Legnano story - note personali
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Case in Legnano antica
Cercando tracce di monumenti antichi resteremmo delusi alquanto dallo scarso numero di edifici antichi che si riescono a vedere lungo le strade e nelle piazze e non a torto. Da lunghi anni infatti sterratori, ruspe e incuria fagocitano ogni giorno gli antichi angoli della Legnano storica.
Possiamo tuttavia, sia grazie ai documenti antichi che alle testimonianze architettoniche rimasteci, fare un quadro abbastanza preciso di quello che fu la città dei nostri padri. Nei capitoli precedenti abbiamo visto che nelle epoche remote a partire da 2000 anni a.C. vi sono già reperti degli insediamenti liguri e poi celtico liguri. Questi abitanti dovevano essere numerosi ma a parte le tombe con i loro corredi, (veri preziosi documenti per leggere la vita) che sono esse stesse dei monumenti minori e sulle quali l'ing. Guido Sutermeister ha scritto nel 1928 un bellissimo volume intitolato Legnano romana, non ci hanno lasciato alcuna traccia di abitato. I motivi di questa mancanza sono principalmente due. Il primo è che non essendo palafitticoli come a Golasecca o a Monate, mancano i ritrovamenti delle fondazioni lignee delle case infisse nell'argilla, il secondo è che mentre nelle sopraccitate zone il cambiamento dell'organizzazione sociale nel corso dei secoli ha coinciso con l'abbandono dei villaggi palafitticoli e ha visto la creazione di nuovi insediamenti su terra ferma, in Legnano per secoli e secoli si è continuato a costruire e ricostruire sempre sulle stesse aree urbane. Questo ci dice che sotto le attuali case (solo quelle vecchie e poco profonde) giacciono le tracce degli antichi abitati di 4000 anni fa. Se si potesse per assurdo demolire un edificio secentesco nei pressi di S. Martino o S.Magno e si analizzasse strato per strato il terreno sottostante, si ritroverebbero nelle parti più profonde probabilmente delle aree spianate di forma rettangolare con aggiunte ai lati corti due aree a semicerchio e lungo il perimetro una serie di buchi di 15⁄20 cm. di diametro, (le sedi dei pali delle pareti delle capanne). Al centro di queste superfici di circa 25 ⁄ 30 mq. altri due buchi per i pali di sostegno del tetto, poi un foro quadrato per il focolare con le sue pietre intorno. Sul perimetro esterno alcuni sassi a proteggere il piede della costruzione e i canali di scolo delle acque piovane.
Qualche vaso, oggetti in selce e più tardi qualche oggetto in bronzo e chiodi, null'altro. I monumenti e le case più antiche erano solo capanne di legno e come tali non furono dai successivi abitanti Gallo - Romani, considerati degni di essere usati.
Un bell'esempio di questo tipo di capanne viene in questi mesi portato alla luce da un gruppo di archeologi guidati dalla dottoressa Nuccia Negroni Catacchio presso le sorgenti del fiume Nova. Si tratta di un villaggio villanoviano etrusco di circa 300 abitazioni risalente a molto prima dell'anno 1000 a.C. abbandonato improvvisamente dai suoi abitanti nel IX secolo a.C.
I Galli ed i Romani dei primi secoli di dominazione vissero anche loro in costruzioni lignee e in base al numero delle tombe e dall'estensione che raggiunsero alla fine verso il 300 d.C. i loro cimiteri, dovettero formare a stima dell'ing. Sutermeister una comunità assai numerosa. Le loro costruzioni si sovrapposero a quelle liguri e furono dapprima di legno .
Non più quasi ellittiche, ma rettangolari con pareti formate da tronchi squadrati, porta d'ingresso e una finestra nel timpano sopra la porta stessa; il tetto era sempre fatto con fascine di rami secchi intrecciati.
L'uso di fermare le fascine con le pietre spinse alla ricerca delle piode o lastre di ardesia per le coperture. Ma se era facile reperire queste lastre nelle comunità montane dove costruivano fino alla fine del 1700 d.C. le case in questo modo, a Legnano non era pressoché possibile. Si ricorse quindi alle pietre artificiali appositamente studiate per i tetti e cioè alle tegole in argilla cotta. Queste tegole, più esattamente tegole ed embrici sono i reperti più comuni che archeologicamente troviamo in ogni antico scavo di Legnano che risalga dal Medioevo a noi. Sembrerebbe quasi impossibile eppure non vi sono tracce di costruzioni romane in pietra.
Abbondano le tombe con i loro corredi che ci mostrano, tramite gli oggetti, quali fabbriche di utensili in bronzo e ferro esistevano le fusioni in vetro, le ceramiche più o meno fini negli impasti , secondo il censo dell'acquirente, le attitudini guerriere o meno, i coppi votivi e funerari in pietra, la coniazione di monete locali più gradite alla parte gallica dei Legnanesi, la creazione di specchi fantastici in leghe di antimonio tutt'ora lucenti e sinonimi di grande agiatezza. Esse però mai testimoniano case in muratura.
Eppure i Romani erano grandi costruttori, come mai qui avevano dimenticato questa loro prerogativa? Sicuramente Legnano era una pacifica zona agricola e rimase tale fino all'arrivo delle invasioni barbariche; non necessitava quindi di particolari sfoggi o di marmi. Un'altra ragione era che le poche pietre disponibili erano quelle di Saltrio o le molere delle cave di Bizzozero in genere arenarie, compatte, non molto solide, ma in compenso facilmente lavorabili.
Vennero infatti usate fino alla fine del 1800 per fare davanzali di finestre e lavandini. Inoltre la calce non era reperibile qui vicino, mentre i boschi anticamente fornivano legname in abbondanza utilizzato anche per la cottura della terracotta. Quarta e importante ragione di questa mancanza di edifici è che tutta la Legnano romana dovette subire per quasi sei secoli la distruzione continua da parte barbarica come già ha ben dimostrato nei capitoli precedenti il prof. Marinoni. I suoi monumenti sono quindi stati distrutti. Che ci dovessero essere anche case in muratura lo dicono tre elementi architettonici rinvenuti da quell'attento studioso che è stato Sutermeister. Il primo è un reperto scoperto nel 1900 costituito da un muro in calce idraulica e brecciame in mattoni, trovato in via Dandolo (lungo la vecchia strada detta del Confinante) tanto grosso e robusto che dovette essere lasciato in sito dal proprietario sig. Galli e tenuto nella cantina della nuova costruzione; il secondo reperto è costituito da due acquedotti in elementi di cotto lungo via 29 Maggio; uno rettangolare a cassetta interrata, l'altro lungo la via Taramelli formato da tubi in cotto di cm. 80 di lunghezza terminanti con una bocca di erogazione e relativa pietra di appoggio per le brocche. Il terzo e forse più clamoroso rinvenimento fu fatto nel 1951 quando, sconvolgendo il centro di Legnano per la costruzione del palazzo INA (Galleria in Piazza S. Magno) venne alla luce un enorme muraglione in pietra di costruzione medioevale, ma con materiale di risulta inserito alla rinfusa nella calce idraulica. Tra molteplici mattoni ed una serie notevolissima di embrici romani di epoca imperiale faceva bella mostra di sé una "Suspensura". La "Suspensura" è un disco di cotto di circa 28⁄30 cm. di diametro che serviva come elemento costruttivo modulare per la creazione di una serie di pilastrini in calce e cotto sistemati sotto il pavimento (sospeso) delle stanze delle abitazioni romane. Si formava cosi un alveare di cuniculi (vespaio areato) nei quali i ben organizzati Romani imperiali facevano circolare poi acqua calda o aria calda per ottenere durante l'inverno un maggior conforto negli ambienti della casa. Questo prova che in Legnano esistevano edifici in muratura romani e per giunta tanto evoluti da avere un Caldarium. Ecco che finalmente si apre uno spiraglio di luce. In via Dandolo le vestigia del muro con addossate le anfore vinarie immerse nella sabbia ci indicano la presenza di una torre romana con evidenti funzioni annonarie; gli acquedotti e le case riscaldate ci parlano di una civiltà raffinata con abitazioni confortevoli in una comunità dedita all'agricoltura ed all'artigianato.
Cosa fu di tutto questo? Lo sfacelo assoluto. I barbari calati dal S. Bernardino e dall'Engadina ingolositi dalle pianure fertili e dalle ricchezze di Milano, misero a ferro e fuoco tutti gli abitati e fecero fuggire o uccisero quasi tutti gli abitanti. Dovettero anche radere al suolo ogni cosa, portare via statue e suppellettili, solo le tombe nascoste nel sottosuolo si salvarono, anzi videro in alcuni casi i nuovi arrivati tumulare sopra di esse. La grande comunità Gallo-Romana di Legnano pagò a caro prezzo il privilegio di trovarsi sulla antica via che dall'Europa portava al centro della pianura Padana.
Questa via ora Sempione era detta dai Romani Strata Magna, rimase per millenni un importantissimo riferimento per i traffici commerciali con l'Europa fino al IV secolo d.C. poi, lungo di essa si avvicendarono operazioni militari di invasori e guerreggianti fino alle soglie del 1700.
Legnano cittadina pacifica (come mostrano le tombe antiche coi loro corredi senza armi) venne investita dalle orde barbariche che, preferendo non vivere nelle città come Milano, si distribuivano in piccole comunità nelle campagne, dove edificavano semplici capanne lignee, avendo in odio i muri e non sapendo cuocere mattoni. Essi qui si attestarono usufruendo del caposaldo di via Dandolo come presidio militare che, grazie alle due discendenze di terreno verso Castellanza, poteva essere usato come porta a guardia della Valle Olona verso Milano. Ed a Legnano i barbari combatterono e molto, visto che proprio nelle vicinanze di questa fortificazione sono numerose le tombe barbariche di guerrieri sepolti con le loro armi. Legnano era ridiventata una misera comunità con poche capanne di legno risorte su una grande quantità di macerie romane. Anche l'editto di Rotari del 643, nelle sue indicazioni circa le abitazioni, passa dal termine domus al termine "casa" che indica una costruzione semplice in legno. Questo ha profondo significato di riscontro per la nostra città.
Anch'essa non si sottrae al grande generale esodo e massacro, ogni forma di vivere sociale viene estinta sia economicamente che civilmente, anche l'arte tanto elevata dei Romani piomba in forme di espressione paurosamente rozze che forse possono piacere a noi cosiddetti moderni per la loro essenzialità, ma non testimoniano certamente un alto livello culturale di chi si esprimeva attraverso quelle creazioni. Questo buio intellettuale si riflette su ogni aspetto dell'antica Legnano e di nuovo si presenta un vuoto di ben 700 anni prima che le pietre ci testimonino ancora una presenza architettonica in città.
Fuggita verso le città di mare, la classe artigianale romana scompare e restano i barbari che non sanno più cuocere mattoni e tegole.
L'unico materiale che con i Longobardi le popolazioni altomilanesi useranno fino alla fine del millennio sarà il ciotolo di fiume, di cui il nostro terreno alluvionale abbonda. Con essi erano edificate sia le chiese che i castelli e le case più importanti.
In Legnano troviamo due principali vestigia di tarda costruzione con siffatta composizione, una è costituita dai resti del campanile romanico della chiesa principale dedicata a S. Salvatore ed al vescovo S. Magno, l'altra è costituita dagli avanzi di fondazione di una grande costruzione sorgente al centro di Legnano con l'aspetto della fortificazione e risalente attorno all'anno mille come nascita. Detta costruzione a noi nota come castello dei Cotta subì varie aggiunte nel corso dei primi secoli del nostro millennio fino a scomparire dalle memorie storiche allorché iniziò, la trasformazione in fortezza del castello di Legnano dedicato al S. Giorgio ad opera di Ottone Visconti e poi di Oldrado Lampugnani.
 
 
 
Sono molto scarse le notizie che ci restano della prima chiesa legnanese.
Essa fu edificata in stile lombardo arcaico. Aveva pianta rettangolare suddivisa in tre navate. Ogni navata terminava con una cappella a semicerchio. Stando alla posizione del campanile, che denuncia come stile un romanico primitivo (X o XI secolo) sia per gli archetti sotto le cornici di facciata, sia per la figura scolpita inserita al centro del portale d'ingresso, nonché alla posizione della cripta, ancora esistente nella nuova S. Magno sotto la cappella del SS. Crocifisso (già cappella di S. Carlo). La chiesa aveva un orientamento Nord-Sud con gli altari posti a Sud. Le dimensioni dovevano essere di circa 26 metri di lunghezza per circa m. 18 in larghezza. La forma in pianta sembra similare a quella del duomo di Agliate datato del X o XI secolo e tuttora esistente. Questo appartiene ad un gruppo di complessi absidali, sorti alla vigilia del romanico, le cui caratteristiche aperture a bocca di forno poste alla cornice esterna superiore delle absidi semicircolari, suggeriscono l'anticipazione delle loggette praticabili romaniche. Tali complessi sono in genere trasformazioni delle parti terminali di una chiesa preesistente che divenuta chiesa abbaziale deve trasformarsi. La datazione in genere è assai discussa. I più recenti studi le collocano come costruzione attorno alla metà del X secolo.
E' difficile anche indicare una linea evolutiva.
Esempi precedenti non ne esistono salvo la loggetta attorno al tiburio (IV secolo) della cappella di S. Aquilino in Milano, nella quale si nota una stessa funzione estetica e costruttiva. Infatti il motivo degli archetti deriva dalla geometrizzazione ed estetizzazione dei pilastrini portanti le travi di legno poste a sostenere la copertura sopra le volte absidali. Tra gli esempi più antichi di questo modo di comporre lesene ed arcatelle ciliali troviamo l'abside di S. Ambrogio a Milano (seconda metà del X secolo) mantenuta nella ricostruzione romanica della basilica che pure presenta internamente una campata con copertura a volta a botte caratteristico nuovo elemento comune alle basiliche del XII secolo. In questo periodo preromanico (IX e X secolo) si colloca l'origine del duomo di Agliate e del S. Vincenzo in Prato. Le due chiese differiscono fra loro per la maggior raffinatezza della seconda rispetto alla prima. Sono tuttavia molto simili. Se S. Ambrogio venne trasformata prima di questi due edifici, viene da pensare che essi rappresentino, nel X secolo circa e con il gusto di questa epoca, la trasformazione che nel IV secolo era avvenuta per la Basilica Ambrosiana con l'aggiunta della nuova parte absidale. Si riprende in queste chiese di epoca così avanzata il tramontante sistema di suddividere le navate con colonnati. Nel S. Pietro in Agliate le rozze colonne ed i capitelli formati da materiale di recupero di chiese del IV e V secolo rappresentano pezzi di frontoni, animali ecc. con abaco e pulvino. In S. Salvatore detto materiale di recupero non esisteva e non ci è pervenuto. L'unico reperto che forse avrebbe potuto costituire parte di un protiro all'ingresso, sostenuto da colonne poggianti sui due classici leoni romanici, è appunto un leone trovato inserito nella casa di Donato Alessandro Vismara in contrada Mugiato, a Legnano. Le chiese erano fornite di abbondante illuminazione interna con grandi finestre e ciò, in contrasto con le nuove costruzioni romaniche poggianti su piloni (e non colonne) ed ai giochi di penombra delle loro navate. Notevoli esempi di queste impostazioni si ritrovano nelle chiese valdostane del X e XI secolo alle quali corrispondono sia lo stile del nostro campanile del SS. Salvatore, sia il materiale lapideo usato. La chiesa che meglio ci può, aiutare a capire la vecchia basilica di Legnano è quella di S. Orso ad Aosta. Creata nel 1050 sui resti di una chiesa del V secolo di cui rimane la cripta ed un pezzo del campanile. Era a navata unica con alte finestre appena sotto la copertura a capriate lignee.
Era totalmente affrescata da un artista del periodo ottoniano. Orbene nel 1400 le nuove spinte estetiche portarono a far eseguire delle volte a crociera nell'interno e a far aggiungere due navate laterali per reggere la spinta delle volte. Per poter permettere il passaggio dalle navate laterali a quella centrale si erano fatti demolire grandi tratti di muro, creando degli archi poggianti su pilastri quadrati. Anche nel duomo di Morgex già a tre navate con absidi tonde in testa, la trasformazione da soffitto in assi a quella di chiesa con le volte avviene verso la fine del 1500.
Ne rimangono i segni in facciata, dove le volte meno alte del tetto a capriata obbligano a chiudere delle finestre e a rendere piano il cornicione che prima contornava la classica fronte a capanna della chiesa. In Legnano la trasformazione del SS. Salvatore da chiesa con le coperture a capriata in chiesa voltata in pietra, coincise con la sua fine e venne assolutamente scartata per tre motivi. Primo i muri in sasso non erano adatti a ricevere le volte moderne perché troppo fragili sui lati, (si ricordi la menzione alla chiesa pericolante). Secondo, dal 1200 in poi Legnano abbandona quasi totalmente le costruzioni in sasso e torna alla cottura dei mattoni come al tempo dei Romani. Il fare una struttura mista di sassi sotto e volte in mattoni, non doveva essere considerato dai capomastri possibile. Terzo, ammesso anche il riutilizzo delle strutture murarie della chiesa restanti dopo gli opportuni sbrecciamenti, da aprire per inserire le volte, il risultato estetico sarebbe stato di una povertà non consona ai gusti ed al censo dei Legnanesi del 1500. In ogni caso la chiesa antica era molto spartana nel suo aspetto.
Delle tre cappelle absidali la principale era dedicata al SS. Salvatore (cioè Gesù e non ad un Santo Salvatore come qualcuno ha scritto) ed a S. Magno arcivescovo da non confondere con S. Gregorio Magno papa, (Roma 540 - 604) convertitore dei Longobardi. San Magno arcivescovo non è molto noto e la sua festa viene collocata nel calendario in modo alquanto sommario dal prevosto Legnanese Pozzo nel 1640. Egli ci dice che S. Magno protettore si festeggiava (prima del 1602) la terza domenica di agosto, cioè il giorno 19 (per noi S. Luigi di Tolosa) e che l'altare maggiore della chiesa era dedicato a S. Magno pontefice e confessore ed in Legnano la sua festa era stata spostata dal 19 agosto al 5 di novembre, "perché nel giorno della commemorazione dei defunti in Legnano si tiene una Fiera che dura talvolta otto giorni continui e viene la festa del Santo anticipata di un giorno nel quale appunto si celebra un S. Magno vescovo di Anagni"  è: chiaro che già nel 1600 esisteva un poco di confusione. Premesso che non esistono papi di nome Magno eccettuato S. Gregorio detto Magno, ma che viene sempre chiamato Gregorio e non solo "Magno" il Pozzo cade in una involontaria attribuzione errata, evidentemente ignorando che a Milano il 25' arcivescovo, successore di S. Eustorgio II si chiamava appunto Magno e venne acclamato Santo alla sua morte. Egli morì l'1 novembre del 528 d.C. e fu sepolto nella basilica di S. Eustorgio in Milano. Con l'introduzione nel martirologio ambrosiano della festa di tutti i Santi (Ognissanti o 1 Novembre) la ricorrenza di S. Magno venne trasferita al 5 di Novembre e tutt'ora vi è rimasta, in concomitanza con l'antica Fiera dei Morti legnanese. Gli antichi cataloghi dei vescovi di Milano attribuiscono 30 anni di episcopato al santo.
Lo studioso Savio pensa tuttavia che siano troppi e li riduce a circa dieci dal 518 al 528 d.C. Il suo epitaffio, senza dati cronologici, lo loda per la sua carità, ferre manum fessis nudos vestire paratus captorumque gravi solvere colla iugo.
Non si conoscono quanti e quali siano stati i prigionieri liberati per intervento di S. Magno e non sembra che sia stata indirizzata al nostro Magno l'epos di Avito di Vienne. Storici del XIV secolo asserivano che S. Magno appartenesse alla famiglia del Trincheri, ma è notizia priva di fondamenti. Nel 1248 venne condotta dai Domenicani allora officianti nella basilica di S. Eustorgio, una solenne ricognizione delle reliquie del santo. La basilica era stata loro affidata nel 1220, (da notare che qui S. Pietro martire aveva iniziato la sua opera di inquisitore). Le ossa di S. Magno riposano dietro l'altare maggiore della chiesa, ma non più sole. Erano presenti dal 324 le ossa di S. Eustorgio poste nella più antica cappella, in una doppia urna marmorea, destinatagli dall'imperatore Costantino di cui era familiare e condottiero militare.
Nell'anno 1163 a causa delle scorrerie del Barbarossa, i Milanesi nascosero le ossa del loro protettore nella torre delle campane della collegiata di S. Giorgio al Palazzo. Una sciocca delazione le fece però scoprire e l'imperatore le trasportò a Colonia Agrippina per oltraggio a Milano. Dopo la battaglia di Legnano i Milanesi le riottennero ed esse furono riposte in un'unica urna dietro l'altare assieme a quelle di S. Magno arcivescovo ove sono ancora conservate. Come poi il Pozzo abbia potuto confondere S. Magno con un pontefice non è comprensibile. Infatti egli aveva dinanzi agli occhi due dipinti nella chiesa nuova, ed esattamente la lunetta di destra sopra l'altare maggiore di B. Lanino con S. Gregorio Magno papa che porta il triregno, il pastorale ed ha in mano un libro perché dottore della Chiesa (festa il 12 marzo) e la lesena a destra dell'altare contrapposta al Salvatore (Gesù) con S. Magno Arcivescovo che ha la mitria, il pastorale, ed è benedicente. Ciò significa che il pittore conosceva, nel 1560, la dedicazione della chiesa, ma in seguito se ne era persa la storia. Nella pala di B. Luini e nella cappella di S. Agnese del Lampugnani, S. Magno arcivescovo viene ripresentato a fianco di S. Ambrogio, perché è uno dei protettori di Milano e non può, quindi essere vescovo di Anagni o di Oderzo che con Legnano hanno molto poco a che fare. Proseguendo nel ricordo della chiesa del SS. Salvatore, sappiamo che la cappella di destra era invece intitolata alla Madonna ed a S. Giuseppe, mentre quella sulla sinistra, guardando l'altare, era dedicata a S. Stefano proto martire ucciso nel settimo mese dopo l'Ascensione di N.S.G.C. nell'anno 33 dell'era cristiana.
La chiesa aveva il tetto in legno a capriate triangolari e le pareti rustiche in sasso erano di grosso spessore. Le navate erano suddivise da colonne o pilastri, forse anch'essi costruiti in sasso e calce poiché non esistono in Legnano reperti marmorei di risulta del loro abbattimento, cosa che al contrario sempre si verifica quando da un edificio antico si trae materiale di valore, per edificare il nuovo. La porta d'ingresso era a nord e tale posizione rimase anche nella nuova costruzione bramantesca della chiesa. Essa dava in pratica sulla via che portava tramite il ponte carrato dell'Olonella alla cosidetta braida arcivescovile. Sappiamo come già accennato nei capitoli precedenti, che i terreni tra i due rami dell'Olona poiché soggetti a continue inondazioni, erano tenuti a coltivo e non vennero edificati che dopo il diciannovesimo secolo.
La strada proseguiva poi verso est fino al congiungimento con la antica Strada Magna oggi Sempione.
Sul lato destro della chiesa si estendeva invece un grande cimitero che occupava praticamente tutta l'attuale piazza S. Magno. Questo cimitero abbandonato circa nel 1640 quando si rigirò, l'ingresso della nuova basilica di S. Magno in base ai progetti di F.M. Richini, conteneva tombe cristiane di epoca romana imperiale fatte a cassa rettangolare con tegoloni di fondo con risvolto ed embrici ornati ad ovuli sul bordo superiore, poi tombe ad inumazione con solo il bordo in sasso di epoca paleocristiana, poi tombe medioevali costruite col sistema romano dei tegoloni ma appartenenti a personaggi della curia e tumulati in tal modo anziché con avelli. Lo stesso fenomeno si è riscontrato per inumazioni medioevali anche a Milano, presso la chiesa del SS. Sacramento distrutta nel 1926 in via Carducci.
Sul lato sud della chiesa di S. Salvatore dalla parte delle absidi si dipartiva un'area edificata a più riprese nei secoli successivi alla chiesa e che dai documenti antichi viene definita come sede estiva arcivescovile della diocesi di Milano ossia la "mensa capitolare del duomo di Milano" e della quale parleremo più avanti. L'edificio preromanico doveva essere abbastanza rozzo nel suo insieme e piuttosto scarso di sculture; infatti vediamo che l'unico bassorilievo pervenutoci è il Cristo Salvatore scolpito in arenario e inserito, come dicemmo, sul fronte del campanile.
Questa scultura insieme ad una piccola mensola in cotto, datata 12 giugno 1170, ritrovata durante la demolizione della casa Lampugnani in vicolo Scaricatore angolo Sempione e che rappresenta una testa di putto inserita sotto una gola terminante in due rosette, (era stata usata come riempimento dei muri del 1400 che formava la nuova casa) sono gli unici due particolari scultorei che fino ad ora abbiamo ricevuto dalla Legnano del Medioevo. Tuttavia nell'interno della chiesa non dovevano mancare opere artistiche visto che le case quattrocentesche di Legnano abbondavano di affreschi e ritratti.
La tradizione, ma non i documenti, ci dice che dalla antica cappella di destra vicino al campanile fu recuperata e trasportata nella omonima cappella del nuovo S. Magno, una pala composta da tre tavole più predella a piccole scene dipinta dal Giampietrino. Questa bellissima opera si vede ora nella cappella centrale di sinistra della nostra basilica. Il prevosto Pozzo, nel 1640, la descrive cosi: "Questa ancona per quello si tine è del Gio' Pedrino, nella quale si vede un S. Gio' Evang. a e un S. Joseffo molto lodato dallo Storico Pietro da Giussano nella vita che fu di questo S. to. Nel mezzo di questa si vede un 'anconetta della B. Verg. con il fig.o alla quale vi è molta divotione per molte gratie fatte testimonio ne siano le tavolette et voti". Purtroppo a noi è pervenuta senza la tavola centrale con la Madonna ed il Bambino.
Al mezzo è stato posto un vano con una bella statua del XVI secolo raffigurante la Madonna. Le tavole e tavolette rimasteci sono tuttavia stupende. Il pittore Mosè Turri senior che le aveva restaurate alla fine del 1800, diceva di aver trovato in un angolo il nome Marcus (Marco da Oggiono) che parrebbe in contrasto con l'attribuzione al Giampietrino. Tuttavia si deve sapere che sotto questo pseudonimo viene raggruppato tutto un complesso di opere affini e che la costruzione della figura del Giampietrino è fatta su base puramente stilistica; infatti manca qualsiasi documento che identifichi questo artista e non esiste di lui opera firmata. Anche il nome dell' autore è controverso, infatti lo troviamo citato come Pietro Rizzo (= Lomazzo) Gio Pedrini, oppure Gio da Milano detto Pavese, o Gio da Como o infine Gio di Belmonte. Sarebbe molto interessante rintracciare con mezzi moderni radiografici o foto all'infrarosso la scritta e compiere anche una completa indagine artistica per meglio qualificare l'origine dell'opera. Sopra il polittico fu posto ad opera dei Lampugnani un quadro, con il Redentore affiancato da due angeli, nell'intento di alzare tutta la composizione per meglio inserirla nella nuova cappella. Evidentemente nella cappella, in cui era posto precedentemente, lo spazio a disposizione doveva essere più angusto. Il trittico doveva rappresentare l'ultima opera regalata dai Legnanesi al loro tempio, infatti il Giampietrino, allievo di Leonardo, operò tra il 1484 ed il 1514, quindi l'eventuale dipinto in Legnano dovette essere fatto quando la chiesa era "pericolante" o in demolizione. Un prezioso elenco steso da Goffredo da Bussero sembra escludere questa tradizione e menziona in Legnano la presenza della chiesa di S. Salvatore (canonica) cogli altari a: S. Salvatore, S. Paolo, S. Filippo e Giacomo, S. Biagio. Il nome degli altari non coincide con le descrizioni fatte nei manoscritti da mons. Gilardelli, ma si sa che spesso nelle chiese cambiavano i titoli degli altari o ne facevano di nuovi in base ai lasciti. Rimangono però, alcune correlazioni con le iscrizioni date da Goffredo da Bussero, le titolazioni indicate da mons. Gilardelli e la descrizione degli altari fatta nel  1650 dal prevosto Pozzo. Infatti per tutte permane la titolazione principale S. Salvatore per l'altare maggiore, a cui si affianca un San Paolo per il più antico scrittore ed un S. Magno per tutti gli altri, (altari a S. Paolo tuttavia non sono esistiti in tutta Legnano, stando agli archivi della curia). Per quanto riguarda l'altare dedicato a S. Filippo e Giacomo, esso viene riproposto nella nuova chiesa cinquecentesca dimenticandosi dell'apostolo Giacomo ma non del suo compagno e martire Filippo. Anche la cappella di S. Maria e Giuseppe a fianco dell'antico campanile rimane in quella posizione con la pala del Giampietrino fino al 1610, poi viene spostata, ma mantiene tutt'ora il suo titolo. Essa però non compare nell'elenco di Goffredo da Bussero che invece menziona un S. Biagio. Questo altare sarà creato nel 1640 presso il Santuario della Madonna delle Grazie di nuova costruzione. In realtà la chiesa del S. Salvatore era vecchia e bruttina e non piaceva ai Legnanesi del XV secolo. L'incuria e la vecchiaia minavano le sue fondamenta. L'Olonella che scorreva ai suoi piedi dicono infiltrasse nelle fondazioni (peraltro in S. Magno tali infiltrazioni non esistono minimamente) ed una serie di assestamenti del terreno alla fine del 1400 l'avrebbero fatta crollare .
Era rimasto in piedi solo il campanile di cui tutt'oggi esiste un pezzo e la contigua cappella di S. Maria e Gioseffo. Questo tra il 1490 e 1500. è; tuttavia doveroso dire, come abbiamo già indicato che il crollo più grosso era stato quello provocato alla cultura rinascimentale e non è molto sbagliato pensare che la chiesa dovette essere demolita dai Legnanesi con la "scusa del crollo" per poter avere il permesso dagli arcivescovi e da Ludovico il Moro, di rifare un tempio più consono ai loro canoni estetici ed al loro censo.
Un altro esempio troviamo a Roma dove viene abbattuta la Basilica paleocristiana di S. Pietro per edificarne una più moderna su disegni proprio del Bramante. In Legnano venne lasciato in piedi e tenuto in uso il solo campanile (che stranamente non aveva risentito dei terremoti). Esso venne dapprima alzato durante un restauro del 1520, poi abbattuto per due terzi e sostituito da uno in mattoni, nel 1752, quale ancora vediamo ancora nella piazza di S. Magno. Per dare significato alle origini della nostra più antica chiesa possiamo azzardare solo un'ipotesi in base ai fatti storici che coinvolsero il nostro villaggio tra il 493 ed il 553 d.C.
Eravamo in pieno dominio dei Goti. Teodorico fattosi re d'Italia dominava con saggezza (barbara naturalmente). L'imperatore d'Oriente, Giustino I (518-527) pubblicò un editto col quale bandiva gli ariani dall'impero, sollevando le ire da parte di Teodorico. Questi, per rappresaglia, iniziò ad infierire sulla Chiesa e sui cattolici, divenendo ingiusto e crudele. Imprigioni, e fece uccidere personaggi famosi come Simmaco e Severino Boezio. In Milano le prigioni dovevano essere ricolme di vittime. Ecco che entra in gioco l'arcivescovo S. Magno il quale, anche grazie alla più mite figura di Amalassunta succeduta nel 526 a Teodorico, fa liberare questi prigionieri. Anche la comunità di Legnano ebbe cristiani liberati dalle catene e la figura del santo rimase così vivida nel loro ricordo che gli dedicò il primo tempio, unendo il nome di S. Magno a quello di S. Salvatore, proprio per rafforzare il significato dell'opera del suo arcivescovo.
 
 
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