Legnano story - note personali
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Breve guida alla visita delle sale Archeologiche del Museo
 
Le raccolte archeologiche del Museo Civico di Legnano sono il risultato di una assidua ricerca condotta dall'Ing. G.Sutermeister negli anni tra il 1925 ed il 1964, nel territorio della citta' e nelle zone limitrofe. Grazie all'appassionato studioso, intorno al quale si riuni' ben presto un gruppo di sostenitori che diede vita alla "Societa' Arte e Storia" Legnano, si rese possibile, nel 1928, la costruzione, con l'utilizzo dei resti originali, di un edificio che riprendeva la pianta della dimora quattrocentesca della famiglia Lampugnani che divenne la sede del Museo cittadino.
Al materiale portato a luce direttamente da Sutermeister, in qualita' di Ispettore Onorario della Soprintendenza alle Antichita' della Lombardia, si aggiunsero pezzi provenienti dalla Puglia, dove egli si reco' per lavoro. Dal 1964 in poi la collezione si arricchi' di piccole donazioni o di depositi, oltre ai reperti dell'eta' del Bronzo recuperati nel 1970 dal gruppo dei Subacquei legnanesi nel Lago di Monate.
La sistemazione operata da Sutermeister del materiale archeologico evidenziava principalmente le localita' di provenienza; in quella del 1970 a cura della dottoressa A. Soffredi il criterio che prevalse fu quello cronologico che avvicinava anche materiali di provenienza diversa purche' coevi.
L'attuale esposizione presenta il materiale collocato nelle due sale secondo i seguenti criteri:
Sala della Loggetta - reperti esposti cronologicamente per contesti tombali e per provenienza
Sala della Torre - reperti di eta' romana esposti per tipologia ed uso.
Del materiale archeologico si e' operata una selezione,  destinando al magazzino reperti di provenienza e forme analoghe a quelli esposti, per evitare eccessiva ripetitivita'; si sono riservati all'esposizione materiale utili ad un discorso didattico riferito prevalentemente, ma non esclusivamente, alla storia delle culture del "legnanese".
Il nuovo allestimento esclude per il momento le monete, da valorizzare in altra sede, tranne che per i pochissimi casi in cui esse sono legate a nuclei di materiali esposti. Una parte, purtroppo esigua, delle raccolte e' stata oggetto di restauro secondo le piu' avanzate metodologie.
 
 
La sala conserva oggetti recuperati prevalentemente da necropoli; i reperti di Monete rappresentano la sola testimonianza archeologica proveniente da un contesto abitativo. Percio' i diversi tipi di sepoltura, relativi ad epoche e culture differenti, ci permettono di tracciare, per Legnano e zone limitrofe, il cammino della civilta' a partire dall'eta' eneolitica e ci fanno comprendere e conoscere piu' a fondo la vita degli antichi abitanti della nostra zona.
A partire dall'eta' preistorica si distinguono diversi tipi tombali legati al differente rito del seppellimento del cadavere.
Per l'eta' preistorica e protostorica il rito prevalente e' quello dell'incinerazione, con ossa combuste e ceneri deposte in urne aventi forma e decorazioni varie, contenenti oggetti cari al defunto poste nella terra in fosse semplici e contornate da ciottoli o lastre di pietra.
Per la prima eta' romana ed imperiale il rito diffuso nel legnanese e dintorni e' ancora l'incinerazione con ossa combuste e ceneri deposte variamente e con corredo tombale piu' o meno ricco a seconda del censo e delle possibilita' economiche del defunto e della famiglia: in anfore segate o in cassette cubiche formate da tegole d'argilla, deposte semplicemente nella terra, in sarcofagi e casse litiche di diverse forme, spesso recanti iscrizioni riguardanti il defunto.
Per la tarda eta' romana il rito ormai piu' comune e' quello della inumazione con deposizione del cadavere, sempre con il relativo corredo, in tombe denominate "alla cappuccina", costituite da tegoloni d'argilla disposti a spiovente.
Data la consistenza numerica, delle tombe, sopratutto di quelle romane, viene spontaneo, chiedersi dove fossero ubicati gli abitati relativi a necropoli di tali dimensioni. A questo proposito le testimonianze archeologiche, pertinenti del resto solo ad epoca romana, sono scarse: poche fistule (- condutture) per l'acqua, alcune anfore vinarie ed olearie e un frammento di suspensura (indice quest'ultimo reperto dell'esistenza di un ambiente termale).
Dobbiamo percio' auspicare che future ricerche possano fornirci indicazioni piu' precise.
 
 
Il materiale e' organizzato per tipologia e secondo l'uso.
Viene presentato "l'instrumentum demesticum": la ceramica con le sue classi, contenitori, in vetro per olii e profumi, oggetti d'ornamento e da toilette, utensili per il lavoro quotidiano. Tutti gli oggetti, esposti secondo questo criterio, ci permettono di ricostruire idealmente la vita e sopratutto danno indicazioni abbastanza attendibili sul mondo del lavoro nel territorio legnanese.
 
 
Eneolitico finale 2000 - 1800 a.C.
 
La preistoria, che comprende un arco cronologico dal Paleolitico all'eta' del Bronzo, e' documentata per la prima volta a Legnano con il rinvenimento di alcuni frammenti relativi ad un vaso dell'eneolitico finale, attribuibile alla civilta' di Remedello.
Tale civilta' si diffuse sopratutto in Italia settentrionale, particolarmente nella Valle Padana e prende nome da una delle localita' in cui tali vasi furono rinvenuti.
Caratteristiche di questa "facies" culturale, contraddistinta dal rito funerario della inumazione con cadavere rannicchiato, e' il vaso denominato campaniforme per il suo profilo somigliante ad una campana rovesciata e decorato, nella Valle Padana generalmente a zone, nello stile "internazionale" con fasce orizzontali lisce alternate ad altre compite da rombetti incisi, puntini o linee disposte a lisca di pesce, distribuite regolarmente sulla superficie del vaso. Solitamente la decorazione e' eseguita a pettine. Tale recipiente presenta stretta attinenza con materiale simile della Francia meridionale e della Spagna.
Si trattava probabilmente di un oggetto di importazione, particolarmente pregiato, poiche' si distingue dal resto della ceramica cui si accompagnava, oltre che per l'ornato anche per la finezza dell'impasto.
Dallo studio dei corredi tombali delle necropoli della Valle Padana (Remedello, Fontanella Mantovana etc.), risulta evidente la grande varieta' degli oggetti deposti presso i defunti; tutte le industrie sono rappresentate : selce scheggiata, pietra levigata, osso, corno, tessuti, ornamenti in metallo, ceramica.
Tutti questi manufatti testimoniano gli intensi rapporti commerciali dei "remedelliani" con l'ambiente franco-iberico e mostrano un quadro della civilta' portatrice del vaso campaniforme. La frequenza delle armi nei corredi fa pensare ad un popolo bellicoso, cacciatore: all'agricoltura possono riferirsi invece le asce di pietra levigata.
La varieta' degli oggetti d'ornamento prodotti e acquistati, mette in evidenza una considerevole ricchezza, almeno da parte di alcuni individui, i cui corredi comprendevano manufatti anche in argento.
Gli studiosi ipotizzano percio' una cultura omogenea, legata ad un gruppo etnico a se stante, dedito anche ai commerci, grazie all'utilizzo delle vie fluviali per gli spostamenti.
Nel Museo e' presentata parte di una larga scodella campaniforme rinvenuta in frammenti dall'Ing.Guido Sutermeister tra il 1926 ed il 1928 in localita' "Paradiso" nella zona detta "La Montagnola"; durante i lavori di scavo per la creazione della strada provinciale che unisce Castellanza e Busto Arsizio con Saronno.
 
 
Lago di Monate (Bronzo medio e recente 1600 - 900)
 
Le ricerche di abitati preistorici palafitticoli nel Lago di Monate sono testimoniate a partire dal 1864, anno in cui furono individuate due palafitte a Cadrezzate (Varese), cui venne dato il nome corrispondente alla denominazione delle due localita' dove giacevano le stazioni: "Pozzolo" per la palafitta sud e "Sabbione" per la palafitta nord.
La terza stazione, quella dell'"Occhio", presso Travedona Monate, venne scoperta nel 1876.
I lavori di ricerca proseguirono per alcuni anni successivi ed i materiali, recuperati con la draga, si trovano presso il Museo Giovio di Como ed il magazzino dei Civici Musei di Villa Mirabello di Varese.
Le stazioni vennero poi esplorate dopo il 1970 quando i primi gruppi di sommozzatori sportivi, durante i loro allenamenti, raccolsero alcuni resti. Proprio in quegli anni il gruppo subacquei di Legnano guidato da Luraschi e Pontiggia recupero' dalla palafitte del Sabbione e dall'Occhio il materiale esposto nel Museo.
La Sopraintendenza alle Antichita' della Lombardia autorizzo' quindi dal 1974 il rilievo della topografia nella palafitta dell'Occhio e, tra il 1980⁄81 quella della stazione del Sabbione, di ampiezza tale da costituire un abitato molto rappresentativo e ricco di informazioni. Le ricerche tuttora in corso hanno permesso di localizzare topograficamente l'area interessata dal complesso preistorico e di delimitare lo specchio lacustre preso in esame stendento sul fondale un reticolo di corde onde mettere in evidenza l'area dello stanziamento palafitticolo.
Ne e' risultata una struttura rettangolare di mt. 140 x 50 che, per comodita' di rilievo e scavo, e' stata suddivisa in 70 quadrati ciascuno di mt. 10 per lato, denominati settori.
Il rilevamento topografico nei settori I - II ha permesso di individuare una struttura di pali assai interessante, forse il confine sud-occidentale dell'abitato.
Il materiale esposto giaceva alla base dei pali dell'impalcatura palafitticola ed e' frammentario perche' e' stato rinvenuto in un contesto abitativo; comprende essenzialmente ciotole e pareti distinte con orlo estroflesso, vasi bitroncoconici, olle con anse a nastro verticale, accette in pietra, punte di freccia, forme per fusione, brassard, pugnaletti e spillone in bronzo.
 
 
Fine XIV - XIII sec a.C.
 
L'area di diffusione della cultura di Canegrate, ascrivibile alla tarda eta' del bronzo, comprende parte della Lombardia occidentale, la provincia di Novara ed il Canton Ticino. Deriva il suo nome dalla localita' di Canegrate, presso Legnano, una delle piu' importanti necropoli.
La cultura di Canegrate e' probabilmente legata a popolazioni di origine Centro-Europea scese in Italia attraverso i valichi svizzeri, come e' testimoniato dall'analisi dei corredi tombali che documentano fitti scambi commerciali con le zone a nord delle Alpi.
Il rito funerario e' caratterizzato dalla cremazione; le ossa combuste e le ceneri erano deposte in un'urna di forma biconico-lenticolare (doppio tronco di cono sovrapposto schiacciato), collocata frequentemente capovolta, in una semplice buca in nuda terra o piu' raramente in un loculo a cassetta di beole e ciottoli. In molti casi l'urna conteneva resti di piu' individui, come e' testimoniato dalla tomba 9, depositata presso il Museo Civico di Milano, che conteneva i resti di ben 5 defunti.
Il corredo comprendeva oggetti di bronzo di carattere ornamentale (armille, orecchini, pendagli, spilloni, torques) ed armi (spade, pugnali, coltelli), elemento caratterizzante di molti corredi. Tale materiale, proveniente dal rogo, appare deformato per effetto termico; e' piu' rara la deposizione di oggetti interi o spezzati ritualmente.
Nell'ambito della ceramica si nota una distinzione tra quella fine e quella grossolana o d'uso domestico. La ceramica "fine" ha impasto depurato, presenta una superficie lisciata, lucida o semilucida di colore nero o terra bruciata; la decorazione consiste in fasci di leggere solcature verticali, oblique e orizzontali, talvolta inframezzate da coppelle con bugne rilevate al centro, di cerchiolini impressi, triangoli a falsa cordicella etc.. La ceramica "domestica" presenta invece impasto grossolano, superficie opaca di colore giallastro o giallo-nerastro.
Le forme comprendono vasi troncoconici e ollette ovoidali, a botticella con labbro esoverso. La decorazione e' generalmente eseguita a colpi di stecca, impressioni a unghiate ed a polpastrello; gli orli sono decorati a tacche. Il materiale presentato nel Museo fu recuperato dall'Ing. Sutermeister in due momenti successivi: nel 1926 e nel 1952, anno quest'ultimo in cui la necropoli fu scavata sistematicamente dal prof. Rittatore Vonwiller per conto della Soprintendenza alle Antichita' della Lombardia.
La maggior parte degli oggetti recuperati e' depositata nei Civici Musei di Milano.
 
 
IX - IV sec. a.C.
 
Durante la prima eta' del ferro nella Lombardia occidentale, fino al corso del Serio, si sviluppa la cultura di Golasecca, che comprende anche il Canton Ticino, la Val Mesolcina e il Piemonte fino al corso della Sesia. Si estende cronologicamente dalla fine dell'eta' del bronzo all'invasione gallica, prende il nome dell'abitato di Golasecca in provincia di Varese; all'uscita del Ticino dal Lago Maggiore, in cui furono rinvenuti i primi sepolcreti e presenta tre zone di maggiore densita' demografica: i dintorni di Como, in cui e' rappresentato tutto l'arco di sviluppo della cultura, la zona immediatamente a Sud del Lago Maggiore (Sesto Calende, Castelletto Ticino, Golasecca) in cui la documentazione copre dal IX all'inizio del V sec. a.C. e la zona dei dintorni di Bellinzona in cui la documentazione copre un arco di tempo dal VI sec. fino agli inizi dell'eta' romana. Grazie allo studio dei reperti ceramici e metallici e' stata divisa dagli studiosi in tre periodi, articolati a loro volta in fasi e sottofasi:
PROTOGOLASECCA      ..... XII - X  sec. a.C.
GOLASECCA IA        ......IX - VIII sec. a.C.
GOLASECCA I B⁄C     ......VIII - VII sec. a.C.
GOLASECCA II A      ......600 - 550  a.C.
GOLASECCA II B      ......550 - 500  a.C.
GOLASECCA III       ......500 - 350  a.C.
Il rito funerario caratteristico e dominante della cultura e' quello della cremazione; le ossa combuste e le ceneri del defunto venivano deposte in urne, ricoperte da una ciotola-coperchio capovolta, sotterrate nella nuda terra o in un pozzetto rivestito di ciottoli o lastre di pietra. Il corredo e' costituito da ceramiche, bronzi e ferri (armi, oggetti d'ornamento).
La ceramica funeraria si distingue nettamente da quella d'uso domestico per l'impasto meno grossolano e per la decorazione piu' raffinata.
L'urna di forma biconica, con imboccatura svasata, e' solitamente decorata a fasce sovrapposte di motivi geometrici ("denti di lupo", reticoli, linee oblique) impressi "a cordicella" o incisi a stecca; in epoca piu' recente assume forma piu' tondeggiante ed e' decorata da motivi a reticolo e spina di pesce resi a stralucido o da fasce rosse e nere.
Si distinguono, oltre alle urne, coppe, ciotole, tazze e bicchieri.
Per quanto riguarda il corredo bronzeo, elemento caratterizzante risulta la fibula, oggetto metallico per abbigliamento con funzione di spilla di sicurezza. La forma di tale oggetto, e soprattutto la foggia dell'arco, varia nel tempo e quindi assume un ruolo essenziale nell'ambito degli elementi che concorrono a datare un corredo funerario. Oltre alle fibule i corredi comprendono oggetti d'ornamento personale: ganci e passanti per cintura, anelli da dito, armille, pendagli e catenelle da toilette: nettaunghie, nettaorecchie, pinzette etc.; vi sono poi le armi (spade, punte di lancia, coltelli, etc.) e le situle, cioe' vasi metallici di forma troncoconica (secchi) e cui scopo pratico e rituale era quello di contenere e trasportare liquidi.
Il materiale presentato, rinvenuto in occasione dello scavo per la costruzione del Museo, comprende otto tombe a pozzetto a cremazione assegnabili cronologicamente alle ultime fase della cultura, cioe' al Golasecca II e III (VI - IV se. a.C.).
L'abbondanza di rinvenimenti assegnabili al Golasecca IIIA, caratterizzato nella ceramica e nella bronzistica da influenze dell'arte etrusca e la mancanza delle fasi precedenti si puo' mettere in relazione con la grande espansione commerciale etrusca nell'Italia settentrionale durante il V sec. a.C.. Gli etruschi esportano infatti in questo periodo oggetti di lusso, destinati all'aristocrazia celtica dei paesi transalpini. Queste espansioni avvengono tramite la zona degli ultimi stanziamenti golasecchiani la cui funzione e' dunque quella di mediazione.
 
 
IV - I° secolo a.c.
 
La seconda eta' del ferro puo' essere collocata cronologicamente verso i IV sec. a.c. quando gruppi di Celti valicano le Alpi stanziandosi in parte dell'Italia settentrionale e centrale.
Secondo lo storico romano Tito Livio (V, 34) i Celti furono spinti alla migrazione verso l'Italia da un incremento demografico e quindi dalla necessita' di trovare nuove terre da coltivare. Si ipotizza una invasione avvenuta in ondate successive; a Roma i Celti vennero chiamati dai Galli e con il passare del tempo furono del tutto assorbiti nel mondo romano; questo fenomeno e' piu' evidente dopo la 2° guerra punica.
Per quanto riguarda l'Italia Settentrionale, le zone subalpine e la pianura a nord del Po, soprattutto l'odierna Lombardia, furono quelle in cui l'espansione avvenne piu' rapidamente; probabilmente i villaggi celti che si costituirono avevano una economia prevalentemente agricola. In Lombardia le zone degli stanziamenti celtici furono essenzialmente 2: quella compresa tra i fiumi Ticino ed Oglio, abitata da Insubri, con capitale Mediolanum e quella tra i fiumi Oglio e Mincio, abitata dai Ceromani, con capitale Brixia.
La cultura celtica e' denominata La Tene dal luogo del rinvenimento di materiale attendibile a questa civilta', una localita' situata sul lago Neuchatel. Questa cultura, venuta a contatto con quelle locali si modifico' e fuse con essa, assumendo un aspetto tipico che ha indotto gli studiosi a suddividerla in fasi e sottofasi.
LA TENE A: 475 - 375 circa a.c. Antico la Tene
LA TENE B: 375 - 250 circa a.c. Antico la Tene
LA TENE C: 250 - 100 circa a.c. Medio  la Tene
LA TENE D: 100 - 30  circa a.c. Tardo  la Tene
In Lombardia i resti archeologici celtici sono costituiti essenzialmente da necropoli non molto estese; il rito funerario e' l'inumazione, almeno fino al II sec. a.c.. Anche per la civilta' La Tene i corredi tombali hanno fornito utili indicazioni sugli usi e costumi dei Celti. Elementi fondamentali dei corredi gallici sono ceramiche, gli oggetti d'ornamento personale e le armi.
Per quanto concerne la ceramica, il prodotto tipico e' la fiasca-contenitore di liquidi, denominata "vaso a trottola" per analogia, nella forma, con il giocattolo per bambini. Particolare rilievo assume, trattandosi di popolazioni guerriere, la lavorazione del metallo, utilizzato soprattutto per elmi, punte di lancia, coltelli e spade ma che per la fabbricazione delle stipule (secchi di forma tronco conica) per contenere liquidi.
Il materiale presentato al Museo appartiene ad una tomba rinvenuta in una cava di ghiaia in localita' Pontevecchio, a Magenta, ed e' riconducibile cronologicamente al La Tene D, per la tipologia dei bronzi e per i materiali ceramici di imitazione campana. Durante tale periodo la Lombardia subisce sempre maggiori influssi culturali dal mondo romano.
Le sepolture infatti sono caratterizzate dal rito misto dell'inumazione e della incinerazione, da una maggior diffusione del vaso a trottola, da un forte aumento della ceramica che si puo' distinguere in tre gruppi: ceramica locale, fine, spesso imitante le forme di quella campana (patere, scodelle bicchieri), ceramica d'impasto grossolano ( ciotole, scodelle, scodelloni, ollette, coppette), ceramica di importazione o ceramica tipicamente romana (olpi, urne, lucerne).
Nell'ultimo trentennio del I° sec. a.c. i corredi tombali gallici diventano indistinguibili da quelli romani, tuttavia alcune forme di tradizione gallica sopravviveranno, in particolar modo tra la ceramica della nostra zona,  nei corredi romani di via Novara, Cascina Pace, San Giorgio su Legnano, San Lorenzo di Parabiago, Gorla Minore ecc.
 
 
 
L'epoca romana non segna un taglio netto con quella precedente: nelle necropoli perdura  il rito dell'incinerazione, solo piu' tardi si passera' all'inumazione; nei corredi tombali, accanto ai vasi a trottola, di tradizione celtica, compaiono patere e coppe prima in ceramica e vernice nera, poi in ceramica arretina o di imitazione arretina, di tradizione romana, attribuibili particolarmente alla prima eta' imperiale.
Molto ben documentato infatti dai reperti rinvenuti nelle necropoli, e' il periodo compreso tra l'Impero di Augusto e quello di Caligola, cui risalgono le deposizioni di via Novara, via per Castellanza, via Roma, via Fogazzaro ecc. Allo stesso orizzonte cronologico sono riferibili le necropoli dei dintorni di Legnano: Canegrate, San Giorgio su Legnano, San Vittore Olona, San Lorenzo di Parabiago ecc.
Le deposizioni di Inveruno, Ossona e Bienate, pure assegnabili all'epoca menzionata, sono relativamente meno comprese nel territorio legnanese e sono forse in relazione ai rinvenimenti effettuati lungo l'antico percorso che metteva in comunicazione Milano a Novara.
Il materiale reperito nelle necropoli, la notizia dell'esistenza di un resto di muro in via Dandolo, un piccolo frammento di coccio-pesto di via Taramelli e parte di una tubazione fittile, sono le uniche testimonianze disponibili per la formulazione di qualche ipotesi sulla situazione territoriale di Legnano e zona in eta' romana. Secondo l'eminente studioso della storia passata di Legnano, prof. Augusto Marinoni, l'antico termine che designava Legnano, cioe' LENNIANUM sarebbe da ricondurre al nome del fondo di LENNIUS o LAENIUS. Doveva forse trattarsi di un podere sempre piu' abitato fino a divenire un VICUS  provvisto di una propria, benche' modesta, amministrazione. L'ipotesi sul numero consistente degli abitanti del VICUS e' confermata dalle stesse necropoli rinvenute. Di questo abitato altro non si puo' dire se non che doveva forse collocarsi all'incrocio fra uno dei cardini e uno dei decumani della centuriazione di Mediolanum: le attuali via Novara e Sempione.
 
 
I sec. d.c.
 
L'ingegner. Sutermeister vi effettuo' scavi sistematici e recupero di materiale tra il 1927 ed il 1934. Nel 1934 nel fondo dei fratelli Della Vedova in via Marco Polo 3, ad est del paese vennero, a luce 9 tombe a cremazione con relativo corredo. Cinque sepolture conservavano gli oggetti deposti in semplici buche tondeggianti con residui del rogo, una tomba aveva il cinerario sotto forma di anfora, nelle altre tre il corredo era deposto in cassette cubiche formate da tegoloni d'argilla. I corredi tombali presentati nel Museo comprendono: patere in ceramica a vernice nera locale, in ceramica domestica, bicchieri in pareti sottili, balsamari in vetri, olpi; tra questo materiale spicca per raffinatezza un bicchiere di tipo "ACO" decorato da arcate sostenute da colonnine in cui sono collocati alberi; questo bicchiere reca, in rilievo, le lettere "G. R.T. R.U.B.R.I.U.", forse il nome del fabbricante. Seguono poi utensili in ferro d'uso comune; rasoi, cesoie, martellini scalpelli, compassi. Anche poche monete, rinvenute in tali contesti, indicano l'eta' augustea come dato cronologico per queste tombe.
 
 
I sec. d.c.
 
E' la piu' ricca tomba romana dell'inizio dell'impero presentata nel Museo. Fu scoperta nel 1946 dall'Ing. Sutermeister; e' composta da una cassa litica di forma cubica in calcare bianco di Saltrio (esposta nel portico) che conteneva, sopra le ossa combuste del defunto, una lucerna con bollo, due balsamari e una brocchetta. Fuori della cassa, ad est e ovest, erano deposti piu' di 50 oggetti di corredo di fattura pregevole, la maggior parte dei quali perduta durante i lavori nel campo.
Sono rimaste alcune patere e coppette in terra sigillata con bollo in "planta pedis", bicchieri in pareti sottili, due olpi, una delle quali reca graffiti i termini "VIN⁄OINU" ed infine una "sella plicatilis" in ferro, abbastanza ben conservata. Il tipo di sepoltura, la qualita' della ceramica e il sedile pieghevole, oltre ad indicare per questa tomba la data del I sec d.c., ci segnalano che il defunto deposto nella cassa doveva essere di alto censo e di notevoli possibilita' finanziarie anche se la tomba non reca l'epigrafe con il nome e i titoli del defunto ( come era solito per chi fosse molto facoltoso) ed il corredo comprende come unico oggetto d'uso personale la "sella plicatilis".
 
 
I sec. d.c.
 
Nel 1925 l'ingegner Sustermeister porto' alla luce un importante sepolcreto che annoverata circa 200 tombe ad incinerazione nel terreno situato lungo il tratto di via Novara, delimitato da via Giusti e via Firenze. In base ai dati disponibili non e' stato possibile ricostruire interamente i corredi tombali ma e' necessario evidenziare che le varieta' del materiale recuperato e la fattura pregevole di molti manufatti denotano un certo benessere sociale dei defunti. Si ricorda la presenza, nei corredi, oltre che di vasellame in ceramica grezza e depurata, di piatti e coppe in terra sigillata, bicchieri in pareti sottili, balsamari in vetro, anelli, armille, bottoni, piccoli astucci tubolari in bronzo, specchi di forma circolare, utensili in ferro, prevalentemente rasoi, cesoie, coltelli di forme diverse, chiodi. Il Museo presenta alcuni tra i corredi piu' completi di materiale, proprio per  fornire una esemplificazione della qualita' degli oggetti recuperati.
 
 
I sec. a.c.
 
Anche a San Vittore Olona l'ingegner Sutermeister, in seguito a segnalazioni, effettuo' alcuni scavi per il recupero di materili tra il 1947 e il 1960 in due zone della citta': nel territorio sito lungo il corso del Sempione angolo via Parini e nel fondo di via Concordia 33. Si rinvennero numerose tombe ad incinerazione per lo piu' costituite da anfore segate, appartenenti cronologicamente al I sec. d.c. . I corredi tombali comprendevano olpi, patere in ceramica comune, coppe e patere in terra sigillata, bicchieri in pareti sottili, urnette, balsamari in vetro.  Il Museo presenta un corredo tombale probabilmente completo, deposto in una anfora segata che conteneva ancora i resti delle ossa del defunto.
 
 
eta' di Augusto
 
A San Giorgio su Legnano furono recuperati i corredi provenienti da due sepolcreti esplorati dall'ingegner Sutermeister nel 1925 (nel fondo Vignati) e nel 1952 (nella proprieta' Mezzenzana). Si tratta di sepolture assegnabili cronologicamente alla prima eta' imperiale, comprendenti corredi posti, insieme alle ossa combuste dei defunti, in cassette di tegoloni, anfore segate, cinerari o buche nella nuda terra. I Manufatti non si discostano per tipologia e per cronologia dal materiale presentato e proveniente dalle necropoli di San Lorenzo, San Vittore Olona, via Novara, ecc.
 
 
IV sec. d.c.
 
La tarda eta' romana, che segna una certa continuita' con il periodo precedente, e' documentata in Legnano e dintorni da di sepolcreti, per la verita' non molto consistenti per numero di tombe, e da alcune sepolture isolate rinvenute nella citta' e nelle sue vicinanze. Si tratta prevalentemente di sepolture "alla cappuccina", con rito inumatorio e di altre che invece mantengono l'uso dell'incinerazione e della deposizione in cinerari d'argilla e cassette formate da tegoloni. Il materiale esposto proviene da scavi e recuperi che l'ingegner Sutermeister effettuo' tra il 1925 e il 1926 a Legnano, in localita' "costa di San Giorgio", sito in cui venne  localizzata una piccola necropoli in cui fu usato sia il rito dell'incinerazione che quelle dell'inumazione. I corredi comprendono olpi in ceramica invetriata, ciotole, urne vasellame in ceramica grezza, coltelli cesoie, rasoi, fibbie per cinturoni. Da questa necropoli proviene la tomba alla "cappuccina" ricostruita nel portico. Sempre a Legnano in via Leoncavallo, nei pressi della strada provinciale che porta da Castellanza a Saronno, venne data alla luce un'altra sepoltura alla "cappuccina" il cui corredo comprende i soliti vasi accessori, un coltello-pugnale in ferro, una fibbia per cinturone ed alcune monete illeggibili, A Bienate, tra il 1923 e il 1930, nella zona nord ovest del paese, ad ovest della strada comunale per Busto Arsizio, in prossimita' di via Mazzini, vennero recuperate altre tombe ad incinerazione che, grazie alle monete poste nei corredi, dimostrano che questo sepolcreto ha avuto una fase di utilizzo nel IV sec. d.c. (5 monete di Costanzo II e Magnenzio) ma fu in uso anche durante la prima eta' imperiale (moneta di Claudio II), testimonianza, quest'ultima, di una continuita' di frequentazione della necropoli.
 
 
 
Paolo Diacono (720 circa - 799 circa), un longobardo di Cividale del Friuli, nella sua "Historia Longobardum" afferma che la Scandinavia fu terra di origine del popolo longobardo. Pochi anni prima della nascita di Cristo, gli scrittori romani segnalano la presenza dei longobardi lungo il basso corso dell'Elba. Le fonti romane del I sec. d.c. confermano gli stanziamenti dell'Elba. Si deve ritenere che in base alle risultanze delle ricerche archeologiche, che la presenza longobarda lungo i due lati del fiume Elba preceda di molto le notizie storiche e prosegua fino a tutta la prima meta' del V sec... Nel 489, i Longobardi occupano i territori posti immediatamente a nord di Vienna, in una zona precedentemente abitata dai Rugi (Rugiland). Attorno al 525, ma forse in due riprese (525 e 545), i Longobardi passano il Danubio e si stabiliscono in Pannonia (Ungheria). Nel 568, guidati da Alboino, lasciano la Pannonia per raggungere l'Italia. Il regno longobardo ha termine nel 774 con la discesa in Italia di Carlo Magno.
 
 
 
Nel 568, passate le Alpi Giulie, i Longobardi prendono possesso di Cividale del Friuli. Proseguno la loro marcia occupando Verona, Milano e ponendo l'assedio a Pavia che resiste fino al 572. Contemporaneamente, una parte dell'esercito si spinse verso il sud dell'Italia, lungo la dorsale appenninica, conquistando Spoleto e Benevento. Dopo aver resistito agli attacchi dei Franchi e del Bizantini, sul finire del VI sec, il regno longobardo assume una sua stabile fisionomia. L'Italia Longobarda risulta suddivisa in ducati e gastaldati, i ducati piu' vasti sono quelli di Benevento e di Spoleto; Pavia, in alternanza con Milano, fu la capitale del regno.
 
 
 
Il regno longobardo e' suddiviso in ducati e gastaldati. I primi sono posti sotto la giurisdizione di un duca, i secondi sotto quella diretta del re che, per la tutela dei suoi interessi, pone a capo del territorio un gastaldo. In Italia, durante il regno longobardo si ha la presenza di:
- ARIMANNI (uomini liberi, atti alle armi, padroni dl loro mundio, cioe' della capacita' di rappresentarsi)
- ALDII - (semi-liberi, non solo padroni del loro mundio, quindi devono rientrare nel mundio di un arimanno)
- SERVI - (sono semplicemente delle cose di proprieta' di un arimanno)
Anche le donne longobarde non sono padrone del loro mundio e devono essere rappresentate da un arimanno, del mundio del quale appartiene. Agli antichi "possessores" romani subentrano i maggiorenti longobardi che utilizzano una parte del latifondo in proprieta', laciando ad altri, dietro corresponsione di un contributo, lo sfruttamento della parte restante del territorio. La categoria dei mercanti, con il passare del tempo, acquista sempre maggiore importanza.
 
 
 
Calstelseprio (anticamente Seprium), sorto come fortilizio difensivo nel periodo tardoromano, raggiunse il massimo della sua importanza sotto i Longobardi. Fu la capitale del Seprio Longobardo, un'unita' territoriale che spaziava, probabilmente, dal Monte Ceneri fino a Parabiago e dal lago Maggiore fin quasi a quello di Como. Un anonimo cartografo ravennate, all'inizio del VII sec., segnala la localita' di Sibrium lungo un asse viario che collegava Novara a Como, proseguendo poi per Bergamo e Brescia. Probabilmente nei pressi di castrum, transitava inoltre una strada che da Milano raggiungeva Bellinzona per inoltrarsi, attraverso i passi del San Bernardino e del Lucomagno, nel cuore dell'attuale Svizzera. Durante il regno dell'ultimo re longobardo Desiderio, si coniava il tremisse aureo di Flavia Sebrio. Non si sa, allo stato attuale delle conoscenze, se la Iucidiaria Sepriense fosse retta da un duca o da un gastaldo. I ruderi del castrum e la chiesa di Santa Maria Foris Portas sono testimoni di un glorioso pasato.
 
 
 
Nel 643, Rotari, con l'approvazione dell'Assemblea degli Arimanni, promulga l'editto che da lui prende il nome, mettendo per iscritto le antiche consuetudini longobarde. Dall'Editto di Rotari risulta che la quasi totalita' delle offese venivano composte col pagamento di somme di denaro (guidrigildo). Il codice longobardo venne poi integrato dalle leggi promulgate da alcuni successori di Rotari.
 
 
 
Le sepolture sono ad inumazione con fosse disposte con orientamento est⁄ovest e contengono (oltre al corpo defunto, deposte in casse lignee o in fosse protette da lastre di marmo, pietra o mattoni), oggetti di corredo. I corredi maschili sono caratterizzati dalla presenza di armi da offesa (spatha, scramasax, punte di lancia e di freccia, giavellotti, ecc.) e da difesa (corazze, elmi e scudi); sono presenti anche speroni, selle, portabandiera. I personaggi piu' eminenti avevano nel corredo tombale anche l'anello-sigillo in oro. I corredi femminili comprendono soprattutto gioielli: collane in pasta vitrea, bracciali in bronzo o in argento, orecchini, aghi crinali, fibule, anelli, ecc. Elementi comuni ad entrambe i tipi i corredi sono le cesoie, i coltelli, le ceramiche e le piccole croci in lamina d'oro. La ceramica annovera soprattutto bicchieri, brocche, otri o vasi a fiasca decorati a stampiglia con motivi geometrici (losanghe, rosette, rombi, ecc.) ed a stralucido. Le crocette in lamine d'oro compaiono nei corredi dopo la conversione dei Longobardi al cristianesimo (VII sec. d.c.) e si trovano nelle tombe piu' ricche; probabilmente venivano cucite sul velo funebre posto sul volto del defunto. Il materiale esposto comprende 2 corredi tombali maschili, provenienti da Inveruno e da Castellanza che presentano la spatha bitagliente, umboni e parti di scudo, una punta di lancia con fori lunati per l'attacco dei vessilli ed i caratteristici vasi decorati a stampiglia ed a stralucido.
 
 
 
Benche' tutto il materiale dell'eta' romana provenga da contesti tombali, e' possibile fare una seriazione tipologica in modo da rendere piu' chiara e comprensibile la funzione ed il relativo utilizzo, cosi' da offrire un quadro il piu' possibile esauriente della vita e delle attivita' delle popolazioni del legnanese e dintorni. Si elencano pertanto di seguito le differenti classi di materiali indicando per ognuna di esse la cronologia, le caratteristiche fondamentali e la loro funzione negli usi dela vita quotidiana.
CERAMICA FINE DA MENSA: vernice nera, terra sigillata, pareti sottili.
- Ceramica a vernice nera
E' una produzione caratterizzata da vasi di modeste dimensioni, interamente o in parte coperti da vernice nera. Le forme ripetono le analoghe produzioni dell'Italia Centrale e Meridionale ma sono fabbricate localmente, in officine stanziate nella Pianura Padana. La piu' antica produzione di vernice nera padana e' localizzata a Spina ed a Adria, a partire dalla fine del IV sec. a.c.; nella zona centrale della Pianura Padana officine sono attive nel II sec. a.c., durante l'eta' Augusteo-Tiberiana ed oltre. Le forme piu' comuni sono patere (piatti) e le coppe.
Terra sigillata
Si tratta di una produzione che sostituisce, a partire del I sec. a.c., come vasellame da tavola, la ceramica a vernice nera. Deriva il nome dal termine latino "sigillum" (figurina), per la decorazione figurata in rilievo, ottenuta per matrice, che compare talvolta sui vasi. Altri tipi di decorazione molto frequenti sui prodotti in terra sigillata sono incisioni, impressioni a stampino, a rotella; le forme comprendono principalmente patere di varie dimensioni, coppe e coppette,, caratterizzate dalla tipica vernice di color rosso-corallino, arancio brillante, applicata per immersione "a tuffo". Molti esemplari, sul fondo, recano il marchio di fabbrica del ceramista. La classificazione tipologica di questa classe ceramica e lo studio delle officine di produzione permette una datazione piuttosto precisa di questo materiale. La prima terra sigillata prodotta in Italia e' denominata "Arretina" dalla citta' di Arezzo che fu il primo centro produttore e raggiunse la massima fioritura nell'eta' di Augusto. Da tale produzione si origina la terra sigillata padana, fabbricata in officine impiantate nella pianura da artigiani immigrati, portatori delle tradizioni arretine che permettono una continuita' di forme e decorazioni mentre la vernice risulta, come gia' per la vernice nera padana di qualita' piu' scadente. Il gruppo arretino da' inizio anche alla "terra sigillata sud-gallica" che, prodotta nella Gallia meridionale dal I al IV sec. d.c., si diffonde anche in Italia Settentrionale e particolarmente nell'area occidentale: e' una produzione caratterizzata da argilla rossiccia, vernice scura e decorazioni complesse; le forme sono sempre piatti e coppe.
Pareti sottili
Tale classe caramica, prodotta dal I sec a.c., al II sec d.c., e' cosi' denominata per lo spessore minimo delle pareti dei vasi; si tratta di recipienti di piccole dimensioni, usati come vasi potori (bicchieri, coppette, ollette). Caratteristiche le decorazioni a rotella o alla "barbotine", cioe' con motivi decorativi applicati, o a pareti sabbiate, eseguiti con getti di sabbia sull'argilla ancora fesca in modo da conferire al vaso un aspetto ruvido.
 
 
 
Si tratta di una classe vastissima di vasellame destinata all'uso domestico quotidiano. Comprende ceramica da fuoco, da mensa, per conservare alimenti o per trasportarli.  E' una produzione di recipienti di forme tradizionali, fabbricati con argilla gossolana, non verniciati e raramente decorati ad incisioni. Tra i vasi da fuoco sono testimoniati i tegami e le urne; spesso, nei corredi tombali a cremazione, l'urna viene utilizzata come vaso cinerario, ricopeto da un tegolone o da una coppa ad uso coperchio. Si ricordano poi i mortai, le olle bianche e con bocca stretta, utilizzate solitamente per conservare alimenti come miele, verdure e frutta. Una categoria importante, da annoverare nell'ambito della ceramica comune e' quella delle olpi, che sostituiscono in eta' romana il vaso a trottola di tradizione celtica ( a partire della seconda meta' del I sec. a.c.). La loro funzione era quella di contenere liquidi. In epoca tardoromana, le olpi sono coperte da una sostanza vetrosa colorata (invetriata) che ne rende lucida la superficie. Tale clase presenta nel tempo variazioni tipologiche.
 
Lucerne.
 
Comunemente prodotte in argilla depurata e fabbricate mediante matrice, piu' raramente ottenute utilizzando il metallo (bronzo, argento), sono destinate all'illuminazione. Sono costituite, nella forma da un serbatoio che conteneva l'olio che veniva versato attraverso un foro al centro del disco,, un beccuccio munito di foro in cui inserire lo stoppino e di una ansa forata per il trasporto e la sospensione. Le lucerne modificano la loro forma e la loro decorazione col passare del tempo e facendo spesso parte dei corredi tombali sono utili per la datazione. Alcune lucerne che recano sul fondo marchi di officina col nome del fabbricante sono classificate nel gruppo detto delle "firmalampen" cioe' lucerne firmate.
 
Vetri
 
Sono i manufatti piu' pregiati del mondo romano sia per la raffinatezza che l'eleganza dell'esecuzione;  anche il loro studio e la loro classificazione tipologica forniscono utili indicazioni per la datazione dei corredi tombali. Tali reperti realizzati in vetro soffiato, tecnica gia' ben collaudata in ambiente fenicio ed utilizzata in Italia a partire del I sec. a.c. , epoca in cui,  gradatamente i vasi in vetro sostituiscono quelli in pareti sottili. La produzione, che fiorira' soprattutto in eta' augustea,  non si limita ai vasi per la mensa ma comprendera' particolarmente balsamari destinati a contenere  olii e profumi, di varie fogge, colore e dimensioni, bastoncini per profumi, coppette, ecc.  Molto raffinati i balsamari a forma di colombina: il loro contenuto veniva versato dopo avere spezzato la coda del recipeinte. In Italia i centri di produzione furono numerosi; in particolare nel Settentrione, oltre all'importante e ben documentata serie di vetri di Aquileia, officine vetrarie devevano essere localizzate nella zona del Lago Maggiore, dove la sabbia lacustre doveva fornire un ottimo materiale per questi manufatti. Le diverse colorazioni dei vetri erano ottenute con l'aggiunta di particolari sostanze all'amalgama: il manganese determina la colorazione violacea e gialla; il rame, il ferro e il cobalto danno il colore blu. I vetri romani, normalmente ottenuti con l'amalgama a base di calce di soda, sono di per se stessi verdastri per la presenza di ferro.
 
SPECCHI ED OGGETTI IN BRONZO
 
Gli specchi, in eta' romana, sono costituiti da una particolare lega in rame, stagno e piombo. Lo specchio comprende una superficie riflettente, non decorata e ornata sul bordo da motivi incisi o forellini, ed da una parte posteriore meno lucida e decorata di solito da solcature concentriche. Si producevano specchi rettangolari e circolari, questi ultimi a bordo rilevato o a superfice riflettente leggermente convessa presentano un manico metallico, mentre si pensa che gli altri fossero forniti di custodia in materiale deperibile, legno o avorio. I reperti in bronzo comprendono oltre ai balsamari, oggetti di ornamento: fibule con arco decorato, anelli digitali con sigillo o con castone di pietra dura o preziosa, bottoni, campanellini, borchie. Sono presenti anche oggetti d'uso comune: astucci, pinzetthe, cucchiaini, forchette, specilli, ecc.
UTENSILI IN FERRO
Numerosa e vasta la produzione di utensili in ferro: coltelli, coltelli-pugnali, compassi, scalpelli, asce, tenaglie e soprattutto cesoie. Questo strumento e' molto diffuso nei corredi tombali nella zona e serviva a tagliare il vello delle pecore; fornisce quindi un'utile indicazione sul mondo del lavoro. Presenti in quantita' massiccia i chiodi di varie forme, spesso posti nelle tombe con funzione rituale, i passanti e le fibbie per cinturoni, i bracciali e gli anelli.
 
ANFORE
Tra i reperti presentati nel Museo le anfore costituiscono una documentazione particolare. Esse infatti testimoniano una produzione ceramica artigianale, ma attestano anche produzione, trasporto e consume delle merci che in esse erano contenute. Queste merci erano essenzialmente costituite da generi alimentari: olio, vino, salse di pesce e conserve. Di qui l'importanza delle ricerche sulle regioni di origine delle singole anfore (arre di produzione), sulle loro forme (tipologie) e sulle epoche in cui furono prodotte (cronologia). Grazie alle anfore e' possibile avere una idea di alcuni degli alimenti fondamentali consumati dagli abitanti di una citta' di un quartiere, di una villa, ecc.
 
RESTAURO DELLA CERAMICA
 
Gli oggetti in ceramica provenienti da vecchi scavi, gia' restaurati in precedenza, hanno richiesto un nuovo intervento.
Il trattamento cosnservativo si e' reso indispensabile in quanto il precedente restauro, oltre ad essere arbitrario perche' sovrapponendosi alla superficie degli oggetti ne alterava la forma e il colore nascondendolo completamente i particolari decorativi e le tracce di lavorazione e d'uso, era anche la causa diretta di ulteriori e progressivi di deterioramento della ceeramica. L'uso del gesso come riempitivo delle lacune e' infatti pericoloso perche' in determinate situazioni ambientali i sali solubili del gesso (solfati di calcio) agiscono sulla funzione cementante dei silicati formatisi durante la cottura, provocandone il deterioramento e di conseguenza lo sfaldamento del corpo ceramico. Inoltre le condizioni ambientali non stabili, il volume del gesso si modifica creando fatture e fessurazioni nella ceramica. Prima delle consuete operazioni, si sono asportati i vecchi materiali inadeguati, che in alcuni casi coprivano completamente la superficie originale rendendola apparentemente uniforme e creando, in un certo senso, un falso storico. Non c'era distinzione tra i frammenti e le parti integranti, la vernice mancnte era sostituita con un altro colore nel tentativo di uniformare ed abbellire tutta la superficie. Si era cosi' voluto eliminare tutti quegli aspetti giudicati fastidiosi dal punto di vista estetico, non tenendo conto che anche questi oggetti fanno ormai parte della storia degli oggetti. Il criterio di intervento da noi adottato utilizza i criteri e le indicazioni dell'Istituto Centrale del Restauro di Roma. L'intervento conservativo ha richiesto le seguenti operazioni:
a) Smontaggio del vecchio restauro con impacchi di acetone.
b) pulitura dei depositi di gesso e di adesivo con bisturi, le incrostazioni di terra e sabbia vengono asportate con il bisturi sugli impasti privi di vernice, vengono invece rimosse con tamponi imbevuti di Tween 20 in soluzione al 2% in acqua distillata dalle superfici che presentano rivestimenti a vernice. L'essicamento avviene a temperature ambiente.
c) I frammenti vengono immersi in una soluzione del 5% di Paraloid b 72 in etanotricloro, nei casi di superfici tendenti a sfaldarsi si procede ad applicazioni localizzate della medesima soluzione. Il consolidamente svolge una doppia funzione: irrobustisce l'impasto ceramico fermandone il deterioramento e fornisce la cosidetta parete d'intervento reversibile, sulle fratture.
d) Ricomposizione dei frammenti ceramici utilizzando il cianocrilato CXV a temperatura ambiente. Questo collante ha caratteristiche di perfetta trasparenza, alto potere adesivo e ottima resistenza termica.
e) Completamento delle parti mancanti con Polyfilla pigmentata con terre naturali. L'integrazione ha una funzione duplice: portante perche' garantisce solidita' al pezzo, estetica perche' offre all'osservatore una superficie continua che ne facilita la lettura della forma. Tuttavia si e' escluso di ricostruire completamente con l'integrazione quegli oggetti nei quali la parte integrata sarebbe stata piu' ampia di quella originale. Le lacune formano una superficie ad un livello leggermente inferiore a quello dell'oggetto, il colore pur rimanendo distinto per lasciare in primo piano le parti autentiche, riprende quello del vaso.
I materiali usati sono reversibili per permettere la possibilita' di un qualsiasi ulteriore intervento che nel corso degli anni si rivelasse piu' avanzato.
 
 
 
Benche' il vetro possa essere considerato un materiale stabile, nel corso del tempo subisce un processo i deterioramento sia superficiale che interno. La forma di alterazione piu' diffusa e' rappresentata dall'iridescenza che provoca una colorazione variegata con effetto iridato alla superficie dell'oggetto vitreo. Il deterioramento del vetro e' dovuto ad agenti esterni, quali l'umidita' e gli acidi contenuti nel terreno di giacitura o semplicemente l'umidita' degli ambienti in cui gli oggetti sono custoditi e da agenti interni legati alla composizione chimica del materiale o a difetti di fabbricazione. Ogni intervento conservativo su oggetti in vetro non puo' che proporsi l'arresto del processo di alterazione chimica che causa il progressivo e irreversibile deterioramento del materiale. Tutavia nessun intervento risultera' efficace nel tempo se non verranno controllate le condizioni igrometriche, termiche e luminose degli ambienti in cui gli oggetti sono custoditi. Il restauro del vetro si presenta particolarmente complesso proprio per la natura del materiale le cui caratteristiche: colore, trasparenza, opacita', lucentezza, iridescenza devono essere rispettate; e anche per la difficolta' di determinare il reale stato di conservazione degli oggetti.
L'intervento conservativo sulle due colombe in vetro provenienti da San Lorenzo, ha richiesto le seguenti operazioni:
a) Rimozione del vecchio restauro eseguito in modo arbitrario e con materiali inadatti (collante, gesso, plastica).
b) Verifica la microscopica dello stato di coesione interna del materiale.
c) Asportazione manuale delle incrostazioni calcaree e dei depositi di terra sulla superficie, con bisturi e compresse imbevute in acqua distillata.
d) Bagni in acqua distillata e successivamente in acetone con rapida asciugatura lontano da fonti dirette di luce e calore.
e) Ricostruzione degli oggetti in frammenti con infiltrazioni di resina trasparente pigmentata in modo da rendere meno evidenti le fratture.
 
 
 
 
 
 
 
 
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