Legnano story - note personali
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Uomini illustri
 
La scelta di alcuni uomini illustri di Legnano, descritti in ordine cronologico, e' volutamente caduta su figure del passato, senza avere la pretesa di essere esaustiva. Sono stati lasciati da parte personaggi che pure hanno dato lustro alla citta' in epoche più vicine, non tanto per la mancanza di prospettiva storica che le vicende della loro esistenza possono avere assunta, quanto per una discreta sensibilità' nei confronti di coloro che furono protagonisti degli ultimi eventi e per il desiderio di non opacizzare il valore di un'azione o la profondità' di un'idea, collo schiumare di note transitorie calate nelle righe più o meno fitte di una pagina.
 
 
- Le notizie intorno a D. Guilielmus de Legnano, già' abate umiliato di Monte Lupario o Monlue', vicino a Milano e poi di S. Ambrogio sono dedotte dall'epigrafe scolpita sul coperchio della sua arca, nella chiesa di S. Satiro. Il testo riportato dal Puccinelli (Raccolta d'iscrizioni dopo lo zodiaco, cap. XIV, n. 26, Milano 1650) e da esso si può dedurre che l'abate, dai costumi severi, guido', i suoi monaci secondo castità' e onesta': fu doctor legis, costrui' diversi palazzi; orno' decorosamente il chiostro e la chiesa di S. Satiro, a Milano; restauro', diversi edifici religiosi; accumulo', grandi ricchezze docto moderamine, finche' le sue ossa riposarono nell'ottobre 1267.
 
 
 
-- Il diritto doveva essere proprio di casa presso la famiglia Legnani se, a travasarlo in prove dignitose, tra i membri del casato, uno dei primi fu Francesco, assunto a fama nel Medioevo, per essere stato uno dei dodici anziani del popolo milanese,. detti della "Provvisione".
 
Le sue qualità di illustre giureconsulto furono sfruttate per l'elaborazione del giuramento che Matteo Visconti pronunzio' nel 1289 "sopra la loggia degli Osii nel broletto nuovo, colle trombe, per giurare il capitanato del popolo": .. . ad bonum tranquillum et pacificum statum populi et communis Mediolani, acomnium amicorum ... vos domine capitanaee jurabitis regere populum Mediolani. Il testo completo del giuramento e' stato riportato da B. Corio (Storia di Milano, vol. I, Milano 1975, p. 646), uno dei primi studiosi di storia milanese, che abito' anche in casa Melzi, a Legnarello (ora corso Sempione, n. 157), in un'ampia abitazione arricchita da colonnati e dipinti dei sec. XV e XVI. L'opera del Corio fu stampata, nel 1503, dagli editori "da Legnano", discendenti da Giovanni, pure famoso doctor utriusque doctrinae.
 
 
-- Se fra tutte le citta' della terra una nomea universale celebra ed esalta la Lombardia per la fertilità delle sue pianure (De magnalibus Mediolani, introduzione); se fra. le citta' della Lombardia la fama magnifica Milano come la rosa e il giglio tra gli altri fiori, velut rosa vel lilium inter flores, non c'e' motivo per dubitare che, fra tanta eccellenza un posto preminente possa spettare tra gli abitanti, per la sua qualitas, anche a Bonvesin de la Riva, a cui appartengono le lodi sopra indicate.
Non possediamo notizie sicure sulla sua giovinezza, ne' sappiamo donde abbia tratto i natali, tanto che alcuni scrittori formulavano l'ipotesi addirittura di una derivazione da Riva di Trento o Riva, sul lago di Lugano, ma e' probabile che Bonvesin sia nato a Milano, intorno al 1230 circa; che abbia fatto l'insegnante di scuola media a Legnano, fino al 1230 circa, come asserisce mons. Paredi nella presentazione del De Magnalibus (Milano MCMLXVII), e in seguito si sia trasferito a Milano, a Porta Ticinese, con la moglie Benedicta (primo testamento), oppure Benghesia o Benghedisia (secondo testamento), morta la quale, sposo' Floramonte senza che l'una o l'altra avesse figli. Quindi, benché' il suo nome fosse spesso preceduto da un fra o frater, era un laico iscritto all'ordine degli Umiliati, come dice l'epitaffio riferito dal Giulini (Op. cit. Vol IV, pag. 742): Hic iacet F. Bonvicinus de ripa de ordine tertio humiliatorum doctor in grammatica qui constrixit hospitale de Legniano...
Tale iscrizione scolpita sulla tomba, si trovava nel chiostro della chiesa di San Francesco a Milano. Sempre secondo l'epigrafe, Bonvesin, se non fondo' personalmente l'ospedale di Sant'Erasmo a Legnano, ne fu certamente un largo benefattore. Sia nel testamento del 1304 che in quello del 1313, si parlava infatti di un affitto che i frati di detto nosocomio erano tenuti a pagargli, pur potendo fruire di un carro di vino quale ricompensa, per suffragare i defunti della famiglia.
Nonostante la dichiarata appartenenza all'ordine degli Umiliati, come dice l'epitaffio, notevoli furono gli sforzi fatti da A. Ratti, il futuro Pio XI, per quanto non confortati da risultati definitivi, per strappare il nostro autore da un ordine legato da interessi cospicui all'arte della lana e dall'archibugiata facile diretta a San Carlo Borromeo, per assegnarlo all'ordine dei Francescani, in un momento di soprassalto contro l'ortodossia.
Dotato di largo merito, Bonvesin ne distribui' gran parte di donazioni  e in affari con amministrazioni pie ed ospedali. Dal 1296 fu iscritto all'ordine di San Giovanni di Gerusalemme e, a partire dal 1303, fu ispettore dell'ospedale Nuovo di donna Bona.
Fra le sue opere poetiche si distinguono, sul piano artistico, per vivacità e schiettezza, i Contrasti. Non meno interessanti, per originalità del tema, furono anche i poemetti volgari, in alcuni dei quali trattò leggende cristiane e discettò sulle più sottili raffinatezze del desco (Cinquanta cortesie da desco), in un'opera composta durante la permanenza a Legnano, come fu ricordato dal primo verso:
Fra Bonvesin dar Riva che sta in borgo Legnian.
Accanto a questo codice di buona creanza, capace di stuzzicare la curiosità del lettore con la testimonianza conviviale dei nostri antenati, non stona il Libro delle tre scritture, un'opera poetica che evidenzia le miserie dell'uomo, dalla nascita fino alla redenzione operata da Cristo.
L'intento di Bonvesin non era però tanto quello di effettuare considerazioni astratte, quanto di narrare, come fece nel Volgare delle Elemosine o meglio ancora nelle opere in latino come il De vita scholastica, assunta recentemente agli onori dell'inclusione nella collezione germanica Teubner, mentre minore fortuna ebbe il De menzsibus.
Il trattato più noto e in latino, e' naturalmente il De Magnalibus urbis Mediolani, a cui l'autore attese con anni di paziente ricerca, per offrire ai lettori un quadro esauriente di Milano e del territorio, com'era ai suoi tempi, attraverso la celebrazione dei fasti civili e religiosi della citta, diffondendosi in particolari preziosi sulla sua consistenza topografica, demografica, edilizia.
Ultimamente la critica sembra aver concentrato l'attenzione sugli aspetti linguistici della sua produzione e in particolare sul De cruce, mimetizzato tra i tesori della Biblioteca Ambrosiana, ma divulgato dall'editore Scheiwiller, sapientemente allineato lungo il filo della linea lombarda al di la' "delle paratie dei generi" (Contini, Novita' dell'antico Bonvesin, in Corriere della Sera, 16 dicembre 1979).
 
 
 
-- Si dice che il Medioevo rinascente, con le strutture della vita biologica, non meno che della sua vita mentale, abbia perso qualcuno dei colori troppo vividi e brillanti, di cui era stato ornato. Dobbiamo forse pensare per questo che il quadro sia stato troppo oscurato, fino ad opporre a una realistica visione le immagini più' cupe evocate un tempo, tratte da alcune grandi affermazioni nel campo del diritto, della religione, della vita spirituale, delle arti primitive? A mitigare tale impressione sembra che un contributo notevole venga dal giurista Giovanni da Legnano.
Di mente spietatamente critica, in grado di ricondurre alle giuste proporzioni le diverse proposizioni culturali, capace di spaccare in due la parola per estrapolarne il valore recondito, lo scrittore medioevale si sforzo' di individuare, nei loro rispettivi rapporti, le varie forme dell'attività' umana. Di fronte alle mutilazioni che l'insegnamento scolastico fece della storia, della storia dell'arte, dell'archeologia, della storia della letteratura (o meglio delle letterature, nel mondo del bilinguismo, in cui fiorirono, accanto al latino dei chierici le lingue volgari), della storia del diritto (o meglio sarebbe dire dei due diritti, perché il diritto canonico si andava organizzando di fronte all'insorgente diritto romano), Giovanni da Legnano fece suo quello che la civiltà medioevale avverti' più di ogni altra: la passione della globalità.
La data e il luogo della nascita di Giovanni, discendente dalla famiglia Oldrendi, che divenne poi Legnani, per i possedimenti in quel di Legnano, Legnarello e Cerro, sono rimasti finora avvolti nell'ombra, anche se non si può escludere l'origine legnanese o perlomeno milanese. Tale tesi e' confortata dal testamento dello studioso. In esso si dichiarava che Giovanni era il figlio del Conte de Oldrendis de Legnano Mediolanensis diocesis e tra l'altro si precisava disposizioni a favore della chiesetta di San martino a Legnano, mentre si disponevano provvedimenti a favore di studenti originari di Legnano, che volessero frequentare lo studio bolognese, nel cui spirito testamentario, nel 1983, in occasione del sesto centenario della morte dell'autore, fu costituita, a Legnano, la "Fondazione Famiglia Legnanese", per l'erogazione di borse di studio.
Dell'origine sopra accennata fanno fede inoltre i trattati sull'interdetto ecclesiastico, sulle ore canoniche, sulla censura, sulla pluralità dei benefici, sulla guerra, che indicano come autore Iohannes de Lignano Mediolanensis.
Scarse sono le notizie sul periodo trascorso, nei primi anno del 1300, a Milano, dall'autore, il cui nome era inserito nello "statuto della Scuola di San Giovanni sul Muro", del 1337. Oscuri sono pure i motivi che indussero lo scrittore ad allontanarsi da Milano, per stabilirsi a Bologna. Lì il "Da Legnano", esercitò un'intensa attività didattica e di scrittore, svolgendo anche la professione di avvocato, documentata da numerosi contratti e Consilia.
Particolarmente impegnativa fu pure la sua attività politica esplicata come ambasciatore in delicate missioni presso il Papato e, come legato pontificio, durante lo scisma d'Occidente, a cui dedico', una Epistula ad Cardinalem Petrum de Luna e due trattati di Urbano VI. Si può' dire, anche se ha dato il meglio di se stesso nel campo del diritto civile e canonico, che non ci sia stata branca dello scibile, nella quale l'autore non abbia sviluppato le straordinarie doti del suo eclettismo, come @ sintetizzato nell'epigrafe posta sul suo sarcofago, dalla filosofia (de amicitia) all'astronomia, dalla medicina alla matematica, e perfino all'astrologia, perché era convinto che l'uomo di legge, se fosse stato esperto di scienza, avrebbe soddisfatto esperienze anche di ordine pratico e non solamente accademico (Cfr. De cometa, La figura della grande costellazione, Somnium, Proemio al De Bello, De adventu Christi, De iuribus Ecclesiae).
Se il Legnani si accinse a predire l'avvenire, lo fece però solo per le eclissi e pochi altri fenomeni celesti, senza lasciarsi travolgere dalla follia astrologica.
Infatti per la dottrina rigorosa, per le idee al servizio della prassi, per il procedimento comparativo dialettico, con cui applicava le regole del diritto civile a quello pubblico e rifletteva l'autorità del Digesto nelle questioni politiche, informo' a Bologna la pubblicistica fino al termine del sec. XIV.
Non è necessario saccheggiare il repertorio della retorica, cui fecero largo ricorso i suoi ammiratori, per mettere maggiormente a fuoco la sua personalità@. Dei meriti si resero particolarmente conto i suoi concittadini, che lo crearono cittadino onorario e gli conferirono la nomina di Vicario equivalente a quella di Signore di Bologna. Anche quando rassegnò@, tale carica, Giovanni da Legnano fu sempre tra i primi cittadini, come componente del Consiglio dei Quattrocento, anche se non destinato a coprire a lungo tale compito, perché morì il 16 febbraio 1383, probabilmente colpito dalla peste. Gli furono decretate solenni esequie e il suo corpo fu sepolto nella chiesa di S. Domenico. Il mausoleo a lui dedicato, ancor visibile nel Museo Civico di Bologna, rappresenta uno dei più pregevoli monumenti scultorei dell'epoca.
Nel dare un giudizio sull'opera di Giovanni da Legnano, sembra non gli si possa negare animosità nell'affrontare i problemi terreni, energia nel tentativo di arrivare a soluzioni concrete. Può sembrare utopistica la sua tesi sul principato universale della Chiesa, proprio alla vigilia dello scoppio dello scisma, ma può essere intesa come espressione di un desiderio sentito, volto alla costruzione di un ordine basato sulla pacifica convivenza, di fronte a un impero in grave crisi. Se in sede critica e' naturale una certa diffidenza verso la sua tecnica espressiva, fatta spesso di luoghi comuni, di forme usuali, di ripetizioni, dobbiamo pero' vederla come qualche cosa di posteriore rispetto alla varietà della sua concretezza, all'interiorità della sua anima.
Al di là del panorama esauriente dell'impostazione dottrinale conta soprattutto l'introspezione del concetto di libertà@, nel tentativo di adattamento alle strutture di un particolare periodo; conta l'equilibrio di una certa volontà terapeutica, congiunto a un pragmatismo non indifferente, che parte da geniali proposizioni scientifiche, per tradurle in principi animatori di esperienze reali.
 
 
-- Non si sa quanto valga l'incontro di circostanze all'inizio di grandi destini o generazioni blasonate, ma é certo che la fortuna ama avvolgere le proprie sinuosità attorno a vitalità dirompenti, quali furono i "Vincemala", anche se il lettore smaliziato può, guardare con sospetto a un'apologia del genere. Si sa ad ogni modo che tutte le famiglie e non solo le più nobili hanno conosciuto momenti inquietanti, magneticamente occulti o stravaganti, come hanno vissuto momenti di splendore segnati dalla rabdomantica capacita di cogliere dal più minuto segnale messaggi di eventi favorevoli. A voler dare significato alle parole, concorse, in tal senso, la figura di Gian Rodolfo Vismara.
Discendente da antica famiglia compresa nella "Matricola" dei nobili milanesi rogata nel 1377, trascorse la sua esistenza in parte a Milano, nella parrocchia di S. Martino a Porta Nuova e in parte a Legnano, dove i suoi antenati possedevano un mulino già nel 1043. Nelle grazie dei Signori di Milano, la sua famiglia ricambiò la protezione con la donazione di terreni usati sia per la costruzione di un auditorium nella zona centrale di Milano, divenuto poi chiesa di S. Maria del Giardino; sia per l'erezione del convento servita di S. Maria del Paradiso. A tale scopo poté usufruire di una concessione ducale rilasciata il 19 marzo 1493, perché' potesse sfruttare una certa quantità d'acqua del fiume Olona, a favore dei monasteri in costruzione.
A Legnano il Vismara sfrutto' la vistosa eredita' paterna per assistere generosamente l'ospedale di S. Erasmo, di cui fu direttore grazie alla sua qualità di medico, ma senza retribuzione. Fondi, inoltre un convento di Francescani Minori detto di "S. Maria degli Angeli" sito in quello che attualmente é corso Garibaldi, non lontano dal maniero oggi sede del Museo Civico ed eresse il monastero delle Clarisse di S.Chiara, verso l'odierno corso Italia. Tale monastero fu soppresso nel 1782 dall'imperatore Giuseppe II.
 
 
 
-- Maestro di grammatica a Legnano, nel 1518, pare che qui sia stato sepolto. I suoi biografi amano ricordarlo come autore di un distico posto sopra il portale della canonica di Legnano: Pabula, vina, ceres, rivorum copia templum Legnanum illustrant multaque nobilitas. 1518 che esalta il carattere agricolo della città favorita dall'abbondanza dei corsi d'acqua e dalla presenza di numerose famiglie nobili. Gli si attribuiscono però, anche due versi incisi sull'alto della porta della chiesa di S. Maria in Busto Arsizio: Virgo, populus qui hanc lustro tibi condidit aedem fac vigeat felix totaque posteritas.
Non é certa la notizia, in base alla quale sarebbe stato il capostipite della famiglia Bossi.
 
 
-- La famiglia Cornaggia ebbe una notevole parte nella vita pubblica legnanese. Un Carlo Cornaggia si trova tra i firmatari dell'atto del 1649 col quale i cittadini legnanesi provvidero a riscattarsi dal feudo. Un altro marchese Cornaggia figura nel verbale del "concordato generale" del 28 novembre 1760, conservato nell'archivio storico comunale. Successivamente i marchesi Cornaggia risultano proprietari del Castello Visconteo di Legnano, trasformato in vasta proprietà agricola, che già comprendeva 18 mulini lungo l'Olona in gran parte acquistata dall'Amministrazione comunale insieme al castello.
Gabriele dei Marchesi Cornaggia-Medici, nato a Milano nel 1856 ed ivi morto nel 1908, fece parte per ben 23 anni del consiglio comunale di Legnano, e per 15 della giunta municipale; fu uno dei membri più attivi e ascoltati per competenza amministrativa e serenità di giudizio.
 
 
 
- Milano 1753 - Bellagio 1816) - Discendente di una antica famiglia spagnola, fu uomo politico e attivo nel periodo della repubblica Cisalpina e nel primo periodo del Regno d'Italia. Dopo la conquista napoleonica della Lombardia, Milano divenne il più' attivo centro del movimento giacobino italiano, al quale aderirono patrioti delle più' svariate classi sociali, oltre ad eminenti esponenti della nobiltà di quei tempi. Napoleone, preoccupato principalmente che il governo della città non cadesse nelle mani della parte più oltranzista del giacobismo, vi immise alcuni uomini moderati, che garantissero l'esecuzione delle sue volontà, come finanzieri, grossi proprietari terrieri e nobili milanesi. Tra questi il Conte Francesco Melzi d'Eril, che era considerato il capo dei moderati. Lo stesso Napoleone designò tra i redattori della Costituzione della Repubblica Cisalpina con Greppi, Taverna, Triulzi, anche i Melzi che divenne, nel 1802, vice presidente della stessa Repubblica. Francesco Melzi d'Eril, che aveva sposato Caterina Modignani, rafforzo' il possesso dei beni terrieri, case e palazzi patrizi a Legnano e, primo del suo casato, divenne così cittadino di Legnano (Luigi sartori, l'Opera Barbara Melzi, Legnano 1961).
Allo scoppio nel marzo 1799, della nuova guerra tra Francia e Austria si ebbero violenti moti antirepubblicani anche in Lombardia e nei tre mesi del riconquistato dominio degli austriaci, molti beni del Melzi d'Eril furono confiscati e lo stesso fu giudicato in contumacia, essendosi rifugiato a Saragozza. Al ritorno dei Francesi in Lombardia, il Melzi riebbe i suoi poteri e si dedicò, alla formazione di un esercito nazionale come garante dell'indipendenza.
Fondò col napoletano Vincenzo Cuoco anche "Il giornale italiano", al quale collaborarono intellettuali dell'epoca come Monti, Foscolo, Romagnosi e Berchet. La rivista ebbe solo tre anni di vita, anche se era diffusa in tutta Italia presso i ceti colti.
Alla caduta di Napoleone e all'avvento del Regno d'Italia il Melzi d'Eril fu nominato cancelliere guardasigilli della corona.
Una discendente di questo personaggio, figlia dell'omonimo conte Francesco, coniugato ad Isabella Salazar, fu Barbara Melzi, fondatrice dell'istituto ancor oggi esistente.
 
 
 
(1825-1899) Figlia del conte Francesco Melzi d'Eril, nobile di antica casata, e di Isabella Salazar, entrò come novizia canossiana nel convento di S. Michele alla Chiusa a Milano, ma, nel 1848, prima dell'arrivo a Milano dell'esercito piemontese in ritirata dopo Custoza, le novizie, e con esse Barbara, furono rinviate alle rispettive famiglie.
La sua vocazione religiosa era molto solida e Barbara Melzi che, nel 1849, aveva preso i voti di professione religiosa, cominciò a svolgere a Legnano la sua opera di carità e di insegnamento. Il padre, conte Francesco, per tenere la figlia a lui vicina, decise di realizzare una fondazione a Legnanello, dove donna Barbara potesse proseguire la sua vocazione di educatrice in conformità alle regole delle Canossiane di via Chiusa. Ottenuta l'approvazione dell'autorità ecclesiastica, il conte Melzi, il 1 agosto 1853, fece atto di donazione di tutti i suoi beni a favore della casa canossiana di Milano, che già aveva aperto a Legnanello una filiale, a condizione che venisse resa indipendente con l'istituzione dell'Opera Melzi. Il 3 aprile 1854, l'arcivescovo di Milano Bartolomeo Carlo dei conti Romilli concesse la inamovibilità dalla casa di Legnano di Donna Barbara e la indipendenza della casa stessa da quella di Milano e di altre fuori Milano.
L'Opera Melzi si estese poi da Legnarello a Tradate, dove il conte Melzi aveva lasciato altri beni alla figlia.
L'Istituto dell'Opera Barbara Melzi si ingrandì', sviluppando l'insegnamento privato femminile, con particolare attenzione per il magistero elementare e d'asilo .
Morta la Melzi il 13 dicembre 1899, l'eredità spirituale e materiale passò a Madre Gaetana Adamoli e, alla morte di questa (1902), il cardinale Andrea Ferrari, arcivescovo di Milano, nominò Madre Giulia Amigazzi nuova superiora, alla quale, nel 1942, successe Madre Giuditta Baio, attiva e fedele continuatrice dell'Opera Melzi.
Barbara Melzi, dotata di profonda cultura umanistica, ha lasciato oltre a memorie autografe, delicate poesie, velate da profonda malinconia.
La stessa arricchì anche la preziosa raccolta paterna di quadri, edizioni rare, manoscritti, monete e medaglie .
 
 
 
- Nato nel 1818, si distinse in tre diversi settori della vita cittadina. Pittore acquarellista ha lasciato una serie di pregevoli opere, in parte conservate al Museo Civico, che raffigura angoli della vecchia Legnano o aspetti di vita locale, tratteggiate con uno stile ed un gusto tipico degli impressionisti lombardi dell'Ottocento, con qualche elemento di sapore "naif", che li rende ancor più preziosi.
Fu anche patriota, partecipando con Ester Martini Cuttica e Saule Banfi ai moti del 1848 e riuscì a scampare la prigionia, in quanto considerato già allora benemerito dell'istruzione pubblica. Era infatti uno dei più noti insegnanti e storiografo.
Morì nel 1902 e in sua memoria venne murata una lapide nella casa natia situata all'inizio di via Milano, angolo corso Sempione.
 
 
 
-- Nell'albo del Risorgimento italiano anche Legnano ha iscritto nomi di rilievo. Per non parlare di Saule Banfi fervente patriota imprigionato nel 1848 dall'Austria e che, liberato, continuò, a prodigarsi, senza lasciarsi sorprendere, tanto da offrire il suo contributo, come chirurgo, sul campo di battaglia di Magenta, un posto di spicco e occupato da una straordinaria figura di donna: Ester Martini Cuttica, animosa cospiratrice legata da vincoli di amicizia a Mazzini, a Maurizio Chiesa, ai Cairoli. Discesa da antico e nobile casato, ella andò sposa a Rinaldo Cuttica pure originario di illustre famiglia, per quanto non dotata di grandi risorse economiche. Di squisita sensibilità, quale emerge dalle sue lettere, Ester Cuttica, fu madre esemplare, donna energica ed intraprendente, che non si limiò@ ad affidare i suoi sentimenti patriottici a pagine dalla sintassi contorta, ma non esitò, a rischiare la rispettabilità e la libertà personale, per la difesa quegli ideali risorgimentali.
Assidua collaboratrice dei patrioti lombardi, quando Mazzini, tramite Piolti de Bianchi, al quale era ta affidata la direzione del partito a Milano, e tramite Brizio, che aveva assunto il comando dele operazioni militari, sperando nella ribellione dei soldati ungheresi, che l'Austria aveva arruolato di forza, organizzò, un colpo di mano a Milano, Ester Cuttica non esitò ad aprire le porte della sua dimora di via Pontaccio ai cospiratori che volevano dare una fiera risposta alle forche austriache di Belfiore.
Per quanto il piano di insurrezione preparato dal Brizio contasse su 5000 uomini, il 6 febbraio 1853, solo poche centinaia di patrioti risposero ai segnali convenuti, sicchè l'Austria ne ebbe facilmente ragione, soffocando il tentativo con metodi di terrore. Fu allora che Ester Cuttica si adoperò per condurre personalmente fuori Milano il Brizio, nascondendolo nei suoi poderi di Legnano e fargli passare poi il Ticino.
Nè minore fu l'impegno dei coniugi Cuttica per la fuga del Piolti de Bianchi. Scoperta la trama, l'Austria arrestò la donna come responsabile del colpo e l'avviò alla fortezza di Mantova, dove la tenne segregata per quattro anni, senza però che i suoi carcerieri riuscissero a strapparle i nomi dei congiurati, nonostante le sofferenze, le torture e la minaccia di uccisione dei suoi figli amnistiata nel 1857, la gentildonna, sostenuti efficacemente quanti ritornavano dalle prigioni alle loro case, s'adoperò con un gesto di delicata galanteria per un'offerta di cento anelli raccolti tra le donne italiane, a Garibaldi, come segno di stima verso l'uomo, che tanto aveva contribuito al "patrio riscatto" ed era tutt'altro che insenibile ai "voti di emancipazione della donna" (Carteggio Cuttica - 109-160). Morì a Legnano nel 1898.
 
 
(1857 1931) -- Fu insegnante d'italiano nelle scuole superiori, scittore di opere varie. Oltre a scritti inediti, il Colombo lasciò una fantasia medioevale in dieci canti, "Il Cavaliere della morte", stampata nel 1900 in occasione dell'inaugurazione del monumento dello scultore Enrico Butti e dedicata appunto al guerriero della battaglia.
Lo stesso autore, nella prefazione, avverte che ha inteso raffigurare il guerriero morente come il simbolo, la personificazione del sacrificio.
Giacobbe Colombo lasciò alla Parrocchia del Santo Redentore di Legnanello una villa con terreno annesso, utilizzata attualmente dall'oratorio maschile e de nominata appunto "Casa Giacobbe".
 
 
-- La musica ha avuto a Legnano molti cultori fin dal tempo in cui le famiglie patrizie amavano arricchire le lunghe serate dei salotti con concerti vocali e strumentali, in alternanza alle feste sontuose che rompevano la monotonia di una vita mondana molto limitata, quale poteva offrire la provincia o un borgo come Legnano, meta, nell'Ottocento, di villeggiature estive o fine settimane dedicati alla caccia.
La tradizione musicale, è sempre rimasta viva anche nelle giovani generazioni, alimentata dalla tenacia di dirigenti del complesso bandistico cittadino, fondato nel 1880, da altri sodalizi come la "Gioventù Musicale" o da singoli insegnanti, cimentatisi come compositori.
In questo campo c'è un personaggio, legnanese di adozione, che ha dato lustro, con la sua arte, alla città, per avervi trascorso gran parte della sua vita, unendo all'insegnamento elementare anche l'attività di direttore d'orchestra e compositore. Nato ad Enna da una famiglia di musicisti, il 22 agosto 1874 diventò apprezzato violinista e buon esecutore di trombone tenore. Ben presto si fece notare anche come compositore di brani vari, tra cui alcune romanze che divennero popolari nella città siciliana.
Non era però, la musica che gli poteva riservare solidità economica e quindi, conseguito il diploma di insegnante elementare, per terminare gli studi al Conservatorio, iniziò, la sua peregrinazione che lo condusse a Legnano, avendo vinto un concorso per un posto in una scuola. Qui proseguì la sua attività di compositore, affiancandosi a quel "bouquet" di maestri italiani che tra l'Ottocento e il Novecento arricchirono pagine strumentali e sinfoniche della musica italiana. Tra i suoi capolavori due sinfonie, Quadri di vita veneziana, l'opera Zellia brani di musica sacra e da camera. A Legnano fondò nel 1931, un liceo musicale con l'aiuto finanziario degli industriali locali, organizzando anche alcuni riusciti spettacoli musicali al Teatro Legnano. Fu molto apprezzato come direttore d'orchestra, recandosi anche all'estero in tale veste. Morì a Legnano il 31 luglio 1932 per una grave malattia, ad appena 58 anni, e nel fulgore della sua maturità artistica.
 
 
-- Nato a Intra nel 1883, dopo aver studiato in Svizzera trovò lavoro presso la Franco Tosi viaggiando per alcuni anni quotidianamente tra Milano e Legnano. Qui si trasferì colla famiglia nel 1920 in via Cappellini, allora periferia estrema del paese.
Per conto della ditta si recò, più volte in Egitto e Medio Oriente, dov'ebbe modo di conoscere gli scavi archeologici che stavano riportando alla luce i documenti preziosi e grandiosi di quelle antiche civiltà a cui la nostra stessa vita civile discende.
Il fascino di queste ricerche lasciò in lui tale impronta e tanto fervore che, tornato a Legnano, si mise frugare nel nostro terreno, che mai non conobbe piramidi, nè faraoni nè le origini della scrittura e della scienza e che tuttavia racchiudeva (o ancora racchiude?) le testimonianze di un passato molto lontano e poi noi tanto prezioso. La passione, la pazienza e la perizia del Sutermeister hanno estratto da questo suolo tanti documenti che amplificarono l'arco dei secoli in cui sono rintracciabili le vicende della nostra storia. Prima di lui solo un paio di Legnanesi, quali furono Aristide Mantegazza e il maestro Giuseppe Pirovano, avevano dedicato la loro attenzione ai reperti che la zappa o l'aratro avevano estratto da sotto l'humus delle campagne legnanesi. Sutermeister, datosi con passione alla ricerca archeologica, sorvegliò scrupolosamente tutte le operazioni di scavo promosse dallo sviluppo edilizio del paese, intervenendo al primo sentore di un qualsiasi ritrovamento e sottopose a una metodica esplorazione tutta la superficie cittadina, portando alla luce e raccogliendo amorosamente una quantità di reperti che oggi arricchiscono il museo civico a lui intitolato.
Contemporaneamente andava affinando la sua preparazione storica, garantendosi la competenza scientifica necessaria ai suoi compiti.
La sua scoperta più prestigiosa è legata alla necropoli di Canegrate che richiamò l'attenzione dei maggiori studiosi ed oggi è presente in tutti i manuali di preistoria come documento di una cultura particolare anteriore a quella di Golasecca.
A lui dobbiamo la fondazione, la direzione e l'arricchimento del Museo. Ma anche la conoscenza dei periodi meno antichi della storia di Legnano ricevette da lui un largo impulso. I suoi studi sul Castello Visconteo, sulle fortificazioni ad esso anteriori sui conventi di Legnano e sulle vicende genealogiche delle famiglie più note sono consegnati nei fascicoli delle "Memorie, della Società Arte e Storia" da lui fondata e praticamente diretta fino alla morte avvenuta il 21 novembre 1966.
 
 
- Le prime fabbriche a carattere industriale succedute alle manifatture domestiche, che operavano fin dal XVIII secolo nel territorio di Legnano, sorsero col 1821.
In ordine cronologico il primato si deve allo svizzero CARLO MARTIN, che in quell'anno realizzò il primo stabilimento per la filatura del cotone. Seguì ERALDO KRUMM di Wittemberg (Germania), che aprì la seconda filatura di cotone. Nel 1828 sorse il terzo stabilimento tessile fondato dalla ditta Borgomaneri, Sperati e Bazzoni, passato poi in proprietà a COSTANZO CANTONI. Lo sviluppo però di quella che diventerà una delle piIù grosse manifatture tessili dell'Italia Settentrionale, il Cotonificio Cantoni, si deve a EUGENIO CANTONI, che assunse la direzione dell'azienda nel 1850, conducendola in breve tempo ad alto livello. Nel 1857 infatti l'intera maestranza degli opifici di Legnano e Castellanza si componeva di 464 operaI e in particolare lo stabilimento di Legnano, con 204 dipendenti, aveva una filatura, una tessitura, una tintoria e un reparto finissaggio. In quello stesso anno Eugenio Cantoni portò all'altare la figlia del segretario particolare di Gabinetto dell'imperatore d'Austria, la baronessina Amalia Genotte von Merkenfeld de Sauvignj. Questo matrimonio diede lustro ai Cantoni, ponendo Eugenio in una posizione di evidenza e prestigio nella provincia lombarda. Dal matrimonio nacquero tre figli, Arturo, che scelse la carriera militare; Costanzo, che prese il nome del nonno, e Giulia che si appassionò alla musica, divenendo compositrice. In riconoscimento delle sue benemerenze, con decreto reale del 1871, il Cantoni fu nominato barone. Dal 1864 egli fu comandante della Guardia Nazionale di Gallarate col grado di maggiore e in seguito consigliere dell'ordine dell'imperatore Francesco Giuseppe, per essere quindi nominato console generale d'Austria.
Morì il 15 marzo 1888.
Anche GIULIO THOMAS, nato a Milano nel 1851 da famiglia oriunda francese, merita di essere ricordato tra i pionieri dell'industria cotoniera. Il padre Achille impiantò a Legnano verso il 1870 un'industria per la tessitura del cotone, in località "Gabinella", e fu tra i primi ad applicare i telai meccanici e a utilizzare la forza a vapore per sopperire a quella idraulica tratta dalle acque dell'Olona. Si distinse pure come amministratore pubblico, disimpegnando vari incarichi. Promosse la fondazione dell'asilo infantile e della Società Operaia. La morte troncò la sua promettente esistenza a soli 44 anni.
Nel 1842 il dottor G. DONATO TRAVELLI aprì il quinto stabilimento di filatura di cotone e, nel 1879, i fratelli ENEA e FEBO BANFI, figli del benemerito patriota Saule Banfi, fondarono l'azienda che in seguito ad altri passaggi, divenne Cotonificio De Angeli Frua. In precedenza, e cioè nel 1871, i fratelli DELL'ACQUA, in unione ad altri, fondarono l'omonimo cotonificio, che ebbe una considerevole importanza per l'economia cittadina, prima del tracollo negli anni Sessanta.
RODOLFO BERNOCCHI, nel 1873 impiantò, un piccolo stabilimento di lavanderia e candeggio di tessuti in cotone, dal quale si svilupparono poi, per iniziativa dei figli ANTONIO e ANDREA BERNOCCHI i vasti stabilimenti di filatura e tessitura, con sede a Legnano e in altre località.
Dei Bernocchi restano a Legnano alcune opere sociali di rilievo, la maggiore delle quali l'Istituto Tecnico e Professionale, che prende appunto il nome dal fondatore Antonio Bernocchi, Senatore del regno.
L'ing. CARLO JUCKER, nato il 23 maggio 1878 a Reutte in Tirolo, da una famiglia svizzera, che già aveva avuto pionieri nell'industria cotoniera, rivestì nella storia del Cotonificio Cantoni un ruolo notevole come dirigente e tecnico di valore.
A lui si deve lo sviluppo degli stabilimenti di Legnano, Castellanza e Bellano negli anni a cavaliere tra il XIX e il XX secolo. Nel 1900 ricevette dall'allora presidente del Cotonificio ing. Cesare Saldini la direzione della filatura di Castellanza e, sette anni dopo, fu incaricato di riorganizzare lo stabilimento d: Legnano, per farne un opificio a livello europeo .
Fu il primo ad usare nello stabilimento "coloranti diretti" nel reparto tintoria, nel 1916, in un periodo, in cui la produzione di tessuti di cotone era molto richiesta. Al termine della prima guerra mondiale Carlo Jucker si dedicò ad opere sociali e alla realizzazione di case per lavoratori. Aiutò la costituzione della sezione legnanese dell'Associazione Mutilati e Invalidi di Guerra e di un "Centro sperimentale di rieducazione per mutilati e invalidi"; fondò, un asilo infantile e il Sanatorio "Regina Elena", inaugurato, nel 1924, dalla Regina Margherita. Fece costruire la villa nei pressi del reparto tintoria, per farne la sua dimora ed essere più vicino allo stabilimento e seguirne in modo attivo la produzione. Per interessamento di uno dei due figli, il dott. Riccardo Jucker, degno continuatore delle opere paterne, filantropiche e sociali, questa villa potè essere acquistata dalla Famiglia Legnanese, per divenire sede del sodalizio.
Prima di chiudere la sua intensa vita di lavoro, il 4 ottobre 1957, l'ing. Carlo Jucker riuscì a veder realizzata l'ultima sua coraggiosa opera, la modernissima tessitura in località "Olmina".
Da una piccola officina meccanica con annessa fonderia, nel 1878, nacque un'azienda denominata "Cantoni, Krumm & C", con lo scopo di eseguire riparazioni di macchine installate nelle numerose industrie, specie tessili, sorte nella zona.
Nel 1876 fu chiamato a dirigere l'officina l'ing. FRANCO TOSI il quale, con felice intuizione, si volse allo studio e costruzione di motrici alternate e a vapore, che in pochi anni si affermarono sul mercato in Italia e all'estero.
Divenuto socio dell'azienda, che mutò, la denominazione in "Officina Franco Tosi & C." nel 1894, l'ing. Tosi divenne esclusivo proprietario e l'officina assunse la nuova ragione sociale di "Franco Tosi". L'attività di questo pioniere dell'industria legnanese fu breve, ma intensa come la sua vita. Alle sue doti di industriale e cittadino, aggiunse l'opera di filantropo e di realizzatore di una serie di istituzioni per il tempo libero, di mutua assistenza, previdenza e istruzione professionale. Modesto e cortese nella vita e con i dipendenti, chiuse tragicamente la sua esistenza, il 25 novembre 1898, nel fiore degli anni, vittima dell'ira sanguinaria di uno sciagurato, del quale era anche stato benefattore.
Tra le varie industrie di Legnano una parte di rilievo ebbero, nel primo Novecento, le Officine Fial (Fabbrica Italiana Automobili Legnano), sorte nel 1902 per iniziativa dei fratelli GUGLIELMO, PAOLO e CARLO GHIOLDI, che già si dedicavano da alcuni anni alla produzione artigianale di motori agricoli, industriali e di motociclette. I Ghioldi, specie per l'intrapredenza e la genialità di Guglielmo, si distinsero nella creazione di originali apparecchiature meccaniche che restano una testimonianza dell'epoca "eroica" del settore motoristico italiano, tra queste una delle trebbiatrici più perfezionate e il primo triciclo per la nettezza urbana con un sistema molto pratico e razionale di sollevamento della spazzatura delle strade. Il prodotto dei fratelli Ghioldi che ebbe maggiore successo fu la vettura "Legnano A", realizzata nel 1905. Dotata di motore bicilindrico di 1135 cc. aveva l'albero di trasmissione cardanica, anzichè a catena e sviluppava una potenza di otto cavalli a 1100 giri, filando ad una velocità di 60 chilometri orari, favolosa per quei tempi.
Al termine della prima guerra mondiale Guglielmo Ghioldi si trasferì a Milano, per costruire con i fratelli Vaghi un'altra fabbrica di auto.
L'industria legnanese, appunto per lo spirito d'iniziativa e la tenacia dei suoi pionieri, riuscì ad imporsi velocemente agli albori del secolo XX, trasformando in breve tempo un'economia prevalentemente agricola in un'altra con un ruolo di tutto rispetto sullo scacchiere produttivo lombardo di quell'epoca eroica, in cui il progresso era basato proprio sulla disponibilità della manodopera e sull'intraprendenza di illuminati imprenditori.
 
 
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