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Redigio.it
 
Collana di annotazioni
 
 
 
 
 
 
nome e numero collana
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Redigonda Giorgio
 
 
Primo libro
 
Introduzione di nome e cognome
 
 
frontespizio
 
 
 
 
 
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Introduzione, prefazione,
 
inizio capitolo
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
LIBRO PRIMO
 
1 -          Dopo che la lettera di Cesare fu consegnata ai consoli, si ottenne con difficoltà, nonostante la forte insistenza dei tribuni della plebe, che essa fosse letta in senato; non si poté invece ottenere che se ne discutesse ufficialmente. I consoli presentano una relazione sulla situazione dello stato. Il console L. Lentulo aizza il senato; promette di non fare mancare il suo sostegno allo stato, se i senatori vorranno esprimere il loro parere con coraggio e forza; ma se essi hanno riguardo per Cesare e ricercano il suo favore, come hanno fatto nei tempi passati, egli prenderà posizione nel proprio interesse senza sottostare all'autorità del senato; del resto anch'egli ha modo di trovare rifugio nel favore e nell'amicizia di Cesare. Con il medesimo tono si esprime Scipione: è intenzione di Pompeo difendere lo stato, se il senato lo asseconda; ma se il senato esita o agisce con troppa mollezza, invano implorerà il suo aiuto, se in seguito lo vorrà.
 
2 -          Questo discorso di Scipione, poiché la seduta del senato si teneva in città e Pompeo era vicino, sembrava uscire dalle labbra dello stesso Pompeo. Qualcuno aveva espresso un parere più moderato, come in un primo tempo M. Marcello che, presa la parola in quell'intervento, sostenne che non era il caso di discutere della cosa in senato prima che si facessero in tutta Italia leve e si arruolassero eserciti, sotto la cui protezione il senato avrebbe osato decretare con sicurezza e liberamente il proprio volere; come M. Calidio, che proponeva che Pompeo tornasse nelle sue province, perché non vi fosse motivo di ricorso alle armi; Cesare temeva, egli diceva, che, essendogli state sottratte due legioni, Pompeo le trattenesse presso la città, tenendole di riserva con intenzioni ostili nei suoi confronti; come M. Rufo, che faceva suo il parere di Calidio, addirittura mutandone solo poche parole. Tutti costoro, travolti dalla clamorosa protesta del console L. Lentulo, erano oggetto di violenti attacchi. Lentulo dichiarò di non avere assolutamente intenzione di mettere in votazione la mozione di Calidio; Marcello, atterrito dalle clamorose proteste, ritirò la sua. Così la maggior parte dei senatori, trascinata dalle grida del console, dalla paura che suscitava la vicinanza dell'esercito, dalle minacce degli amici di Pompeo, pur controvoglia e per costrizione, approva la proposta di Scipione: che Cesare, prima di un dato giorno, smobiliti l'esercito; se non lo fa, risulti chiaro che egli ha intenzione di agire contro lo stato. Fanno opposizione i tribuni della plebe, M. Antonio e Q. Cassio. Subito si pone in discussione il veto dei tribuni. Vengono espressi pareri pesanti; quanto più ciascuno parla con arroganza e durezza, tanto più è colmato di lodi dagli avversari di Cesare.
 
3 -          Conclusa verso sera la seduta del senato, tutta la classe dei senatori viene convocata da Pompeo fuori della città. Pompeo loda i risoluti e li incoraggia per l'avvenire, rimprovera e sprona quelli troppo esitanti. Da ogni parte, con la speranza di ricompense e di promozioni, vengono richiamati alle armi molti soldati delle vecchie truppe di Pompeo; sono richiamati in servizio molti soldati provenienti dalle due legioni consegnate da Cesare. La città si riempie di commilitoni di Pompeo, di tribuni, di centurioni, richiamati in servizio. Tutti gli amici dei consoli, i clienti di Pompeo e coloro che avevano vecchi rancori verso Cesare vengono radunati nel senato; le loro grida e il loro accorrere in massa atterriscono i più deboli, rassicurano gli incerti; ai più invero è sottratto il potere di deliberare liberamente. Il censore L. Pisone, e parimenti il pretore L. Roscio, si dichiarano disponibili ad andare da Cesare, per metterlo al corrente di questi avvenimenti; chiedono sei giorni di tempo per portare a termine la missione. Da alcuni viene anche proposto di inviare ambasciatori a Cesare, che gli espongano il volere del senato.
 
4 -          A tutte queste proposte fa resistenza e opposizione l'intervento del console, di Scipione e di Catone. Vecchi rancori nei riguardi di Cesare e il dolore del suo insuccesso elettorale aizzano Catone. Lentulo è mosso dalla grande quantità di debiti, dalla speranza di avere un esercito e delle province e dai doni degli aspiranti al titolo di re. Tra i suoi si vanta di star per diventare un secondo Silla nelle cui mani ritornerà il potere supremo. Stimola Scipione una medesima speranza di governo di province e di comando di eserciti che, per legami di parentela, pensa di potere dividere con Pompeo; e nello stesso tempo lo stimolano il timore di processi e la propria vanità e l'adulazione dei potenti che in quel tempo avevano grandissima influenza nello stato e nei tribunali. Lo stesso Pompeo, incitato dagli avversari di Cesare e poiché non voleva che nessuno gli fosse pari per prestigio, si era del tutto allontanato dalla sua amicizia e si era riconciliato con comuni avversari, che, in gran parte, egli stesso aveva procurato a Cesare al tempo della loro parentela. Contemporaneamente, indotto dal disonore di avere trattenuto a sostegno della propria influenza e supremazia politica due legioni destinate all'Asia e alla Siria, manovrava affinché la contesa fosse condotta a un confronto armato.
 
5 -          Per queste ragioni tutto viene fatto in fretta e confusamente. Non si dà tempo ai congiunti di Cesare di informarlo né viene concessa ai tribuni della plebe la possibilità di allontanare da sé il pericolo né di conservare il supremo diritto di veto, che L. Silla aveva loro lasciato; ma, dopo solo sette giorni, sono costretti a pensare alla propria incolumità, la qual cosa quei turbolentissimi tribuni della plebe dei tempi passati solevano prendere in esame e temere solo all'ottavo mese delle loro funzioni. Si giunge precipitosamente a quel gravissimo ed estremo decreto del senato, al quale prima mai si ricorse nonostante l'audacia dei relatori se non, per così dire, quando la città fu in mezzo alle fiamme e quando si disperò della salvezza di tutti: provvedano i consoli, i pretori, i tribuni della plebe e i proconsoli che sono vicini alla città affinché lo stato non subisca alcun danno. Ciò viene registrato con decreto del senato il 7 gennaio. E così nei primi cinque giorni in cui si poterono tenere le sedute del senato, dal giorno in cui Lentulo diede inizio al proprio consolato, fatta eccezione per i due giorni dedicati al comizio, si prendono gravissime e rigorosissime delibere nei confronti del potere militare di Cesare e di persone assai ragguardevoli, i tribuni della plebe. Subito i tribuni della plebe fuggono da Roma e si rifugiano presso Cesare. In quel tempo egli era a Ravenna e attendeva risposte alle sue così moderate richieste, sperando che, per un senso di umana moderazione, il conflitto si potesse risolvere pacificamente.
 
6 -          Nei giorni successivi, le sedute del senato si tengono fuori Roma. Pompeo presenta quelle medesime proposte che aveva fatto conoscere per bocca di Scipione; loda la fermezza e la coerenza del senato; enumera le sue forze; afferma di avere pronte dieci legioni; inoltre di avere appreso e accertato che i soldati sono ostili a Cesare: non li si può indurre a difenderlo o, soltanto, a seguirlo. Circa le altre questioni viene proposto al senato quanto segue: si facciano leve in tutta Italia; Fausto Silla sia mandato in Mauritania come propretore; sia data facoltà a Pompeo di usare il denaro dell'erario pubblico. Si presentano proposte anche nei riguardi del re Giuba: sia dichiarato alleato e amico. Marcello nega di potere per il momento sottoscrivere la proposta. Filippo, tribuno della plebe, pone il veto alla mozione relativa a Fausto. Vengono registrati i decreti del senato riguardanti gli altri punti. A privati vengono assegnate le province, due consolari, le altre pretorie. A Scipione tocca in sorte la Siria, a L. Domizio la Gallia. Filippo e Cotta vengono esclusi per manovre di parte e i loro nomi non sono posti nell'urna. In tutte le altre province vengono inviati pretori. E non attendono - come era accaduto negli anni precedenti - che il loro potere sia ratificato dal popolo, e, con addosso il paludamento di porpora, dopo avere fatto i sacrifici rituali, escono dalla città. I consoli, cosa non mai accaduta prima, ... si allontanano dalla città e privati cittadini, contrariamente a ogni esempio del passato, tengono littori in città e sul Campidoglio. In tutta Italia si fanno leve, si obbliga a fornire armi, si esige denaro dai municipi, denaro viene sottratto dai templi, tutte le leggi divine e umane vengono sovvertite.
 
7 -          Cesare, venuto a conoscenza di questi fatti, parla ai soldati. Rammenta gli affronti fattigli dagli avversari in ogni tempo; e si duole che Pompeo, per invidia e gelosia della sua gloria, sia stato da essi sedotto e corrotto, mentre egli stesso lo ha sempre aiutato nella carriera e ne è stato il sostenitore. Lamenta che è stato introdotto un precedente, insolito nello stato, cioè che il veto dei tribuni, che negli anni addietro era stato ristabilito con le armi, con le armi ora venga infamato e soffocato. Silla, pur avendo spogliato il potere dei tribuni di ogni forza, tuttavia aveva lasciato libero il veto; Pompeo, che sembra avere restituito i privilegi perduti, ha tolto anche quelli che i tribuni hanno avuto in passato. Ogniqualvolta si decretò che i magistrati provvedessero affinché lo stato non ricevesse alcun danno (e con questa formula e con questo decreto il popolo romano veniva chiamato alle armi), ciò fu fatto in caso di leggi perniciose, di azioni di forza dei tribuni, di sommosse popolari, con l'occupazione di templi e di posizioni dominanti; e rammenta che questi fatti del passato sono stati espiati con la morte di Saturnino e dei Gracchi. In quel tempo nulla di questo fu fatto e neppure pensato: non fu promulgata nessuna legge, non vi fu inizio di ricorso al popolo, non venne fatta alcuna sommossa. Esorta i soldati a difendere dagli avversari la reputazione e l'onore del comandante sotto la cui guida, durante nove anni, hanno servito fedelmente lo stato e combattuto moltissime battaglie con esito favorevole, hanno portato pace in tutta la Gallia e la Germania. Elevano un grido di approvazione i soldati della XIII legione che era presente (questa infatti egli aveva richiamato all'inizio del disordine, le altre invece non erano ancora giunte), proclamando di essere pronti a respingere le ingiurie arrecate al loro comandante e ai tribuni della plebe.
 
8 -          Cesare, conosciuta la disposizione d'animo dei soldati, si dirige con quella legione a Rimini e qui incontra i tribuni della plebe che presso di lui erano venuti a trovare rifugio; richiama dagli accampamenti invernali le rimanenti legioni con l'ordine di seguirlo. Lì giunge il giovane L. Cesare, il cui padre era luogotenente di Cesare. Costui, terminato il discorso su altri argomenti, per i quali era venuto, dichiara di avere per lui da parte di Pompeo messaggi di carattere privato: dice che Pompeo vuole scusarsi dinanzi a Cesare, che non prenda per offesa personale le azioni che egli ha compiuto per il bene dello stato; dice che alle amicizie personali egli ha sempre anteposto l'interesse pubblico. Anche Cesare, in considerazione della sua posizione, deve per il bene dello stato sacrificare il proprio interesse e il proprio risentimento e non adirarsi con gli avversari così violentemente da risultare, sperando di danneggiarli, di danno allo stato. Aggiunge poche considerazioni del medesimo tono che unisce alle scuse di Pompeo. Il pretore Roscio presenta a Cesare quasi i medesimi argomenti e con le medesime parole, dimostrando di essere stato ben istruito da Pompeo.
 
9 -          Era chiaro che tutto ciò non serviva a cancellare le offese; tuttavia Cesare, approfittando di uomini adatti, tramite i quali poteva trasmettere il suo volere a Pompeo, chiede a entrambi, dal momento che gli hanno riferito le ambascerie di Pompeo, di non rifiutarsi di riferire a lui anche le sue richieste, per vedere se mai, con poca fatica, fossero in grado di sanare grandi controversie e liberare dal timore tutta l'Italia. Dice che egli ha sempre posto l'onore al primo posto, considerandolo più importante della vita. Che ha provato dolore perché, con atto oltraggioso, gli è stato strappato dagli avversari un privilegio concesso dal popolo romano e, privato di sei mesi di comando, egli è stato richiamato a Roma, benché il popolo avesse deliberato che nei prossimi comizi si ritenesse valida la sua candidatura, pur se assente. Tuttavia, per il bene dello stato, ha sopportato di buon grado questo danno; quando ha mandato una lettera al senato, chiedendo che tutti i comandanti venissero allontanati dagli eserciti, neppure questo ha ottenuto. In tutta Italia si fanno arruolamenti, sono trattenute le due legioni che gli sono state sottratte col pretesto della guerra contro i Parti; la popolazione è in armi. A che volgono tutte queste manovre se non a suo danno? Pur tuttavia egli è pronto a rassegnarsi e a tutto sopportare per il bene dello stato. Pompeo se ne ritorni nelle sue province, tutti e due congedino gli eserciti, tutti in Italia lascino le armi, il popolo venga liberato dal timore, siano garantiti al senato e al popolo romano liberi comizi e l'esercizio della cosa pubblica. Perché ciò si possa fare più facilmente e con patti sicuri, sanciti da giuramento, o Pompeo si avvicini o lasci che sia Cesare ad avvicinarsi; tutte le controversie si potrebbero dirimere tramite contatti diretti.
 
10 -          Assuntosi l'incarico, Roscio insieme a L. Cesare giunge a Capua, dove trova i consoli e Pompeo; riferisce le richieste di Cesare. Dopo essersi consultati, danno una risposta e, tramite loro, per iscritto rimettono a Cesare le loro proposte, i cui punti principali sono questi: Cesare ritorni in Gallia; si allontani da Rimini, congedi l'esercito; Pompeo sarebbe andato in Spagna quando egli avesse eseguito questi ordini. Nel contempo, fino a che non sarebbe stato certo che Cesare avrebbe mantenuto le sue promesse, i consoli e Pompeo non avrebbero interrotto gli arruolamenti.
 
11 -          Era proposta ingiusta esigere che Cesare si ritirasse da Rimini e ritornasse nella sua provincia, mentre Pompeo conservava e le sue province e le legioni altrui; pretendere che venisse congedato l'esercito di Cesare, quando Pompeo faceva le leve; promettere di partire per la sua provincia e non fissare la data della partenza, così che, se anche, una volta terminato che fosse il proconsolato di Cesare, non fosse ancora partito, non sarebbe tuttavia apparso vincolato da alcuno scrupolo di mentire; inoltre il non fissare una data per l'abboccamento e il non promettere di incontrarlo facevano fortemente disperare dei propositi di pace. E così manda M. Antonio da Rimini ad Arezzo con cinque legioni; egli con due legioni si ferma a Rimini e qui si dispone a fare leve; con una coorte per città si impossessa di Pisa, Fano, Ancona.
 
12 -          Informato nel frattempo che il pretore Termo con cinque legioni tiene Gubbio e che fortifica la città e che tutti gli Iguvini sono ottimamente disposti nei suoi confronti, invia Curione con tre coorti che aveva a Pisa e a Rimini. Venuto a conoscenza del loro arrivo, Termo, che non si fidava del consenso del municipio, ritira le coorti dalla città e si dà alla fuga. I suoi soldati, durante la marcia, disertano e se ne tornano a casa. Curione si impadronisce di Gubbio col massimo consenso di tutti. Conosciuti i fatti, confidando nei consensi dei municipi, Cesare ritira dai presidi le coorti della tredicesima legione e marcia su Osimo; questa posizione era tenuta da Azzio che vi aveva introdotto le coorti e faceva, mandando in giro senatori, leve in tutto il Piceno.
 
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         Alla notizia dell'arrivo di Cesare, i decurioni di Osimo, in gran numero, si recano da Azzio Varo; gli dichiarano che non spetta a loro giudicare; che né loro né gli altri municipi possono accettare che il comandante C. Cesare, benemerito dello stato, autore di tante imprese, sia tenuto lontano dalla città e dalle sue mura; Varo, dunque, tenga conto del giudizio dei posteri e del proprio pericolo. Indotto da queste parole, Varo ritira dalla città il presidio che vi aveva introdotto e si dà alla fuga. Pochi soldati dell'avanguardia di Cesare, dopo averlo inseguito, lo costrinsero a fermarsi. Attaccata battaglia, Varo viene abbandonato dai suoi; una parte dei soldati se ne torna a casa; i rimanenti raggiungono Cesare. Viene fatto prigioniero e condotto insieme a quelli L. Pupio, centurione primipilo, che prima aveva avuto quel medesimo grado nell'armata di Cn. Pompeo. Cesare, poi, si congratula con i soldati di Azzio, lascia libero Pupio, ringrazia gli Osimati e promette di serbare il ricordo del loro operato.
 
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         Giunta notizia a Roma di questi fatti, si diffuse all'improvviso un terrore tanto grande che il console Lentulo, che era andato ad aprire l'erario e a prelevare, secondo le disposizioni del senato, il denaro da dare a Pompeo, dopo avere aperto la sala in cui era conservata la riserva del tesoro pubblico, subito se ne fuggì da Roma. Si andava infatti falsamente dicendo che Cesare stava per sopraggiungere e che i suoi cavalieri erano vicini. Lentulo fu seguito dal collega Marcello e dalla maggior parte dei magistrati. Cn. Pompeo, partito da Roma il giorno prima, si dirigeva verso le legioni che aveva ricevuto da Cesare e che aveva stanziato a svernare in Puglia. Gli arruolamenti intorno a Roma vengono sospesi; a tutti risulta lampante che al di qua di Capua non vi è sicurezza. Solamente a Capua ci si rincuora e si ritrova il coraggio e si incomincia ad arruolare i coloni che, in conseguenza della legge Giulia, erano stati qui insediati. Vengono condotti in piazza i gladiatori della scuola gladiatoria di Cesare a Capua; Lentulo li rende risoluti con la speranza di libertà; fornisce loro cavalli e dà l'ordine di seguirlo. In seguito, criticato dai suoi per tale iniziativa biasimata da tutti, li divide, affinché fossero sorvegliati insieme agli schiavi delle comunità campane.
 
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         Cesare, uscito da Osimo, attraversa tutto l'Agro Piceno. Tutte le prefetture di quella regione lo accolgono con grande entusiasmo e danno ogni sorta di aiuto al suo esercito. Giungono da lui ambasciatori provenienti anche da Cingoli, cittadina che era stata fondata da Labieno e costruita con il suo denaro, e gli assicurano una completa e diligente esecuzione degli ordini. Cesare fa richiesta di soldati; glieli inviano. Nel frattempo la dodicesima legione raggiunge Cesare. Alla testa di queste due legioni egli si dirige ad Ascoli Piceno. Questa città era occupata da Lentulo Spintere e dalle sue dieci coorti. Costui, alla notizia dell'arrivo di Cesare, fugge via dalla città e nel tentativo di trascinarsi dietro le coorti viene abbandonato da gran parte dei soldati. Rimasto con pochi uomini durante la marcia incontra Vibullio Rufo, che era stato mandato da Pompeo nel Piceno per rassicurare gli abitanti. Vibullio, venuto a conoscenza da lui della situazione del Piceno, si fa consegnare i soldati e lo congeda. Così pure raggruppa dalle regioni confinanti quante coorti può fra i soldati arruolati da Pompeo; fra questi raccoglie Lucilio Irro, in fuga da Camerino, con le sei coorti che qui egli aveva tenuto di presidio. Con i soldati raccolti, forma tredici coorti. E con esse, a marce forzate, giunge a Corfinio presso Domizio Enobarbo e gli annuncia che Cesare con le due legioni è vicino. Da parte sua Domizio aveva messo insieme circa venti coorti, raccogliendo uomini da Alba, dai Marsi, dai Peligni e dalle regioni confinanti.
 
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indice
 
LIBRO 1
         Cesare Giulio
         Erbe e frutti
         Guerre galliche
                  Cesare
         Storia della Saffa
         Vini
 
 
 
Il colophon è una breve descrizione testuale,
riportante le note di produzione rilevanti per
l'edizione del file destinato alla stampa. Il nome
riportato sul colophon, sarà il vero nome
dell'autore non lo pseudonimo utilizzato nella
copertina.
 
 
 
 
© Copyright 2008 Mario Rossi
Responsabile della pubblicazione Mario Rossi
Libro pubblicato a spese dell’autore
Stampato in Italia presso Cromografica Roma S.r.l., Roma,
per Gruppo Editoriale L’Espresso S.p.A.
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