libras ducentas tertiolorum, le chiesero ai coniugi che loro le donarono a patto di avere ogni anno, vita durante, dodici moggie di misura di segale e miglio.
Poco dopo Benghedisia mori': e Bonvesin impalmo' madonna Florimonda. Nel testamento del 1304 egli si raccomanda che dicano delle messe per l'anima della prima consorte.
Florimonda doveva essere piu' giovane del frate poeta, alquanto vecchiotto, tantoche' aveva timore che ella passasse a seconde nozze. Infatti lasciando erdi i poveri vergognosi di Milano, pauperes verecundi, assegnava l'usufrutto dei suoi beni alla moglie si custodierit lectum meum, perche' altrimenti statim perveniant mea bona dictis pauperibus. La povera Florimondfa costodi' cosi' bene il letto di Bovensin che vi mori' prima di lui; e il 5 gennaio 1313 il dottore, vecchio ed infermo, sener et eger corpore, pieno di malinconia, detto' il suo ultimo testamento, confermando eredi i poveri vergognosi di Milano, incaricando i frati dell'ospedale della Colombetta di distribuire loro le rendite e i beni.
Ma non parla piu' di nessuna delle due mogli: e raccomanda di dir delle messe solamente per l'anima sua. Racconta del monumento che egli stesso fece erigere nel convento dei frati minori di San Francesco; volo ut corpus meum sepeliatus in monumento quod feci fieri in domo fratum Minorum Mediolani.
Nel suo epitaffio si legge che fu il primo a fare suonare le campane dell'Ave Maria in Milano e nel contado: qui primo fecit pulsari campanas ad Ave maria in mediolani et Comitatu; nel suo ultimo testamento assegnava un lascito ai francescani per sostenere le spese delle campane che si dovevano suonare ai funerali suoi.
Nello stesso epitaffio e' detto che costrui' l'ospedale di Legnano, ma vi e' motivo di credere, secondo i testamenti, che abbia solo finanziato l'ospizio di San Erasmo gia' esistente, tanto che i frati dell'ospizio stesso erano tenuti a pagargli un canone annuo di 100 soldi, per il quale, dopo la sua morte, dovevano cantare una messa tutte le domeniche in suffragio dell'anima sua.
 
 
 
Quando francesco Maria Sforza, ereditato un ducato abbastanza fragile, si accinse con Oldrado Lampugnani a rinsaldarne i confini, Legnano era borgo agricolo con alcune dimore nobiliari, vuoi permanenti, vuoi solo sedi estive di famiglie milanesi.
Tra tutti i cognomi legati a nobili origini, i piu' frequenti, presenti in citta', erano due: primo fra tutti quello dei Lampugnani, possessori gia' dall'anno mille di alcuni terreni e rendite in Legnano. Il secondo casato importante per rango (anche se non per numero di parenti) era quello dei Vismara o "Vicemala",
la cui stirpe era iniziata nell'anno 1043. Di questa dinastia e' testimone prezioso uno stemma ideato da Gian Rodolfo Vismara per la sua dimora in Legnano.
Nella simbologia araldica si vede un mattone (indice di prima pietra di fondazione) con la data A043(non e' 0 ma un cerchio barrato) sorretto da due mani.
A queste due famiglie appartenevano i palazzetti signorili quattrocenteschi che piu' si distinguevano, per nobilta' di materiali ed eleganza di forme, del nostro borgo alquanto spoglio.
Le dimore piu' belle risalenti al XV secolo sono purtroppo andate perdute nel 1800 ed agli inizi del nostro secolo. Abbandonate dagli antichi proprietari, basse come ricettivita' abitativa, talvolta considerate ostacoli agli immancabili allargamenti stradali, scomparvero ignorate dai Legnanesi e dalle autorita' preposte ai beni ambientali, per lasciare posto ad una veramente squallida serie di edifici sia abitativi che industriali.
A titolo riassuntivo ricordiamo la casa di Gian Rodolfo Vismara in via del monastero (ora Corso Italia ove e' sita l'oreficeria Bolchini). Questa dimora, ampliata nel suo lato destro a formare il monastero di S.Chiara, poi pellagrosario, per volonta' di G.Rodolfo, era impostata su due piani di fabbrica. Al piano terra, verso il cortile, vi erano grandi archi a sesto acuto sostenuti da pilastri.
Tutto intorno al cortile un ballatoio sul quale finestre e porte ogivali con bei motivi di cornice in cotto facevano mostra di se'. Quattro camere, delle quali una sala da ballo lunga dodici metri, erano tutte affrescate.
Il motivo comune delle decorazioni era una grande fascia ornamentale arricchita con gli stemmi di tre famiglie nobili (Vismara - Corio - Crivelli) accanto ai ritratti dei membri della famiglia.
Ritratti e stemmi erano alternati con putti seduti a cavalcioni su festoni di foglie. Gli affreschi strappati grazie all'intervento dell'ing. Sutermeister e del pittore G.Turri sono oggi al museo, unico documento della Legnano del 1400. Vi si vedono signorotti e loro consorti, agghindati con vestiti di foggia medicea, con capelli lunghi accuratamente arricciati. Le signore sono ingioiellate con acconciature racchiuse in veli, nastri e spille appariscenti. Alcuni signorotti portano copricapi alla Robin-Hood o a pan di zucchero. Si notano velluti lavorati e motivi rinascimentali a rilievo, giubbini canettati, grandi maniche a sbuffo tagliate sui fianchi. Aggiungasi qualche scollatura femminile audace e tanta ingenuita' rappresentativa, con i personaggi sempre di profilo. I ritratti sono tuttavia molti ed osservati con attenzione ci danno un'idea del tipo di personaggi che si aggiravano per Legnano: Un poco campagnoli, con vestiti molto colorati ed in leggero ritardo sulla moda di Roma o Firenze, la spada al fianco, la sicurezza data dal benessere delle campagne coltivate a vite e dal lavoro dei mulini. Vengono in mente certe gustose ricostruzioni cinematografiche della Verona di Giulietta e Romeo.
L'esterno della casa era in mattoni, con finestre ogivali al piano primo, mentre a piano terra le aperture erano protette da inferiate di notevole spessore. La demolizione ha rispettato solo parte del chiostro del convento annesso alla casa nobiliare. Le colonne in pietra con i capitelli quattrocenteschi di arenaria a sostegno delle arcate sono ancora visibili dal portone di corso Italia; un motivo ricorrente di tutte le dimore "da nobile" edificate in Legnano.
Questi palazzotti infatti si sviluppano tutti con identica fisionomia. In genere sono a due piani e formano un angolo con un lato colonnato al piano terra. A questo angolo, composto dai due corpi della casa principale, corrispondono poi due lati con l'orto e le case rustiche. Si crea cosi' al centro un cortile corredato da pozzo per l'acqua.
Tale tipico impianto architettonico era presente anche nella casa Lampugnani di via Garibaldi n.10. (ex libreria Bizzarri), nella casa Vismara di via Garibaldi n.37, nel maniero Lampugnani di Legnanello edificato da Oldrado II, demolito anch'esso e poi ricostruito in altro luogo ed adibito a museo.
Sempre a cortile chiuso erano anche la piu' tarda casa Corio di via Sempione, ora inglobata da un moderno edificio, tutta affrescata sia all'interno che sulle facciate del cortile, con colonnato su due lati; nonche' la casa Vismara presso la chiesa di S.Agnese poi demolita per far posto all'edificio della Banca di Legnano e dell'Ufficio Postale del 1930, in via Crispi. Queste dimore per lo piu' erano edificate con il mattone forte. Quando il censo dei proprietari non era eccelso, ad alcune file di mattoni si sostituivano ciotoli cavati sul posto, con l'intento poi di intonacare i muri stessi. Questo fenomeno si acui' in particolare modo dopo il 1600. Infatti, con la dominazione spagnola, finirono anche le dinastie dei Lampugnani importanti e dei loro parenti Vismara. Legnano vide affievolirsi i contatti con Milano e pian piano si trasformo' in una semplice comunita' agricola. Molti palazzetti furono lasciati a contadini e massari, che modificando le finestre e gli ambienti, li resero ruderi irriconoscibili.
Da questo declino e travisamento architettonico nacque la non conoscenza dei veri valori artistici degli edifici e la decisione di farli scomparire. Infatti a parte l'edificio lungo il Sempione, demolito e ricostruito a fungere da museo, che fu di Oldrado Lampugnani e del quale si era gia' parlato nella prima parte, a parte un piccolo pezzo della casa Corio, ormai rovinatissima e lasciata volutamente crollare nel 1968 e 1971, non esistono piu' dimore signorili cinquecentesche in Legnano.
Parlare di case e conventi e' quindi esercizio di ricostruzione letterario-storica, significa evocare fantasmi. Unico esempio dell'architettura civile del XV secolo in Legnano rimane una strana costruzione, interna ad un cortile vecchio, prospiciente corso Garibaldi, all'altezza della chiesa di S.Domenico, e denominata da sempre in Legnano cola "La Colombera".
Essa fu concepita come una torricella rettangolare in pianta e con tre soli ambienti, uno al piano terra e due piu' piccoli al primo.
Le dimensioni di circa m.4x8 fanno escludere un uso come abitazione, tanto che il piano terra era in origine aperto a porticato, e l'apertura, sorretta da un architrave, da un lato era sostenuta mediante una colonna in pietra arenaria, di forma ottagonale, ancor oggi visibile inglobata nei nuovi muri di chiusura.
Le pareti dei locali superiori erano completamente affrescate ed una delle due stanze di m. 4x4 porta al centro della parete di fondo un caminetto largo circa m.1. Tra gli svariati affreschi delle pareti (oggi tutti strappati e purtroppo  non ricollocati in luogo) oltre a scene, riprese come soggetti da stampe pubblicate dagli editori "da Legnano", compaiono nel fascione superiore molteplici stemmi e cartigli. Fu proprio grazie a questi cartigli che, nel 1937, l'ing. Sutermeister riusci' a scoprire a chi era appartenuta la casina. Il titolare della proprieta' era un Lampugnani sposato De Sesti (la cui pezza araldica e' il compasso) e piu' precisamente un senatore Giovanni Donato Lampugnani, sposato a Lucia De Sesti, che abitava a Milano.
La casina gli serviva quindi per brevi soggiorni in Legnano, e certamente, stando ai soggetti riprodotti negli affreschi, le riunioni che qui si tenevano dovevano essere fatte in occasione di battute di caccia eseguite nelle brughiere. Anche il piano terra ed alcune parti delle facciate presentavano affreschi molto deteriorati e poi scomparsi. In facciata si aprivano solo una porta ed una finestra ad est e tutto l'edificio assumeva un aspetto piu' di piccola fortezza che di casa. Anche il motivo del cornicione a mattoni sfalsati ricorda un poco quelli dell'antica casa fortificata a sud del castello di S.Giorgio, sita in comune di Canegrate.
Le affrescature di questo piccolo gioiello rinascimentale, ormai unico e orfano in una Legnano  troppo disattenta al suo passato storico, sono ascrivibili ad una mano molto giovane di un pittore Gian Giacomo. Forse quando egli ancora abitava in Milano, era stato contattato dal senatore Lampugnani, perche' gli abbellisse la dimora di caccia. Certo molte ingenuita' pittoriche e la copiature delle stampe dei "da Legnano" pongono in dubbio questa attribuzione. Tuttavia, qualche decennio dopo il 1550 vedremo che la stessa proprieta' verra' in possesso dei pittori Lampugnani di Legnano ( Francesco e Giovanni Battista), i quali eano proprietari di una bella casa demolita (ancora una volta) nel 1970, proprio di fronte alla "Colombera" lungo via Garibaldi ed a fianco della chiesa di San Domenico.
Costruita con lo schema classico ad elle, in modo da formare un cortile quadrato al centro, questa dimora dei pittori Lampugnani presentava  sull'esterno una stupenda serie di finestre ogivali con pregevoli cornici in cotto lavorato. I muri della facciata intonacati a causa della struttura a mattoni irregolari, erano tuttavia ornati con affreschi dedicati, poi scomparsi per corrosione atmosferica.
Le finestre vennero poi in parte salvate e reinserite in facciata moderna. Le stanze interne variamente  affrescate dai pittori Lampugnani stessi,  subirono invece gli insulti del piccone e la totale ignoranza degli ultimi abitanti. Solo alcune scene strappate si sono salvate e restano in custodia di privati.
Sono quindi estremamente esigui  reperti antiche che ci legano al borgo del 1400 - 1500 essendo state numerose ed indiscriminate le demolizioni di cui, per inspiegabili motivi, le sovraintendenze mai si opposero. Eppure se si dovesse fare un bilancio economico culturale, in tutta la storia, mai a Legnano conobbe uno splendore di vita come in quegli anni. Vigne estesissime e feconde, mulini costantemente all'opera non solo per macinare grano altrui, ma per tagliare legna, tornire, fabbricare carta, battere le foglie d'oro e d'argento per gli orafi. (Mulino Vismara 1450 1460), nobilta' ai massimi vertici delle signorie, produzioni artistiche di ottimo livello, sono tema quotidiano del vivere legnanese di allora. La basilica di San Magno rimane oggi unico testimone di una fierezza e cultura incredibilmente affinate.
 
 
Un altro maniero, oltre a quello visconteo di "San Giorgio", esisteva ad un tempo in quel di Legnanello e fu costruito nel XV secolo su una proprieta' acquistata da Oldrado Lampugnani insieme con il suo fratello Maffiolo che aveva sposato una componente della nobile famiglia dei Crivelli, dai consorti Vismara di Dairago. L'atto di acquisto datato 9 maggio 1419 a rogito del notaio Lorenzo Martignoni e' tuttora conservato tra i documenti dell'archivio dell'Ospedale Maggiore di Milano. In tale istrumento si parla di una "Casa Magna in contrada di mezzo a Legnarello vicino alla chiesa". Non e' precisato se si trattasse di un vero e proprio maniero o di una residenza di campagna, tuttavia doveva trattarsi di un edificio di ottima fattura dato che l'Oldrado lo adibi' subito a sua dimora, e lo cedette poi al fratello Maffiolo quando sposo' la Crivelli.  Nel salone che figurava al piano superiore, gli stemmi della famiglia Lampugnani e quello dei Crivelli si fronteggiavano su due pareti ed erano inseriti nella fascia ornamentale che caratterizzava l'intero palazzo.
Il palazzotto e' stato fedelmente riscostruito allorche' venne abbattuto negli anni venti in corso Garibaldi angolo via Mazzini per accordi intervenuti tra la Sovraintendenza ai Monumenti e l'Amministrazione Comunale di allora. L'edificio che ora e' sede del Museo Civico "Guido Sutermeister", riproduce fedelmente ogni particolare architettonico e pittorico l'antico maniero dei Lampugnani compresa la loggetta del primo piano ed il porticato con le stesse colonne provenienti dal maniero. Sono stati anche riportati nel ricostruito fabbricato alcuni affreschi che ornavano l'esterno della "Casa Magna" di Legnanello. Inoltre sono conservati frammenti di "strappi" provenienti dal maniero  ed anche in ottimo stato di conservazione, ed opportunamente restaurati durante il periodo di cui ha diretto il museo la prof.ssa Adriana Soffredi, alcuni rosoni di ritratti di componenti delle famiglie dei Lampugnani e dei Crivelli.
Tra questi un ritratto di dama che doveva essere proprio Giovanna Crivelli, moglie di Maffiolo Lampugnani.
Il Museo Civico e' stato via via arricchito con materiale artistico e con preziosi reperti di epoca romana e pre-romana.
Notevole e' anche la collezione di affreschi del Museo provenienti dalle demolizioni, operate nel ventennio che precedette l'ultima guerra mondiale, di molte case patrizie, tra cui casa Vismara, abbattuta nel 1932, casa Corio demolita nella parte antistante il porticato nel 1930 per ampliare la strada del Sempione, dalla chiesa di Santa Maria del Priorato (via Palestro), della chiesetta Santa Maria Annunziata, che era sita in corso Sempione 47 (vecchia numerazione), della chiesa del Convento di Santa Caterina degli Umiliati (XVI secolo) esistente tra via del Lampugnani e via Diaz ed abbattuta ancor prina che su quel terreno venisse costruito l'ex stabilimento Dell'Acqua.
Ultimamente il Museo Civico e' stato restaurato ed abbellito ed ha trovato una sistemazione molto razionale studiata dal prof. Mirabella Roberti, sovrintendente delle antichita' della Lombardia, la loggetta che accoglie la collezzione degli affreschi. L'edificio del Museo cosi' permette  di conservare ai posteri la memoria dell'antico maniero di Oldrado lampugnani.
A Proposito di questa ricostruzione l'ingegner Guido Sutermeister in una delle "memorie" della Societa' ed Arte e Storia annota: "artisticamente e storicamente e' stato un delitto distruggere tale maniero; Il Comune che nel 1927 fu l'artefice dell'operazione, spese per la ricostruzione piu' del doppio di quanto poteva occorrere per l'acquisto e per un decente ripristino in luogo dello stabile tanto interessante". Un acquarello dell'ottocento dipinto da Gioseppe Pirovano, non contiene identificazioni certe per l'identificazione di quell'angolo di legnano. Forse la casa, secondo una ipotesi avanzata anche dallo studioso Sutermeister, era situata in via Lampugnani. Di conseguenza la facciata della chiesetta sullo sfondo poteva essere una di quella delle tre allora esistenti in via Sempione (anche se non concordavano le linee architettoniche rilevabili) e cioe' nativita' di Santa Maria Vergine, piu' comunemente chiamata "Madonnina", Santa Maria Annunziata, infine la Cappella di Santa Maria della Purificazione (ricostruita nel 1603 ed oggi appartenente all'istituto Barbara Melzi) e della quale ultima si fa cenno in una bolla papale del 1541. Tale bolla sta a confermare l'esistenza di una chiesetta ancor piu' vecchia sul luogo dove ora sorge Santa Maria della Purificazione. Il tempietto, piu' recentemente, e' stato dedicato a Santa Rita.
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Nell'attuale Corso Magenta, gia' via Porta di Sotto, esisteva un tempo un grazioso voltone, ritratto da Giuseppe Pirovano in un dedicato accquarello conservato nel Museo Civico., che collegava il  palazzo di Ottone Visconti alle case della Curia Arcivescovile Milanese noto come "palazzo di Leone da Perego", arcivescovo che ne ordino' la costruzione. Sulla destra, volgendo le spalle al voltone, vi era l'ingresso del palazzo Arcivescovile (oggi sede dell'asilo infantile e che ospito' anche la Famiglia Legnanse) rimasto integro almeno nella parte superiore con la lapide ben conservata. Ai lati figuravano due affreschi uno (a destra) riproduceva una figura sacra e l'altro (a sinistra) lo stemma arcivescovile.
Appunto nel palazzo dirimpetto, quello che ospitava la mensa arcivescovile, sempre in corso Magenta e all'epoca contrassegnato con il  numero civico 2, era installato il famoso camino di Gian Giacomo Lampugnani, trasferito nel 1917 al Museo dove figura oggi nel salone principale. Sul camino sono effigiate le iniziali del pittore e lo stemma araldico di famiglia. E' probabile che il Lampugnani nel periodo in cui curava i lavori e gli affreschi in San Magno avesse abitato appunto in questa casa (abbattuta allorch'e' venne costruito il complesso INA). Attraverso il voltone, l'artista poteva raggiungere al coperto e, senza attraversare via Porta di Sotto, la basilica di San Magno.
 
 
La zona piu' antica di Legnanello doveva essere quella situata lungo il tratto del "Sempione" compreso tra via Lampugnani e l'attuale via Cantoni (un tempo chiamata via Pomponio).
Era questo il XV secolo un rione occupato da un gruppo di famiglie nobili inparentate tra loro e che facevano capo ai cavalieri Lampugnani ed esattamente al ramo propriamente detto dei "cavalieri di Legnanello".
Essi aveva costituito in questa contrada una sorte di roccaforte. particolarmente temuta e difesa da armigeri e "bravi" i quali spesso si rendevano autori di episodi di crudelta'.
Avevano instaurato un vero e proprio pedaggio per chi avesse voluto transitare in quel punto della importante strada carrata che da Milano conduceva verso i confini francesi.
Durante il dominio della dominazione spagnola si erano accentuate le angherie i soprusi dei cavalieri Lampugnani, ribelli al Governo Spagnolo e forti della loro parentela con i Lampugnani ben piu' potenti e proprietari del castello visconteo e dei beni annessi. Gli armigeni facevano capo al maniero che era situato alle spalle della residenza vera e propria dei Lampugnani (nella prospiciente strada del Sempione) ed esattamente lungo il vicolo Scaricatore. L'antico ponte di pietra che collegava Legnanello all'abitato di legnano, collegava con il mulino di Conte Prata. Era chiamato ponte "scaricatore" perche' situato nei pressi di uno sbarramento (scaricatore) che regolava la discesa dell'acqua all'Olonella.
) Nella storia di Legnano, manoscritta nel 1892 dal Pirovano, egli descrisse che era addivenuto popolare il detto "Passaa Lignan e Castelansa, se pol anda' fin in Fransa", per testomoniare come se fosse pericoloso in transito in questo punto obbligato  della grande arteria gia' allora di importanza internazionale. Sui due lati della strada carrata, rimasta caratteristica con le due guide al centro del selciato fino al 1928, allorche' si completo' l'allargamento e la sistemazione della stessa arteria, si trovavano le dimore dei Corio e piu' a est una casa rustica ora demolita  nella quale era stato staccato un affresco raffigurante l'Annunciazione e datato 1492, ora conservato nel Museo Civico.
Anche questa, anticamente, doveva essere abitata da qualche nobile del ramo dei Lampugnani o forse era collegata con la successiva casa che appartenne ad Andrea Lampugnani marito di Isabella Riva. Tra le due case vi era una chiesetta appunto chiamata chiesa dell'Annunciata. Faceva parte delle stesso complesso di edifici l'antica "Ostaria della Madonna" che resta tuttora nello stesso punto di fianco alla Galleria d'Arte Internazionale del pittore Giovanni Cozzi.
Dalla parte opposta della strada nazionale le costruzioni della proprieta' del conte Francesco Melzi (oggi Istituto Barbara Melzi) sono conservate su questo lato cosi' come si rappresentano nel 1880. Di fronte al palazzetto Corio vi e' una chiesetta dalle linee graziose con il caratteristico portico a cancellata in ferro, sorta nel 1603. Vi sono nel prebiterio affreschi dei pittori fratelli Giovanni Battista e Giovanni Francesco Lampugnani.
La chiesetta fu edificata sulle vestigia di una cappella ancor piu' vecchia e che pare fosse stata costruita su invito di San Carlo Borromeo in visita pastorale a Legnanello.
Dell'esistenza di un tempio fin dal XVI secolo nella stessa ubicazione abbiamo trovato una conferma diretta in un documento che abbiamo avuto in riproduzione fotografica, dopo le nostre ricerche, nell'archivio segreto del Vaticano (registro Vaticano 1556, foglio 204 - 1540).
Si tratta di una minuta manoscritta di una bolla papale con la quale l'allora pontefice Paolo III, Alessandro Farnese, concedeva ad Andrea Moroni, nobile legnanese, i benefici gia' tenuti dal defunto rettore Melchiorre Bossi. Il Moroni veniva provvisto della cappellania di Santa Maria della Purificazione nel borgo di Legnano. La Bolla reca la data del 15 dicembre 1547.
E cosi', per altri tecentocinquanta anni la chiesa della Purificazione, era annessa alla proprieta' dell'Istituto Barbara Melzi e dedicata a Santa Rita, fu utilizzata come chiesa parrocchiale; fino a quando cioe' don Gerolamo Zaroli face costruire la chiesa del Redentore su progetto dell'architetto Cecilio Arpesani di Milano e consacrata dall'arcivescovo Cardinal Ferrari il 30 novembre 1902.
L'edificio dove ha sede attualmente l'Istituto delle Suore Canossiane era una vecchia casa di campagna del conti Melzi che avevano la loro residenza abituale in via Borgonuovo in Milano e dove trovo' poi sede l'Accademia Scientifica. La costruzione legnanese e' realizzata secondo la tipica architettura lombarda. Nell'istituto sono conservate pregiate tele dell'1800 romantico autori Boldini, Fattori, Dolci, Hayez. Vi e' inoltre una ricchissima e rara biblioteca con pregevoli prime edizioni, incunaboli, manoscritti e pergamene miniate.
Proseguendo verso est sul Sempione troviamo la chiesetta di Santa Maria Nascente, piu' nota oggi come la chiesa della "Madonnina". Risale al 1600 sul progetto dell'architetto Richini che aveva voluto realizzare una architetture di stile barocco-lombardo.
Nella chiesa si conserva una tela attibuita a Stefano Legnani, detto Legnanino.
Il Cardinal Sfrondati di Cremona che nel luglio del 1586 esegui' per conto del papa Gregorio XIII una inchiesta in seguito al trasferimento della prepositura di Parabiago, descrivendo Legnanello lo defini' "una contrada solo lunga un'archibugiata" cioe' trecento metri circa. E' certo che questo comunque era uno dei due nuclei piu' antichi di Legnano fin dall'epoca romana ed e' il rione che piu' ha conservato rispetto ad altri le sue tradizioni. E' puntuale ogni anno, il 2 febbraio, la festa della Purificazione detta del "caru mi, caru ti", che a un tempo assumeva aspetti folcloristici, ma che ora si e' ridotta a una sagra paesana di minor portata e richiamo. Risulta pero' che la festa della purificazione o della "Scigliora", (dalla voce dialettale,) abbia origini antichissime e cioe' da quando Papa Sergio I introdusse nell'anno 687 la cerimonia della benedizione e distribuzione delle candele che si ripete ancor oggi in occasione di tale festivita'.
Prima della costruzione della chiesa della Purificazione la festa si svolgeva nella piazzetta antistante la ormai scomparsa chiesa longobarda di Santa Maria del Pozzo che si trovava lungo l'attuale via Palestro.
La sagra che aveva sempre avuto la caratteristica dei "firuni" di castagne,si trasferi' lungo la via del Sempione che per l'occasione era invasa da bancarelle di ogni tipo ed era ravvivata da centinaia di sandaline.
La denominazione della festa del "caru mi caru ti" era dovuta ad una tradizione che ai nostri tempi e' scomparsa.
Nel Ottocento e nei primi anni del Novecento era in uso in questo giorno alle coppie di fidanzati scambiarsi la promessa del matrimonio. E puntualmente le novelle spose si davano convegno negli anni successivi con le amiche per lo scambio delle impressioni ed e' restato il detto "caru ti,se mi al savevi....". Quelle per le quali il matrimonio si era rivelato un fallimento aggiungeranno "...mai pu' me maridevi.".
Ai tempi nostri la tradizione della festa del "caru mi, caru ti" viene organizzata ogni anno in collaborazione con la parrocchia del Santo Redentore e la contrada di Legnanello e non mancano le tradizionali bancarelle e i pittoreschi venditori ambulanti di cordoni di castagne affumicate che i ragazzi amano portare al collo andandosene orgogliosi per la via del rione come tanti Radames.
Un'analoga sagra che componente essenziale i "Firuni" e' quella che si ripete in occasione di San mauro nei pressi del santuario della Madonna delle Grazie e che la Famiglia Legnnese tramanda gelosamente conservando anche la tradizione che vuole di "San Mavar, pulenta sul tavar".
Sono questi i ricordi di feste popolari che richiamano una gran folla nei piu' antichi rioni della citta' ed alle quali i nostri padri non rinunciavano. Erano allora felici occasioni per lo scambio delle tradizionali quattro ciarle, davano il modo di consumare qualche bicchiere di vino in piu', dal generoso "Bruschetto" allo "squinzano", dal classico "barbera" (e perche' no) al non meno generoso "vinoi dei colli di San Erasmo".
 
 
Gli affreschi che adornavano le case di nobili famiglie legnanesi furono eseguiti, o venivano attribuiti ad un pittore locale, Gian Giacomo Lampugnani, che si ritiene vissuto tra il 1640 e il 1521.
Era discendente di una famiglia del ceppo dei "Signori di Legnano" e dei "Capitani di Legnanello" proprietari per un lungo periodo del castello di Legnano donato nel 1435 con regolare atto ducale ad Oldrado "in premio e soldo delle sue azioni".
La famiglia Lampugnani ebbe antenati illustri anche a Milano.
Un albero genealogico da ricercarsi) pazientemente elaborato da Guido Sutermeister parte dall'anno 852 per scendere fino ai giorni di oggi.
Tornando al nostro pittore, il quale e' legato al massimo tempio della citta' San Magno che fu eretto sotto la sua cura e che fu poi rimaneggiato nei primi anni del 1500, diremo che era figlio di Pietro Antonio (parte pittore anche lui) ed aveva, oltre al fratello Luca, notaio, altri parenti artisti del pennello.
Giangiacomo era oltre a pittore, esperto architetto, terziario umiliato e protonotario apostolico.
Le opere piu' pregevoli di Giangiacomo Lampugnani figurano appunto nella chiesa di San magno. La nuova chiesa ricostruita al completo sulle vestigia del vecchio tempio dedicato a San Salvatore, venne eseguita nei primi anni del 1500, appunto sotto la direzione di Giangiacomo su un progetto che si ritiene ispirato a disegni del Bramante. Qualcuno e' piu' propenso ad attribuire addirittura al grande architetto l'intera paternita' della costruzione. Il Bramante aveva lavorato a Milano nel 1499, prima cioe' di trasferirsi per lungo tempo a Roma e quindi a Napoli. Molte circostanze fanno ritenere che il Lampugnani si sia appoggiato al Bramante, sia direttamente sia con frequenti contatti avuti con il pittore Foppa che lavoro' per la realizzazione del bramantesco chiostro di Santa Maria delle Grazie in Milano.
E' sintomatica anche l'analogia dell'architettura interna della chiesa di SanMmagno con la basilica di Santa Maria della Piazza di Busto Arsizio, notoriamente di scuola bramantesca.
Sono di Giangiacomo la maggior parte degli affreschi della "Colombera", la "Casa Torre" che appartenne ai Lampugnani, ancor oggi esistente nel rione di San Domenico.
Come affrescatore della chiesa di San Magno, i suoi lavori certi furono: tutti quelli che figurano nella cappella detta appunto "dei cavalieri Lampugnani" (a sinistra di chi entra in chiesa); l'andito dell'ingresso prospiciente il sagrato; l'intero cilindro ottagonale con i relativi pilastri ed archi ed infine la stupenda cupola, affrescata a grottesche.
A proposito degli affreschi di San Magno una curiosita': stando ad un contratto stipulato tra la fabbriceria e Giangiacomo Lampugnani datata 2 aprile 1515, per la decorazione della cupola gli veniva assegnata la somma di 180 lire e 80 lire per il cilindro ottagonale. Probabilmente gli affreschi della cappella Lampugnani dedicata a Santa Agnese, erano stati donati gratuitamente dall'artista o eseguiti in collaborazione con altri familiari-pittori.
L'andito di ingresso fu commissionato nel 1517 da un nobile legnanese dell'epoca, Luigi Fumagalli, che ne pago' tutte le spese.
La casa dei pittori Lampugnani esisteva fino agli anni sessanta in corso Garibaldi a fianco allo slargo della chiesa San Domenico. Con tale nome viene anche indicata in un manoscritto sulla storia di Legnano, autore il prevosto Pozzi. da ricercarsi) La costruzione risaleva al XV secolo e un tempo aveva che affreschi della stessa epoca che sono andati completamente perduti in quanto non eseguiti con perfetta tecnica. La costruzione presentava alcune finestre ogivali in cotto che sono state conservate e inserite nell'attuale nuova costruzione, realizzata con linee architettoniche dall'ingegner Guido Amadeo e che ben si adattano al rione di San Domenico che conserva il vincolo di centro storico.
La casa dei Lampugnani figura oltre che in una citazione sull'enciclopedia tedesca del 1876 di Crowe e Cavalvaselle, anche in un racconto di Gerolamo Calvi, membro dell'accademia di Brera.
Si legge testualmente in quest'ultimo "la casa e' ad un sol piano, ma bastamente estesa. Un tempo era interamente dipinta in chiaro-scuro, ad architettura ed ornamenti con qualche figura, una di esse sedente ne rimaneva visibile nella vela dell'arco della porta e sotto  la qual figura si leggevano ancora delle cifre con la firma Giovanni Lampugnano 1494"... "a sinistra della facciata, come in uno scompartimento staccato, era dipinto a colori discretamente conservato, una specie di tabernacolo bramantesco antico come nel bel mezzo un sant'Antonio Abate protettore di quel  borgo". Non che fosse sant'Antonio il patrono di Legnano. Evidentemente si e' trattato di uno svarione del Calvi. Anche lo storiografo Giuseppe Pirovano in alcuni manoscritti che recano la data del 1880 e conservati nell'archivio del Museo Civico cita la casa di via Garibaldi 24 e rileva che sulla facciata "sono segnati trofei d'arte e di scienza e due ritratti, uno del pittore Giovanni Lampugnani e l'altro del notaio Luca, suo fratello e un san Antonio Abate molto ben dipinto con freschezza e forza di colorito".
Il Pirovano trascuro' di precisare che i due medaglioni figuravano sottogronda disposti ai lati dell'ingresso principale della facciata.
Anche se sbiaditi erano visibili fino al 1920. L'anno successivo deve considersi infauso per la storia dell'Arte di Legnano. Infatti l'Amministrazione Civica emise un'ordinanza che evidentemente, nello spirito, venne emanata a fin dei ben per motivi estetici di molte case troppo trascurate dai relativi proprietari. L'ordinanza infatti inponeva di far "bianche tutte le facciate delle case di Legnano".
Molti proprietari di allora non andarono tanto per il sottile e vennero commessi irreparabili danni al patrimonio artistico di piu' di un edificio legnanese. Tra i dipinti sacrificati all .. estetica delle facciate,  vi furono anche i medaglioni della casa dei pittori Lampugnani che dovevano essere di diamo di 70 cm. circa. Nel 1937 l'ingegner Sutermeister insieme al pittore Prof. Gersam Turri tento' di recuperare i medaglioni con i due ritratti, cautamente raschiando la tinteggiatura che vi era stata sovrapposta.
Non fu piu' possibile trovare tracce dei dipinti. Se ne deve dedurre che, come gli altri nell'interno, non erano affrescati, ma eseguiti sull'intonaco non pretrattato, in chiaro-scuro con colori normali a tempera.
 
 
 
E' rimasto quasi integro, con le vecchie case di almeno un paio di secoli fa, un vicolo che taglia a meta' la zona riconosciuta storica dalla Sovraintendenza (con tanto di vincolo), cioe' la fascia laterale ad ovest di corso Garibaldi. Oggi si chiama via Gigante ma la sua denominazione dello scorso secolo era diversa: via Dello Stallo Aperto, la indicava una mappa del 1859.  La viuzza di dipartiva dall'attuale via Vittoria all'altezza di casa Sesler e con un andamento tortuoso si immetteva lungo l'attuale via De Gasperi per svoltare quindi a sinistra fino ad accordarsi con via Garibaldi (gia' via Contrada Mugiato).
Tanto per restare alla denominazione originaria , ricorederemo che tanto la via della Vittoria si chiamava allora via del Pan di Meliga e l'abitato in Legnano finiva proprio li'. Piu' oltre, verso Castellanza dovevano esserci proprio dei campi coltivati a granoturco che si estendevano oltre la zona collinosa di San Martino fin verso il convento di sant'Angelo attorno al quale le prime case cominciarono a sorgere proprio dopo la meta' dello scorso secolo.
La via del Gigante, degradata poi a vicolo, ha conservato dunque il sapore ottocentesco delle casupole arroccate attorno a residenze  patrizie che sono state le prime a scomparire inghiottite dal progresso e dal fervore edilizio che come la febbre contagiosa aveva colto i Legnanesi toccati dalla foga della industrializzazione ormai imperante.
In questa zona si riconoscono proprio le casupole con i muri sbrecciati, dai quali occhieggiano finestrelle di cotto, porticati di sapore rinascimentale, colonne in sarizzi o qualche artistica ornamentazione che richiama un passato di splendore.
Certo nemmeno via del Gigante resistera' a lungo con le caratteristiche che ha. Ormai gli edifici salvabili con qualche velleita' architettonica degna di conservazione non ve ne sono piu', eccezzion fatta per la gia' ricordata casa della Torre dei pittori Lampugnani o "Colombera" che dir si voglia.
Dagli acquarelli del Pirovano qualche casa del 1400 e del 1500 che si trovava in via del Gigante ci e' stata tramandata nella raffigurazione originaria; e sono queste le uniche testimonianze che ci restano delle vecchie case rinascimentali. Le attuali casupole del vicolo, essendo scomparse quelle residenziali dei signorotti dell'epoca, hanno subito successivi rimaneggiamenti che spesso non permettono nemmeno di riconoscere nella primitiva ubicazione.
Un acquarello del Pirovano ci ripropone ad esempio una casa del 1450 che egli indica in via Gigante n. 5 e ne attribuisce la proprieta' alla famiglia Vannotti. La casa aveva in facciata un affresco del quale se ne e' persa ogni traccia. Si ritiene che fosse abitata e di proprieta', all'epoca del censimento del prevosto Specio (1594), da Cristoforo Lattuada, discendente della famiglia che annoverava tra i suoi componenti un personaggio di notevole statura. Dovrebbe trattarsi di Benedetto Lattuada, stando a un lascito in San Magno che il prevosto Pozzi segnala nel 1644, e che indica con il soprannome del "Gigante". Da qui la curiosa toponomastica assunta dalla che molto tempo prima si chiama via Dello Stallo Aperto, come abbiamo detto.
Ed anche questa denominazione doveva derivare dalla casa che troviamo segnalata dalle Memorie della Societa' Arte e Storia come casa "stalletto" o "stallo aperto". E non e' da escludersi che si tratti della casa effigiata da Giuseppe Pirovano nel suo acquarello, ove ben risalta anche l'affresco di uno dei pittori Lampugnani.
Proprio qui tra queste vestigia della Legnano rinascimentale, troviamo l'essenza vera, genuina, delle costruzioni tipiche. La contrada "Mugiato", come si chiamava l'intera zona attuale rione San Domenico tagliato trasversalmente da Via Stallo Aperto, doveva nel XV e XVI secolo essere suddivisa in proprieta' tra un gruppo di famiglie nobili dell'epoca, stando alle denominazioni del censimento Specio e negli stessi acquarelli tramandataci dal Pirovano: casa Vincimale ( la famiglia Vismara, secondo una denominazione piu' vicino a noi), casa Lampugnani i pittori, casa Bossi (famiglia che diede i natali al notaio Bernardino Bossi), oltre alla gia' ricordata casa Lattuada con varie ramificazioni. Indubbiamente la contrada del Mugiato costituiva uno dei nuclei piu' antichi del centro abitato ed aveva la sua estensione fino alla roggia arcivescovile che tagliava il rione di sbieco per proseguire verso sud in parallelo con il tracciato di corso Magenta.
Pare anzi che questa roggia fosse costruita per difesa del nucleo medioevale del borgo di Legnano che aveva come capisaldi il castello Visconteo a sud, il palazzo Vismara sull'Olonella e al centro il palazzo di Leone da Perego. Non e' escluso che la roggia costituisse un vero e proprio vallo attorno a mura di difesa che si fanno risalire al 1257. Alcuni tratti dell'antico muraglione sono riaffiorati in occasione di scavi per costruire nuovi edifici nel primo 1900.
Forse quando si abbatteranno le vecchie casupole di via Gigante ed altre ancora che restano ai lati di corso Garibaldi, affioreranno frammenti di costruzioni ancor piu' antiche a testimoniare un passato della contrada Mugiato che ci riporta agli albori del medioevo e magari piu' oltre per i collegamenti che si possono trovare con i sepolcreti pre-romani di cosro Garibaldi, riportati alla luce dal terreno ove sorge il Museo Civico.
 
Gia' nel rinascimento nella zona di Legnano si contavano svariate chiese ed alcuni conventi di religiosi, in un numero nettamente superiore in rapporto alla popolazione e rispetto ad altri centri della Lombardia.
Legnano pur essendo in tempi antichi un modesto borgo agricolo, aveva dedicato particolari energie e denari alla costruzione di edifici sacri, Le sue chiese sono imponenti e ricche anche in virtu' di opere di insigni maestri del pennello.
Fin dal medioevo e successivamente nell'umanesimo e nel rinascimento, crebbe il numero dei conventi e delle chiese prioprio in concomitanza con periodi piu' dolorosi e tormentati della storia del borgo.
Le sofferenze dovute a dominazioni, a gravi epidemie e allo spettacolo purtroppo ferquente della morte, rafforzavano negli abitanti il sentimento religioso. Abbiano degli esempi notevoli di questa rifioritura di costruzioni sacre. Dalle chiese di campagna erette presso le prime cascine agricole, alla celebre basilica San Magno, per poi non parlare del santuario della Madonna delle Grazie la cui costruzione duro' mezzo secolo. Questa fui fatta a spese del popolo dopo che il cardinale Federico Borromeo diede l'incarico all'architetto arciverscovile Antonio Barca di redigere il progetto.
Vi sono poi decine e decine di cappelle votive ed immagini sacre collocate sui muri delle prime costruzioni in pietra e mattoni.
Legnano ebbe vari conventi, tra i quali i piu? noti e famosi furono l'Ospizio di San Eramo, i conventi delle suore Clarisse e dei frati minori Oblati, nonche' di altri minori, come il convento di Santa Caterina che sorgeva di fronte all'area della sede dell'istituto tecnico Carlo Dell'Acqua; di Santa Maria del Priorato sull'area posteriore del palcoscenico dell'atttuale Cinema Galleria; il convento del Gesu' (con annesso ospedale) che era posto sull'antica via dei Cambiaghi, oggi via Lega, cioe' quello delle suore di via Palestro; di Santa Agnese, situato presso il mulino della mensa arcivescovile, nella zona di piazza IV novembre di oggi.
C'e' una altra ragione in questa abbondanza di chiese e conventi: la zona aveva sempre subito l'influenza di ecclesiastici fin dal primo periodo medioevale, allorche' gli arcivescovi milanesi avevano esteso i loro possedimenti verso le fertili terre all'imbocco della valle Olona.
Lo stesso castello Visconteo di Legnano in origine (e parliano del XI secolo), doveva essere un convento, poi riscattato dall'arcivescovo e signore di Milano Ottone Visconti al quale non era sfuggita la posizione strategica posta proprio al centro della biforcazione creata dai due rami dell'Olona: ideale per poterne fare un maniero fortificato, vedetta avanzata dei suoi possedimenti milanesi.
Proprio in quel convento esistente sul punto ove ora sorge i  castello visconteo si rifugio' nel 1066 San Arialdo, perseguitato dai simoniaci da lui presi particolarmente di mira durante la campagna tendente a riportare la moralita' tra i corrotti ecclesiastici di allora.
Gli arcivescovi di Milano, che avevano oltre al castello anche altre residenze estive e cascinali in Legnano e nella campagne adiacenti, consideravano questi luoghi e forse la stessa Legnano, un feudo.
Un atto di vendita del 1346 parla della "corte di Legnano" invece di indicare la localita' come "borgo di Legnano".
Gli arcivescovi milanesi avevano fatto costruire vari mulini lungo l'Olona per utilizzarli proprio al centro di una pianura molto adatta per essere coltivata a frumento. Ed ecco infatti che abbiamo le varie denominazioni di luoghi e fabbricati che si riallaciano al dominio degli arcivesoci milanesi: "roggia dell'arcivescovo", "palazzo della mensa arcivescovile", "Mulino arcivescovile".
Tra i conventi che ebbero piu' lunga storia nella vita della plaga, ed in particolare del borgo, ricordiamo quello delle Clarisse di Santa Chiara ed era situato al lato dell'attuale corso Italia in angolo con la via Giolitti di oggi. Fu anche adibito pro tempore ad ospedale in occasione delle pestilenze.
Per disposizione dell'imperatore d'Austria nel 1784 l'ospedaletto annesso al convento fu ampliato ed attrezzato con una cinquantina di letti per essere adibito a pellagrosario. Risulta infatti che fu il primo ospedale specializato per la cura della pellagra nel mondo.
Era stato affidato al dottor Gaetano Strambio di Cislago che effettuo' vari esperimenti riuscendo a trovare un efficace metodo di cura del morbo. Il pellegrosario fu poi soppresso da Francesco Giuseppe. Il convento di Santa Chiara fu fondato nel 1492 dal nobile legnanese Rodolfo Vismara ( o Vicemala), governatore della duchessa di Bari e siniscalco dei duchi di Milano. Pure  lo stesso patrizio aveva gia' fatto erigere nel 1468 un convento per i frati minori osservanti denominato "Santa Maria Degli Angeli".
E' conservata ancora nel museo civico una lapide gotica che testimonia appunto l'anno di inaugurazione del convento che era piu' semplicemente chiamato sant'Angelo.
Stando ad un acquarello del Pirovano il convento doveva avere anche un pronao in stile trecentesco. Il che farebbe ritenere l'esistenza di una precedente costruzione, non provata pero' dal alcun documento. Non si comprende ne' giustifica quindi la caratteristica rotonda che si vede in primo piano nell'acquarello del pittore e storiografo legnanese, cosi' accostata al convento di puro stile rinascimentale. Una relazione datata 1724 per l'arcivescovo milanese a firma di tali padri Zaccaria e Giovan Mario fornisce qualche notizia sul convento: "E' grande 78 pertiche, compresi chiesa, clausura, orto; prato e piazza. E' capace di 27 religiosi. nel dormitorio ci sono 26 stanze; nel professorio 5; in basso 6 stanze per forestieri, cucina, dispensa, cavalli, fuoco comune, cantina, capitolo, refettorio, scuola di filosofia ed altri luoghi per comodo del convento e comunita'. E' ben provveduto di lana e di lino. Vi e' libreria mediocre in quantita' e qualita' di libri".
Proprio nella zona in cui sorgeva il convento e la chiesa (la quale ultima fu poi abbattuta verso la fine del 1700, allorche' il convento venne trasformato in conceria)  nell'effettuare gli scavi per la costruzione del museo affiorarono dal sottosuolo preziosi reperti archeologici del periodo pre-romano, tombe ed oggetti vari che dimostrarono l'esistenza di un grande sepolcreto.
La zona stessa era leggermente sopraelevata rispetto al corso dell'Olona e quindi al riparo dalle inondazioni.
Sant'Angelo nel XVI e XII secolo era considerata la chiesa dei nobili e varie famiglie dell'antico borgo avevano voluto costruirvi delle cripte di famiglia. Vi troviamo ad esempio sepolcri dei Bossi da Ravello, dei vari Lampugnani,Prandoni, Oldrini detti "Badini", Borromei, Cornaggia, Draghetti, Vismara, Crivelli, Crespi, Taverna, Stabbi, Prata, Oriano, Cottica, Bartologni, Galvagni, Molinaro  e di varie casate dei Salmoiraghi, con l'indicazione dei rispettivi soprannomi per distinguerli, come "Sacchettoni" "Senati" e "Bottazzoni". Naturalmente vi erano anche i sepolcri dei religiosi del convento.
L'ingegner Guido Sutermesiter ci ha lasciato, oltre a varie piante della chiesa di sant'Angelo e del convento stesso, anche una meticolosa leggenda di questa antica costruzione monumentale, materiale ora conservato nella biblioteca della Societa' Arte e Storia.
Dalle memorie del prevosto Pozzo si apprende che nel 1640 si poteva ancora vedere nella chiesa del convento in pulpito dal quale aveva predicato San Bernardino da Siena.
A monte del convento, ed esattamente nell'attuale localita' "Baita" di Castellanza, si dipartiva dall'Olona una roggia detta appunto roggia di Sant'Angelo che dopo aver tenuto un tracciato parallelo all'odierno corso Garibaldi, piegava verso sud e terminava, disperdendosi, nel borgo dei Melegazzi (la zona di Sant'Ambrogio oggi).
Il convento di Sant'Angelo, dopo aver subito vari rimaneggiamenti nei primi tre secoli di esistenza, venne soppresso nel 1780 per decreto dell'imperatore Giuseppe II.
Venne adibito da prima a conceria, poi a collegio e nel 1896 fu acquistato per settantamila lire dall'Amministrazione Comunale per farne una sede stabile di una scuola elementare. Da allora l'ex convento mantenne l'attuale destinazione.
Le scuole elementari "Giuseppe Mazzini" restarono ospitate nella vasta costruzione opportunamente adattata e trasformata, fino agli anni sessanta. Sull'area del vecchio edificio e' stato realizzato dall'Amministrazione presieduta dal sinda Accorsi un nuovissimo edificio scolastico.
A distanza di due secoli, nello stesso luogo che ospito' la prima scuola di filosofia istituita da frati minori osservanti (sia pur per uso interno), e' tornata a sorgere una modernissima scuola destinata alle future generazioni di cittadini. Uno dei tanti ritorni alle origini, che ricorrono nella storia di varie istituzioni ed edifici di legnano.
 
 
 
note: L'ex convento di Santa Chiara era situato in corso Italia (gia' Corso Vittorio Emanuele II) nel tratto compreso tra l'attuale via Giolitti e Largo Seprio. Era attiguo alla "Casa Magna" dei nobili Vismara.
 
 
Il complesso dell'ex convento di Santa maria del Priorato fu demolito nel 1940. Era situato in via Palestro angolo XXV aprile, sull'area retrostante l'attuale palcoscenico del tratro del galleria. L'abbattimento venne completato nel 1953.
 
 
Era cara ai vecchi legnanesi la cappelletta che prendeva il nome da una ammonizione scritta sulla facciata: "Dio ti vede".
Era posta al quadrivio tra Legnano, Canegrate, San Giorgio e il Castello. La cappelletta era compresa tra i beni della fabbriceria di Legnanello, la quale verso il 1923 aveva fatto effettuare lavori di restauro.  Pur essendo in territorio di San Magno la cappelletta apparteneva alla parrocchia del Santissimo Redentore in quando  era proprieta' del sacerdote Lodini che morendo nomino' suo erede il parroco di Legnanello don Giacomo Zaroli e da lui pervenne la fabbriceria.
La chiesina fu realizzata attorno al 1895 e le opere murarie vennero affidate al capomastro Antonio Porrini di Parabiago. In quello stesso luogo si ritiene  fosse esistita una precedente edicola votiva sacra, tappa fissa delle rogazioni, cioe' le rituali processioni in uso presso le popolazioni agricole che si svolgevano per tre giorni consecutivi prima dell'Ascensione allo scopo di implorare un buon raccolto. La nuova cappelletta non presentava comunque all'interno opere d'arte degne di nota.
Tra i dipinti, uno ritraeva una Madonna con Bambino tra San Gregorio Magno e San Giovanni Evangelista, quest'ultino con in mano un calice dal quale fuoriusciva un serpente: sul lato destro vi era l'adorazione dei magi e sul lato opposto alcune figure di santi o monaci non identificabili.
La necessita' di ampliare in quel punto la strada che unisce Legnano a Canegrate aveva indotto alcuni anni fa il Comune ad eliminare la cappella. Si commise pero' l'imperdonabile errore di non conservare nulla della vetusta costruzione sacra. Sul posto che ora viene denominato "Dio ti vede" doveva almeno essere lasciato un segno, un qualche elemento della cappella a ricordare alle future generazioni il perche' di quella denominazione, anche in omaggio ad una antica tradizione di fede alimentata per lunghi anni da molti legnanesi
 
 
La sede della residenza comunale era ubicata prima del 1862 in una casa antichissima di proprieta' dei marchesi Cornaggia al lato sud ovest dell'attuale piazza San Magno e piu' precisamente nel punto in cui ora sorge la galleria INA. Fino al 1893 gli uffici comunali si riducevano ad una stanza situata al piano terreno della vecchia casa Cornaggia e successivamente vennero aggiunti due locali al primo piano ed ai quali oltretutto si accedeva da un altro ingresso posto sull'estrema parte destra dell'edificio.
Temporaneamente la residenza municipale, in attesa di una sede piu' dignitosa e definitiva, fu trasferita nel 1862 in piazzale Carroccio (che a quel tempo si chiamava "Piasso dei puii", cioe' piazza dei polli) in un edificio, pure di proprieta' dei marchesi Cornaggia, completamente assunto in locazione del Comune onde ricavarvi anche i locali per le scuole elementari e per la guardia nazionale. Nel 1824 l'amministrazione civica acquisi' una ex filanda appartenente alla ditta E. Kramer & C. che si estendeva da "Piazza Maggiore", come era chiamata allora la piazza San Magno, fino a vicolo Lanino, oggi piazza Europa) e con opportuni adattamenti vennero trasferiti in questo vecchio fabbricato sia gli uffici comunali che le scuole elementari.
L'aumento notevole della popolazione aveva imposto una completa riorganizzazione degli uffici e dei servizi e la soluzione, sia pur provvisoria, venne allora considerata ideale.
Per realizzare il nuovo palazzo Municipale, nei primi anni del 1900 fu indetto un concorso al quale furono invitati i migliori architetti dell'epoca.
Era il 12 settembre 1904 quando il consiglio comunale approvo' il bando di concorso a premi stabilendo  una spesa di realizzazione che non doveva superare le cento mila lire. Il concorso si chiuse il 31 gennaio dell'anno successivo ed undici furono i concorrenti i cui progetti vennero sottoposti ad una apposita commisione tecnica che scelse quello dell'architetto Aristide Malinverni.  Questo aveva proposto un palazzo a tre piani in stile neo lombardo, che rispetto agli altri si staccava per maestosita' di concetto, per la razionalita' interna nonche' per gli ornamenti che richiamavano il passato storico della citta' del Carroccio.
L'architetto Malinverni volle ad esempio che la sala del Consiglio fosse interamente decorata con grafiti con riprodotti gli stemmi delle citta' di tutta Italia. Il cortile con porticato e vestibolo d'ingresso principale con la riproduzione dei bassorilievi che figuravano sul monumento alla battaglia di Legnano, del Butti, completavano l'imponente opera.
La prima pietra dell'edificio fu posta il 10 agosto del 1908 e nell'ottobre dell'anno successivo venne terminata la prima parte del palazzo costruita sull'area libera di fianco alla vecchia casa comunale gia sistemata nella ex filanda.
L'inaugurazione avvenne il 28 novembre 1909 alla presenza del Prefetto senatore Panizzardi. La spesa preventiva in centomilalire, venne superata di ben tre volte. Il Palazzo Comunale, ancor oggi chiamato Malinverni dal nome del progettista costo' infatti complessivamente 346.388 lire e 80 centesimi comprese alcune opere accessorie e l'arredamento della sala del consiglio, della sala giunta e dgli uffici esenziali. In un secondo tempo venne realizzata l'ala prospiciente la via Franco Tosi dalla sala del consiglio fino all'attuale piazza Europa.
Palazzo Malinverni e' da vari anni insufficiente e gia' si pensa ad una nuova e piu' ampia sede in grado di ospitare tutti gli uffici delle varie ripartizioni, alcuni dei quali hanno gia' dovuto essere decentrati nel vicino palazzo Italia, ex casa del Littorio.
 
 
 
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